Cosa fare se ti dicono che tuo figlio è autistico? Non è così facile capire a chi rivolgersi, chi contattare. Ma in Italia ci sono centri specializzati di eccellenza in grado di aiutare chi è affetto da autismo e la sua famiglia.
Ricevere una diagnosi di autismo può essere un duro colpo per la famiglia. Si tratta di una malattia particolare, di cui ancora si sa poco, nonostante i numerosi studi, ma che ha una forte componente genetica.

Dottoressa Chiara Pezzana
È una sindrome complessa che coinvolge l’età evolutiva. Le manifestazioni sono molteplici, per questo si parla di “spettro autistico”.
È una condizione difficile da gestire per la famiglia, soprattutto nei casi più gravi, non sempre preparata ad affrontare le difficoltà quotidiane che questa sindrome comporta.
Ne parliamo con la dott.ssa Chiara Pezzana, Neuropsichiatra infantile, Direttore sanitario e clinico del Centro per l’Autismo di Novara – Associazione per l’autismo E. Micheli.
Dottoressa, come si arriva a una diagnosi di autismo e quali sono i campanelli di allarme?
Sono i genitori solitamente ad accorgersi per primi che qualcosa non va nel bambino, già intorno all’anno di vita. Generalmente, il primo campanello di allarme è la mancanza del linguaggio o un suo sviluppo atipico. Possono esserci però anche altri aspetti, tra cui il più importante è quando il bambino perde delle abilità che stava acquisendo. È noto in letteratura scientifica che più della metà dei bambini con disturbo dello spettro autistico esordisce con una regressione piuttosto che un arresto nello sviluppo. È un elemento che appare subito evidente alle famiglie ed è l’aspetto più angosciante: il bambino comincia a dire qualche parola e poi, dopo un po’ di tempo, non la dice più, ha un buon contatto di sguardo e poi progressivamente lo perde, tende a isolarsi, fa un gioco ripetitivo o sviluppa dei movimenti stereotipati. Sono questi i motivi che spingono la famiglia a cercare una diagnosi clinica il prima possibile.
Ci sono inoltre situazioni in cui non sono i genitori in prima persona ad accorgersi della problematica, ma le maestre del nido o della materna. Anche perché alcune caratteristiche dell’autismo emergono proprio quando il bambino è inserito in un contesto sociale.
In questi casi a chi si possono rivolgere le famiglie?
Rivolgersi al pediatra è il primo passo per capire cosa sta succedendo. Purtroppo, nonostante i tanti progressi di questi ultimi anni, anche sotto l’aspetto della formazione e di una maggiore consapevolezza su questi disturbi, non sempre il pediatra invia velocemente il bambino al neuropsichiatra per una diagnosi clinica più accurata. Se invece il pediatra è adeguatamente informato, è lui stesso che può fare i primi test di screening.
Sulla base dei test, delle sue osservazioni e dei dubbi della famiglia, il medico richiederà una visita specialistica per confermare o smentire la diagnosi, indirizzando i genitori, tramite impegnativa, al servizio di neuropsichiatria infantile del territorio. In questi casi, se tutto funziona bene, i servizi territoriali devono vedere il bambino o avere un contatto con la famiglia entro un mese. Ci sono anche centri ospedalieri di secondo livello. A Novara, ad esempio, presso l’Ospedale Maggiore, al Regina Margherita a Torino o al Bambin Gesù di Roma. Sono centri clinici specializzati nella diagnosi di autismo.
Molto però dipende dal territorio, perché l’Italia, da questo punto di vista, è molto diversa, quindi il funzionamento è un po’ complesso. Ad esempio, qui a Novara se il pediatra ha un dubbio, il bambino, fino ai 3 anni di età, viene indirizzato direttamente nel centro di secondo livello per la diagnosi. Se è più grande, invece, al centro di neuropsichiatria territoriale.
Chi effettua la diagnosi?
