Nel nostro Paese sono purtroppo ancora poche le strutture sanitarie per la prevenzione e la salute delle persone con disabilità realmente accessibili.
“Il Fior di Loto” di Torino è una tra queste.
Un ambulatorio ginecologico nato dalla collaborazione con l’Asl cittadina e l’associazione Verba, allo scopo di garantire l’accesso alle cure anche a chi ha gravi disabilità.
Il Centro mette a disposizione dei propri utenti un’equipe di professionisti quali: psicoterapeuta, -sessuologa referente per sessualità, psicoterapeuta referente per violenza, psicoterapeuta referente per disabilità sensoriali, avvocati specializzati, ginecologa ed andrologo.
Abbiamo intervistato Giada Morandi, Coordinatrice del Progetto “Il Fior di Loto” – Comune di Torino e la dottoressa Alessia Gramai, Psicoterapeuta e Sessuologa presso l’ambulatorio e l’Avvocato Marinella Ruffatto, legale dell’associazione Verba.
La scelta di attribuire questa denominazione al vostro centro, è casuale o vuol lanciare un messaggio ben preciso?

“Non è casuale. Il Fior di Loto rappresenta la perfezione, è vero, ma una perfezione conquistata. È un fiore che nasce nel fango, con cui lotta per emergere e sbocciare in tutta la sua bellezza.
Disabilità non è sinonimo di sofferenza ma certamente comporta una serie di lotte e battaglie per i diritti, per l’abbattimento delle barriere, per lo studio, per la vita indipendente, per l’accesso alle cure, che costano fatica.
Una fatica che, una volta superata, restituisce a tutti la possibilità di avere nuovi diritti e nuovi servizi. Come un fiore che è stato nascosto per tanto tempo per poi sbocciare a nuova vita”.
Il vostro è uno dei pochi centri in Italia accessibili alle donne con disabilità. Che cosa si intende per accessibilità ed inclusione?
“Quando abbiamo cominciato a pensare a Il Fior di Loto avevamo una sola certezza granitica: volevamo un luogo inclusivo, non un luogo pensato appositamente per le donne con disabilità, ma un luogo di tutte. Anche per le donne disabili. Nessun ghetto, ma una serie di accortezze per rendere realmente per tutte ciò che già c’era”.
Quali sono i tratti distintivi che rendono la vostra struttura diversa rispetto ad altre?
“Il Fior di Loto è un servizio pubblico che vede coinvolti due enti pubblici (Consultori Familiari ASL e Servizio Passepartout del Comune di Torino) e l’associazione Verba, da sempre impegnata sul tema della discriminazione intersezionale.
È stato chiesto dalle donne disabili che hanno avuto – e hanno tuttora – un ruolo di rilievo nella progettazione del Servizio ma anche nella programmazione e nella gestione dello stesso. Credo sia questo a renderlo diverso da altri, l’ente pubblico (Comune e ASL) offre un Servizio pubblico, appunto, costruito quotidianamente con le persone che prima definiva “utenti” e che adesso sono collaboratori: un bel cambio di prospettiva, insomma.
Il Fior di Loto si “apre”, come un fiore, in due Servizi tra di loro collegati: uno è l’Ambulatorio ginecologico che ha sede all’interno dei Consultori pubblici cittadini. Ad oggi, l’Ambulatorio funziona così: il filtro per le prenotazioni viene svolto da Verba che rileva esigenze specifiche delle donne. È un passaggio importante perché permette all’equipe di essere pronta e di predisporre tutto ciò che serve: il sollevatore, l’interprete LIS, attenzioni particolari in caso di disabilità intellettive o neurodiversità. Le prime visite durano un’ora e prevedono un’anamnesi approfondita e visita ginecologica con ecografia e pap test di prevenzione. Sempre presenti durante le visite sono due psicoterapeuta di Verba, una esperta in disabilità e sessualità e l’altra in disabilità e violenza. La loro presenza permette di accogliere eventuali criticità e problematiche e porre le basi per un percorso di sostegno che si svolge poi presso i locali del Passepartout.
