Per una persona con disabilità il diritto alle cure non è scontato.
In Italia non esistono ricerche di fresca data sull’accessibilità delle strutture sanitarie, ma secondo i risultati di un recente sondaggio, condotto dall’Istituto Serafico di Assisi e rivolto a persone con disabilità, caregivers e associazioni, il 63,3% del campione ha dovuto spostarsi fuori regione per accedere a esami e visite e il 79,6% è stato costretto a rivolgersi a più di una struttura. Sono dati allarmanti, ma nel nostro paese esistono anche delle buone pratiche di accessibilità, come il Progetto “Il Fior di Loto” a Torino e il consultorio familiare diocesano “al Quadraro” a Roma. Il progetto PASS Toscana è una delle poche eccellenze nel campo dell’accessibilità dei servizi ospedalieri.

“La cosa di solito sempre presente, sia negli ambulatori sia in ospedale, sono i banconi troppo alti. Per me diventa impossibile parlare in modo autonomo con l’infermiere e firmare i documenti”. Claudia Frizzarin, 36 anni, si sposta grazie ad una sedia a rotelle. È affetta da agenesia sacrale con grave regressione caudale, una patologia rara, e da vescica neurologica. L’altezza eccessiva dei banconi degli sportelli non è l’unica barriera che ostacola il diritto alle cure delle persone con disabilità.
“Dovevo fare un’urodinamica per verificare la quantità di urina che contiene la mia vescica” – racconta Claudia – “La mia vescica è incontinente. Per quello la svuoto con i cateterismi, perché non si svuota mai completamente”. Claudia ha una cistostomia, cioé un’apertura creata chirurgicamente a livello ombelicale, per consentirle di eseguire autonomamente i cateterismi per lo svuotamento della vescica. “Sono stata 40 minuti nuda dalla pancia in giù perché i medici dovevano capire come farmi il cateterismo e non è stato divertente! Ad un certo punto ho suggerito: “Forse dovete farlo dall’ombelico”. “Eh, ma non ne siamo tanto sicuri”, mi hanno risposto. “Da sotto non lo fate”- ho ribadito – “perché il tubo è anche storto, è difficile. Per quello ho fatto la deviazione”. Alla fine l’hanno fatto dall’ombelico, ma hanno provato talmente tante volte che è uscito sangue, ha fatto infezione e ho dovuto prendere l’antibiotico”.
Il sondaggio sulle persone con disabilità e l’accesso in ospedale
Come già rilevato dall’indagine della cooperativa “Spes contra spem”, pubblicata nel 2016, anche i risultati del sondaggio condotto dall’Istituto Serafico di Assisi, rivolto a persone con disabilità, caregivers e associazioni, sono allarmanti e confermano il permanere di criticità: il 37,6% degli intervistati segnala la presenza di barriere architettoniche, il 49,8% denuncia l’assenza di percorsi specifici per pazienti con disabilità e il 36,7% afferma di averli trovati raramente. Altre criticità emerse sono le lunghe liste di attesa per la prenotazione di visite e ricoveri e le ore di attesa per poter accedere a visite e esami. A questo spesso si aggiungono la mancanza di competenze di medici e infermieri nella presa in carico dei pazienti con disabilità e le difficoltà di relazione e comunicazione tra l’equipe sanitaria e i pazienti o i loro caregivers. Inoltre molti strumenti diagnostici (come per le TAC, per le radiografie, ecc), risultano inaccessibili a persone che si muovono in sedia a rotelle o con disabilità cognitiva. Il 63,3% del campione ha dovuto spostarsi fuori regione per accedere a esami e visite e il 79,6% è stato costretto a rivolgersi a più di una struttura.
Il sondaggio è stato condotto attraverso un questionario online, somministrato dal 18 al 28 giugno 2021 tramite social media, per un campione totale di 450 individui, tra genitori e caregiver di persone con disabilità (82,7%), associazioni di persone con disabilità (10,4%) e persone con disabilità (6,9%), provenienti principalmente dal centro Italia (51,3%), dal sud (24,4%) e dal nord est (16,7%).
L’età delle persone prese in considerazione va da 0 a oltre 60 anni, ma oltre la metà (57%) ha fino a 30 anni di età. Relativamente al tipo di disabilità, si è registrata una prevalenza di disabilità intellettiva (39,3%), seguita da disabilità motoria (30,4%), psichica (18,4%) e visiva (11,1%). La metà del campione presenta una disabilità grave (50,2%), seguita da disabilità gravissima (19,6%) e moderata (23,8%).