La valutazione clinica complessiva è eseguita da un team multidisciplinare di cui fa parte il neuropsichiatra. Tendenzialmente la diagnosi si avvale di una serie di test standardizzati e di un iter definito: c’è la valutazione neurologica del neuropsichiatra, un percorso testistico seguito da uno psicologo e, se necessario, una valutazione logopedica e psicomotoria. Ciò che conta è che la famiglia ottenga una diagnosi precisa, ma non basta una sola visita, non basta portare il bambino e fare una diagnosi in due righe.
In alcuni casi, quando un bimbo ha una forma severa di autismo, è vero che un medico esperto può fare diagnosi in cinque minuti, ma è sempre necessario che anche il team definisca un profilo del bambino e le sue caratteristiche. Occorre, infatti, valutare il bambino durante un percorso che deve stabilire il profilo comportamentale dal punto di vista cognitivo (capacità di comprensione), comunicativo (linguaggio), sociale (capacità di relazione) ed emotivo, per poi definire il piano terapeutico.
Molte famiglie, purtroppo, non riescono a ottenere un percorso diagnostico completo, hanno in mano solo la visita del neuropsichiatra che ha fatto una diagnosi al volo. Invece, per una diagnosi accurata, è molto importante il percorso testistico, anche per una maggiore chiarezza nei confronti della famiglia. Non tanto per la prognosi, perché nei primi mesi è molto difficile da prevedere. Alcuni bambini, infatti, migliorano tantissimo, altri invece non progrediscono, nonostante le aspettative.
Tuttavia avere un test ADOS, che è il gold standard per la valutazione e diagnosi dei disturbi dello spettro autistico, ben fatto permette di tipizzare le caratteristiche del bambino, capire i punti su cui bisogna intervenire, ottenere una buona diagnosi di abilità e individuare il tipo di intervento più adatto. Nei bambini al di sopra dei 3 anni la valutazione del quoziente intellettivo, ad esempio, ci fa capire il livello delle abilità cognitive. Tutto questo cambia moltissimo la prognosi, rende subito evidente in che zona dello spettro andiamo a collocarci. Per tutti questi motivi è, dunque, molto importante avere un team che esegua una diagnosi accurata.
Se non è disponibile nei servizi territoriali, è consigliabile ricorrere autonomamente ai centri di secondo livello.
Perché a volte è così difficile fare una diagnosi di autismo, quali sono gli elementi di complessità di questa patologia?
Gli elementi di complessità possono essere diversi, perché nei bambini piccoli, anche di 15 o 18 mesi, ad esempio la differenza tra il disturbo dello spettro autistico e il disturbo specifico del linguaggio non è ovvia, soprattutto quando l’autismo si presenta in una forma non grave e non associata alla disabilità intellettiva. È chiaro che se un bimbo arriva a 20 mesi già con un disturbo psicomotorio importante, con tanti movimenti stereotipati, senza linguaggio, con determinate modalità di gioco, è facile fare diagnosi. Ma per quei bimbi che hanno normali abilità cognitive e non hanno sviluppato il linguaggio o non hanno ancora sviluppato le caratteristiche tipiche dell’autismo come le stereotipie, è veramente difficile diagnosticare la patologia.
La diagnosi differenziale è molto complessa, anche nei bambini più grandi senza disabilità intellettiva e magari con un disturbo dell’attenzione, che spesso concorre con l’autismo. È difficile stabilire se quello che vediamo è un quadro correlato al disturbo dell’attenzione oppure se c’è un disturbo dello spettro autistico.
Una volta ricevuta la diagnosi, cosa deve fare la famiglia?
Questo è il punto critico. Nel nostro Paese dipende molto dalla Regione di appartenenza, questa almeno è la mia esperienza. Mi capita di vedere persone che vengono da altre zone d’ Italia a chiedere un secondo o un terzo parere perché non hanno ricevuto informazioni o indicazioni sufficienti.