Ogni percorso è individualizzato e viene gestito in una equipe mista coordinata dal Passepartout e con operatori sia pubblici, sia di Verba.
Il secondo “petalo” è il Servizio Antiviolenza Disabili che vede la collaborazione non solo di ASL, Passepartout e Verba ma anche del Centro Antiviolenza del Comune di Torino: non approfondisco adesso perché non è oggetto di questa chiacchierata, ma mi rendo disponibile a farlo dovesse essere utile più avanti.
Dal Fior di Loto è recentemente gemmato un terzo servizio, Il Marimo – Affetti, Relazioni, Intimità che prevede percorsi sessuologici o di psicoeducazione per uomini e donne con qualsiasi disabilità, sempre in stretta collaborazione con le figure sanitarie”.
Quali sono le difficoltà che vi segnala maggiormente chi si rivolge alla vostra struttura?
“Oltre alle barriere, la possibilità di trovare una équipe preparata sulla disabilità, tutta. È capitato di dover incontrare alcune donne, soprattutto con disabilità intellettiva, più volte anche solo per riuscire a farle sedere sul lettino. In questo gioca un ruolo importante il fatto che l’équipe sia sempre la stessa, ma anche, oltre alla preparazione, la capacità di vedere oltre, di inventare nuovi modi di relazione medico-paziente a seconda della persona che si ha davanti”.
Dottoressa Alessia Gramai, qual è il target di richieste di aiuto ad oggi registrate pe ril progetto “Il Marimo”?
“Le richieste ad oggi registrate sono molto variegate: accedono al progetto persone con disabilità fisico e/o motoria in coppia, che esprimono il bisogno di un supporto psicologico sul piano affettivo-relazionale; accedono persone con disabilità fisico e/o motoria individualmente, per un confronto e un supporto specifico su questioni affettive e relazionali, ma anche di interesse sessuologico; e infine accedono, tramite indirizzamento da parte dei servizi, della famiglia, o della rete, persone con disabilità intellettiva (in coppia, ma per lo più individualmente) per un bisogno globale di accoglienza, supporto e psico-educazione su affettività e sessualità.
Ad oggi è sicuramente quest’ultima la situazione che riscontriamo maggiormente nei nostri interventi coordinati: una persona con disabilità intellettiva che palesa il bisogno di “saperne di più”, di unire informazioni a volte già presenti, ma inesatte o spesso ridotte al minimo indispensabile, di far propria anche la complessa, ma umana autonomia nella gestione del proprio corpo, delle proprie emozioni e della propria sessualità (si intenda questo termine in senso più allargato, come una sfera che tocca il corpo, la consapevolezza, il piacere, la scelta, il consenso, il contatto fisico, la salute riproduttiva). Ogni intervento de “Il Marimo” si basa su bisogni concreti della fase di vita della persona a cui ci rivolgiamo: non ci sono quindi percorsi standard ma un adattamento continuo co-costruito in primis con la persona con cui si lavora, e in seconda battuta, se si parla di persone con disabilità intellettiva, con gli obiettivi educativi e di percorsi di vita che la rete sta a sua volta co-costruendo”.
Come definirebbe l’approccio all’intimità da parte della donna e dell’uomo disabile?
“Non vi sono distinzioni massimali relativamente all’intimità di per sé: si tratta di un bisogno umano e naturale comune a tutti e tutte. Forse la sola differenza presente dell’approccio all’intimità a seconda del genere è la visione sociale, l’occhio esterno che testimonia il bisogno di intimità di una persona con disabilità: nel caso degli uomini con disabilità è più frequente che la società pensi a un qualcosa di normale e “connaturato” a una sedicente natura maschile intrinseca; nel caso delle donne, l’intimità e la sessualità sono invece di solito “un punto cieco”, qualcosa che non si contempla e che, se palesato, viene pensato come un’eccezione.
Questi pregiudizi portano sicuramente all’interiorizzazione di significati differenti anche nelle persone con disabilità, quindi a un approccio all’intimità differenziato per via di bias culturali. E’ quindi utile, nell’analizzare l’approccio all’intimità di una persona, chiedersi quale sia il significato attribuito a questo bisogno, e quali sono anche i bisogni correlati: il piacere fisico (individuale o condiviso), il piacere sensoriale globale, la sessualità come base per rafforzare una relazione già presente o come esplorazione e terreno di curiosità reciproca, l’ empowerment che deriva dalla presa in carico della propria sessualità e dei movimenti relazionali con l’altro.
