Come si costruisce e si rafforza la relazione tra medico e paziente, presupposto essenziale per la riuscita di qualsiasi percorso terapeutico? Ogni mese proviamo a rispondere, proponendovi pensieri scritti da medici e professionisti sanitari che, in chiave di medicina narrativa, ci raccontano come sono riusciti a comunicare e a stabilire una relazione efficace con i pazienti.
Oggi vi proponiamo il racconto di Daniela Barberini, logopedista.

Molte volte ho visitato persone di età oscillante tra i 20 e i 30 anni che si rivolgevano a me per avere una opinione ‘tecnica’ su un loro disagio che sapevano a fatica descrivere.
La loro domanda, anzi le loro domande erano: “sono dislessica?” “ho qualcosa che non va?”. Descrivevano la loro forte preoccupazione, e la loro angoscia dicendomi: io mi sento normale ma forse non lo sono…
Il loro maggiore disagio, fin da quando erano bambini, era quello di non riuscire ad ottenere un qualunque risultato scolastico con lo stesso impegno degli altri. Loro faticavano il doppio, il triplo e all’università questo comportava impiegare tre mesi per preparare un esame che tutti gli altri preparavano in un mese.
Accogliendo il loro disagio, ponevo alcune domande sui tempi e i metodi di studio e molte volte, a testimonianza della loro immane fatica, gli occhi si inumidivano arrivando a volte a piangere.
Si erano rivolti al nostro studio attratti dalla tecnica del ‘Coaching lessicale, dalla nostra collaborazione con linguisti, statistici del linguaggio e per il nostro approccio basato sulla complessità e sul linguaggio come sistema complesso. Durante la visita insisto molto nel ricercare e spiegare loro il motivo che, fin da piccoli aveva determinato queste loro difficoltà. Nessuno di loro era dislessico e tutti hanno iniziato un percorso che li ha portati con gioia e sollievo a risolvere completamente il loro problema, fino alla piena coscienza che no, non c’era niente di ‘malato’ in loro.
Molte volte i pazienti dicono: “ma prima stavo bene” oppure come nel caso descritto “ma alle elementari ero il primo della classe” come se la vita e l’evoluzione, lo sviluppo di un essere umano fosse una linea dritta e dal percorso prevedibile. Il senso comune ci avverte che non è così, ma nello spiegare una malattia o una disfunzione ricadiamo nella metafora dell’essere vivente come meccanismo che o funziona o è rotto. Nella realtà la nostra vita e il nostro organismo si complessificano nello scorrere del tempo, cioè si modificano per rispondere o meglio interagire con i mutati livelli di complessità della realtà.
La complessità dei sistemi viventi è storicamente determinata e contesto-dipendente, e questi sono i due motivi per i quali pur non avendo problemi didattici o cognitivi o di apprendimento la persona si può trovare a non essere adeguata al contesto universitario. Far conoscere questo punto di vista ai pazienti li aiuta moltissimo a razionalizzare e quindi a motivarsi per intraprendere un percorso di potenziamento lessicale o di logopedia nel caso descritto. L’ascolto dei pazienti è molto importante, ma fornire loro spiegazioni chiare e dettagliate li fa uscire dal buio della paura basata sul “non conoscere il motivo” del loro problema. Ascolto e spiegazioni chiare, disponibilità a fornire tutte le risposte alle loro domande sono aspetti dai quali nessun medico o operatore sanitario può prescindere.