“Dal sondaggio emerge che le persone con disabilità e i loro caregiver ritengono che i nostri servizi sanitari non siano pienamente accessibili, specie per le disabilità complesse – spiega Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico di Assisi.
È un fatto culturale: in ospedale è tutto pensato in funzione della malattia, non del malato e delle caratteristiche che quel malato può avere. A farne le spese sono i pazienti.
Rendere le strutture accessibili alle persone con disabilità è possibile
In questo panorama desolante, spiccano alcune buone pratiche che si distinguono per una presa in carico del paziente, a partire dalle sue esigenze e peculiarità. I Progetto “Il Fior di Loto” a Torino e il consultorio familiare diocesano “al Quadraro” a Roma sono ambulatori che offrono servizi ginecologici e psicologici a donne con disabilità di cui abbiamo già parlato. Nell’ambito delle cure ospedaliere, il progetto PASS (Percorsi Assistenziali per Soggetti con bisogni Speciali) è un’eccellenza: nato con DGR 666/2017, è attivo in 14 ospedali della regione Toscana, tra ospedali del territorio e aziende ospedaliere universitarie.
“PASS nasce per garantire un equo accesso alle cure per le persone con disabilità. È rivolto a tutti i tipi di disabilità” – precisa Valentina Tucci, coordinatrice regionale facilitatori PASS – “perché ha come scopo principe quello di effettuare una presa in carico personalizzata secondo i bisogni speciali dell’assistito”.
Nato nel 2017 con la dirigente Maria Teresa Mechi del Settore Sanità e Reti Cliniche e con la collaborazione di alcune associazioni di persone con disabilità, ha l’obiettivo di garantire presa in carico dei pazienti con disabilità motoria, sensoriale e cognitiva. Pilastro fondamentale del progetto è la piattaforma regionale PASS. “È uno strumento informatico regionale al quale si accede con SPID o CNS in cui il paziente o il tutore/amministratore legale (nel caso di disabilità intellettiva), una volta autenticatosi, registra la persona con bisogni speciali e, tramite un questionario, segnala la disabilità, e sopratutto i suoi bisogni.” – spiega Tucci. “Nessuno vede la registrazione o i bisogni del paziente fino al momento in cui fa la richiesta di prestazione. Solo a quel punto il sanitario che ha il ruolo di facilitatore aziendale, riesce a prendere visione della richiesta di prestazione e dell’esito del questionario dei bisogni speciali PASS nonché di tutte le ulteriori informazioni inserite dall’utente. Quei bisogni riesce a vederli solo un sanitario, che è tenuto al segreto professionale. Attualmente sono iscritti più di 2000 pazienti: di questi più o meno 1450 hanno fatto una prestazione in uno degli ospedali di Regione Toscana e 750 erano pazienti complessi”.
Il ruolo del facilitatore nel percorso di cura per le persone con disabilità
Il facilitatore, un sanitario opportunamente formato, accede al portale PASS, legge i bisogni speciali della persona e la ricontatta, tramite il numero di telefono che il paziente con disabilità o il caregiver lascia in sovrimpressione nella piattaforma. “Quella chiamata ci permette di fare già un’anamnesi telefonica di primo livello: ci accertiamo che tutto quello che è stato riportato sul questionario sia vero e, con una serie di domande mirate, proviamo a comprendere i bisogni speciali della persona, le sue eventuali difficoltà nell’eseguire quel tipo di prestazione, se ha una figura di riferimento che può aiutarci nell’esecuzione della prestazione, rimanendole accanto. Con queste informazioni, discutiamo insieme al medico che deve fare la prestazione e, qualora necessario, all’internista su quale sia il percorso migliore da mettere in atto”.
Le informazioni raccolte permettono all’equipe medica di anticipare le possibili criticità nell’esecuzione della prestazione e di predisporre quindi una serie di accomodamenti ragionevoli che ne facilitino l’accesso al paziente. Gli ambulatori PASS sono accessibili a persone con diversi tipi di disabilità grazie a delle linee di indirizzo per il loro arredamento, disponibili sul sito di Regione Toscana, che sono servite per indirizzare tutti gli ospedali della rete.
Lettini regolabili e stanze sufficientemente ampie da garantire libertà di movimento ad una persona in carrozzina, ma anche accorgimenti per pazienti con disabilità sensoriale.
“Abbiamo dotazioni che aiutano la persona non vedente e la guidano per fare la prestazione a livello ambulatoriale”.