Sicuramente, la consapevolezza del proprio sentire, dei propri desideri e preferenze, a prescindere che l’intimità sia in coppia o attivata individualmente, è uno strumento utile a tutti e tutte.
Soprattutto perché diminuisce i rischi collegati (fisici, emotivi, relazionali e sociali) che possono emergere dal vivere l’intimità in maniera inconsapevole”.
Quali sono le difficoltà e le paure più comuni di chi vive sulla propria pelle una situazione di per sé complessa?
“Ci sono paure comuni a tutti gli esseri umani: la paura di non essere “normali”, di non saper comunicare i propri bisogni, di non saper leggere i segnali del nostro corpo, la paura di essere rifiutati o attaccati, la sensazione di vergogna per quello che sentiamo e desideriamo.
Tra le difficoltà più frequenti possono emergere diverse frustrazioni e soprattutto per le persone con disabilità intellettiva, un senso generale di confusione nelle situazioni relazionali-affettive più complesse (come l’innamoramento e il corteggiamento).
Quindi in generale emerge il tema dell’accettazione: quella di se stessi e delle proprie caratteristiche e desideri, ma anche l’accettazione da parte degli altri.
In una società che non contempla la presenza della sessualità nelle persone con disabilità può accadere che questo tema venga silenziato o messo da parte, e che la disabilità sia la principale dimensione di vita delle persone che vivono situazioni di per sé complesse.
Ma dal punto di vista psicologico non possiamo essere ridotti a una sola dimensione del nostro essere: una parte trasversale del nostro lavoro è proprio supportare le persone a connettersi con la propria unica e preziosa sessualità, e ad accettare e capire ciò che succede, a costruire gli strumenti per concretizzare i propri desideri.
La sessualità è uno degli strati della nostra identità, una parte di storia personale che cresce e si sviluppa con noi.
Va osservata, ascoltata e curata, e mai silenziata, perché è parte del nostro sistema fisico e psicologico.
Come un organo o una parte del corpo, vanno analizzati i componenti e i processi della nostra sessualità, per imparare a fare delle scelte di salute e per occuparci pienamente della nostra felicità.
Va integrata con tutto il resto della nostra persona e della nostra vita: per questo ogni percorso psicoterapeutico o psico-educativo parte prima di tutto da una trasversale accettazione di sé”.
C’è una storia emblematica che vuol condividere con noi per farci comprendere meglio la delicatezza del tema che stiamo trattando?
“Sicuramente una storia che rende la delicatezza del tema, la sua complessità ma anche la sua utilità nel percorso di vita (delle persone con disabilità e non solo) è quella di M., una giovane donna con disabilità intellettiva, sessualmente attiva in una relazione affettiva per lei molto positiva, ma con poche conoscenze sul funzionamento del corpo, sulla gravidanza e senza informazioni precise sui contraccettivi possibili.
Con M. è stato co-costruito un percorso di conoscenza e consapevolezza del corpo, del piacere e un focus specifico, su sua precisa richiesta, è stato fatto sull’anatomia femminile, per lei poco chiara.
A inizio percorso M. era convinta che dentro la pancia gli organi fossero un tutt’uno: utero, ovaie, stomaco, intestino, sangue mestruale… Un’immagine mentale del corpo di questo tipo può portare molta confusione quando ci si approccia a un rapporto sessuale e alla contraccezione.
Sapere come è fatto il corpo non è una questione di nozioni e teorie: si tratta di una conoscenza pratica e incarnata che dà sicurezza nel momento in cui si fanno delle scelte (come il miglior contraccettivo per la sua situazione relazionale e sessuale) e aumenta l’autodeterminazione.
Conoscere il corpo significa comunque conoscere lo spazio che abitiamo, ed essere supportati nel fare delle scelte di salute adeguate che seguano i bisogni del nostro corpo (tra cui anche il piacere)”.