A volte occorre essere “creativi”
A volte servono strategie “creative” per mettere a loro agio i pazienti con disabilità cognitiva. “Dovevamo fare una PET, che è un esame abbastanza lungo e fastidioso, ad un paziente con disabilità intellettiva che amava la musica. È bastato mettergli le cuffie e fargli ascoltare la musica per tutto il tempo e la PET è andata in porto, senza bisogno di dover intervenire con una sedazione. È stato possibile perché avevamo intercettato prima i suoi bisogni e con l’aiuto del tutore messo in atto strategie mirate”.
La sedazione può essere usata anche con pazienti con spasticità motoria o non collaboranti. “A Careggi abbiamo gestito il caso di due gemelli di quarant’anni con disabilità intellettiva. La loro mamma diceva: “Non ne possono più di entrare in ospedale, appena vedono un camice bianco, iniziano a battere la testa contro il muro per autodifesa”. Siamo andati a casa e,con il consenso della mamma e la collaborazione del medico di medicina generale, li abbiamo sedati a domicilio, mentre ancora dormivano. Una volta sedati, li abbiamo portati in ospedale e fatto fare tutte le prestazioni richieste dal medico di medicina generale, attivando tutta l’equipe PASS e i professionisti necessari. Poi, sempre sedati, li abbiamo riportati a casa”.
Per lavorare anche in contesti e con strategie “fuori dal protocollo medico” serve una formazione specifica. Il personale PASS viene formato con un corso di formazione a gestione regionale, a cui partecipano anche le associazioni dei pazienti, e altri tre approfondimenti per la parte ginecologica, per quella di anestesia e rianimazione e quella di odontoiatria. Nel 2023 inizierà un modulo di formazione nell’area dell’emergenza-urgenza.
Il tema dell’accessibilità ai servizi sanitari sta riscuotendo attenzione politica
L’attenzione all’accessibilità dei percorsi sanitari sta lentamente aumentando anche a livello politico.
“La direttiva della presidenza del consiglio del febbraio del 2022 obbliga le attività di tutte e sei le missioni del PNRR a rispettare una serie di principi, tra cui quello dello Universal Design e quello dell’accessibilità. – spiega Giampiero Griffo, membro dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità. – “Significa che nel momento in cui si finanzieranno delle attività dovranno essere accessibili. Ad esempio, la telemedicina dovrà essere accessibile alle persone cieche, alle persone sorde, alle persone con disabilità intellettiva e quando si costruiranno i nuovi ospedali territoriali, dovranno rispettare i principi dell’accessibilità”.
L’Osservatorio sta ora definendo il Terzo Programma di Azione Biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità, documento con cui tutela e persegue i diritti umani delle persone con disabilità, come previsto dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
“Nel Terzo programma di azione inseriremo alcune politiche che dovrebbero essere messe in campo dal governo, dalle regioni e dai comuni” – continua Griffo – “Primo: garantire l’accessibilità ai servizi dedicati alle donne con disabilità. L’altro problema è quello della competenza nel saper trattare le persone con disabilità intellettiva e relazionale. Proponiamo che la costituenda rete di ospedali competenti nella presa in carico di questi pazienti (ASMeD, Associazione per lo Studio dell’assistenza medica alla persona con Disabilità) sia rafforzata, e che si arrivi a far sì che tutti gli ospedali sappiano trattarli. Terzo: dare assistenza migliore e più elevata alle persone non autosufficienti ricoverate in ospedale. Proponiamo che ci sia un codice rosso particolare per questo tipo di persone affinché, una volta ricoverate, vengano trattate con maggior attenzione e possano essere sempre affiancate dal proprio assistente personale o caregiver, oppure che gli ospedalieri sappiano che hanno bisogno di assistenza molto più intensa rispetto agli altri pazienti”.
L’articolo 25 della Convenzione ONU riconosce alle persone con disabilità “il diritto di godere del migliore stato di salute possibile, senza discriminazioni fondate sulla disabilità” e invita gli stati ad adottare “tutte le misure adeguate a garantire loro l’accesso a servizi sanitari che tengano conto delle specifiche differenze di genere […]”.
In Italia esiste la Carta dei diritti delle persone con disabilità in ospedale, ma il nostro paese è ancora lontano dal garantirne il pieno rispetto. Tuttavia le buone prassi esistenti sono la dimostrazione che invertire la rotta è possibile. La meta è chiara ed è la presa in carico del paziente “reale”, con le sue peculiarità e esigenze. Per raggiungerla serve un cambiamento culturale e politico e la corresponsabilità di tutti i ruoli coinvolti nel sistema sanitario, sia a livello istituzionale sia delle singole strutture, pazienti con disabilità, caregiver e associazioni che li rappresentano compresi.