Avvocato Marinella Ruffatto, quali sono le richieste più frequenti che le rivolgono le sue utenti?
“Si tratta di richieste di vario genere. Ho seguito per lo più donne – con disabilità sia di tipo fisico-motorio sia intellettivo – che dovevano affrontare il percorso di separazione/ divorzio con tutte le questioni connesse anche di tipo abitativo e patrimoniale; situazioni in cui erano in corso procedure di sfratto ed in cui era necessario tutelare il diritto ad ottenere termini di rilascio degli immobili consoni per la ricerca di soluzioni abitative adeguate alle esigenze di persone con disabilità; situazioni di violenza nell’ambito della famiglia da cui sono nati procedimenti penali, cause avanti al Tribunale dei Minori o al Tribunale ordinario per la tutela dei figli o per separazioni.
Nel momento in cui l’utente sottopone al Servizio le questioni che richiedono una consulenza legale, viene chiesto il mio intervento o delle altre colleghe al fine, in prima battuta, di rassicurare la persona e, quindi, di valutare gli interventi legali necessari.
Parlo di rassicurare, perché mi sono spesso trovata di fronte ad utenti “spaventati” e disorientati di fronte a situazioni che a loro occhi sembrano insormontabili e soprattutto percepite come ingestibili a causa della loro disabilità.
Instaurare un rapporto di fiducia è il primo passo per suggerire loro la strada da seguire”.
Avete previsto anche percorsi di consulenza legale per chi vuole adottare un bambino?
“Ad oggi non ci è mai stato richiesto un percorso di tal genere.
Ove si valutasse tale esigenza, ci sarebbe sicuramente disponibilità ad organizzarlo; sicuramente da parte mia.
Io sono una madre adottiva che per prima ha vissuto il percorso dell’adozione e che ogni giorno, anche attraverso l’appoggio di un gruppo di famiglie adottive di supporto, vive e sperimenta la grandezza e fatica dell’essere un genitore “speciale” di una bimba “speciale”.
In cosa consiste il percorso formativo che ha seguito per diventare legale di persone con disabilità?
“Oltre al classico percorso di formazione ed aggiornamento continuo ho approfondito alcuni ambiti del diritto.
Negli anni ho seguito numerosi corsi per diventare curatore speciale dei minori e difensore d’ufficio dei genitori avanti al Tribunale dei Minorenni; corsi in materia di violenza di genere e violenza assistita per cui sono iscritta nelle liste del Fondo della Regione Piemonte per le donne vittime di violenza.
Collaboro con il progetto Fior di Loto e direttamente con il Centro Antiviolenza della Città di Torino offrendo consulenza legale. E’ mia intenzione – non appena sarà possibile – seguire un corso sul diritto antidiscriminatorio al fine di approfondire ulteriormente le tematiche ad esso inerenti”.
Che tipo di problematiche affronta ogni giorno nel suo lavoro?
“Spesso è difficile far comprendere alle persone che, non ogni problematica può essere risolta nel modo in cui si vorrebbe.
Gli strumenti giuridici a disposizione non sempre portano alle auspicate soluzioni e per tale ragione, in alcune situazioni, non si riesce ad instaurare quel rapporto fiduciario che deve esserci alla base di un rapporto professionale”.
Perché c’è bisogno di un legale che faccia valere i diritti, quali la maternità, il diritto alla cura ed alla prevenzione delle persone con disabilità?
“Perché spesso le persone con disabilità non conoscono i loro diritti oppure decidono di non esercitarli perché si percepiscono “svantaggiate”. E’ necessario far comprendere loro che disabilità non è sinonimo di inadeguatezza o incapacità.
Certo ci sono delle difficoltà, e non si può negare, ma l’obiettivo è far comprendere alle persone disabili che sono al pari di tutte le altre, con gli stessi diritti e, anche, gli stessi doveri”.
Ringraziamo l’equipe del Fior di Loto di Torino per la loro collaborazione e per averci fatto conoscere una realtà che speriamo possa fare da apri pista nella costruzione di una visione più inclusiva della nostra sanità pubblica.