Quando i genitori ricevono una diagnosi di autismo, soprattutto se il bambino è piccolo, bisognerebbe avviare subito un trattamento, anche se non si è completamente sicuri della diagnosi. Ci sono casi in cui il bambino è borderline, non si può dire con sicurezza che sia autistico, però presenta alcune caratteristiche dell’autismo. A quell’età poco importa l’etichetta, è necessario dare il giusto sostegno e le giuste possibilità di apprendimento. In altre parole, anche se c’è solo il dubbio di autismo, bisognerebbe agire immediatamente, mettere subito in piedi un intervento adeguato. Questo però è difficile, perché nei servizi pubblici purtroppo le liste di attesa sono molto lunghe. In Piemonte, ad esempio, dal momento della diagnosi si riesce ad accedere al trattamento terapeutico l’anno successivo.
Ci sono Regioni che funzionano un po’ meglio, come la Campania, la Sicilia o la Lombardia, perché hanno centri convenzionati, quindi molte più possibilità al di fuori del servizio sanitario nazionale. In questi centri, infatti, si riesce ad accedere velocemente a un trattamento, almeno il minimo necessario. Ciò che servirebbe a questi bambini, soprattutto ai più piccoli, sono tante ore di trattamento, almeno un accesso quotidiano e 10 ore a settimana.
Nei bambini piccoli ci sono alcune metodologie di intervento che funzionano molto bene, anche per il trattamento precoce, ma spesso non è possibile usufruirne, anche solo parzialmente, nei servizi pubblici. Accade quindi che le famiglie, almeno quelle che possono permetterselo, si rivolgono ai centri privati. È questo il vero dramma per le famiglie, perché si arriva a spendere molto. I servizi territoriali offrono al massimo 3-4 ore a settimana di trattamento, se si è fortunati. Ma, come abbiamo detto, il percorso terapeutico prevede l’intervento di più figure sanitarie, quindi spesso le famiglie sono costrette a un trattamento “a pezzi”, cioè la logopedia si fa privatamente, ad esempio, e l’analisi del comportamento o la neuro-psicomotricità presso le ASL.
Cosa succede a chi non può affrontare questo impegno economico?
Il problema vero, infatti, sono le famiglie che hanno gravi difficoltà sociali, come le famiglie di immigrati, con situazioni economiche anche tragiche, che spesso hanno bimbi gravi e possono accedere solo ai servizi del territorio o al supporto dei servizi sociali, che però sono poco specialistici. A Novara stiamo aprendo un centro, insieme all’ASL, dedicato ai bimbi che provengono appunto da famiglie molto disagiate economicamente e con disabilità intellettiva grave. Cerchiamo di garantire almeno 8 ore settimanali di trattamento per provare a dare a questi bimbi degli strumenti per evitare che crescano con difficoltà gigantesche. Facciamo il possibile per creare una rete, anche piccola di solidarietà.
da sapere

Le risorse In Rete
Il sito dell’Istituto Superiore di Sanità ha avviato un progetto che si chiama Osservatorio Autismo.
Sul sito ci sono moltissime informazioni utili e i vari progetti messi in atto e sponsorizzati dall’ISS.
Vediamole nel dettaglio:
- Mappa dei servizi. Sono servizi dedicati alla diagnosi e presa in carico delle persone con disturbi dello spettro autistico in tutte le età della vita su tutto il territorio nazionale. Si può effettuare una ricerca dei centri clinici per Regione, Provincia, fascia di età (adulta o dell’età evolutiva) o direttamente partendo dal nome della struttura.
- Pubblicazioni scientifiche
- Linee guida sulla diagnosi e sul trattamento dei disturbi dello spettro autistico in tutte le età redatte in base dell'evoluzione delle conoscenze scientifiche nazionali e internazionali ). Questa attività è svolta dall’ISS in collaborazione con il Centro Nazionale Eccellenza clinica, qualità e sicurezza delle cure (CNEC).
- Reti di coordinamento per la diagnosi precoce. Sono attività finalizzate all'istituzione di una rete di coordinamento tra pediatri di famiglia, servizi educativi della prima infanzia, unità di neuropsichiatria infantile e terapie intensive neonatali per la diagnosi e l’intervento precoce dei disturbi del neurosviluppo.
- NIDA. È il Network Italiano per il Riconoscimento Precoce dei Disturbi dello Spettro Autistico (NIDA), una rete di collaborazione sul territorio italiano per lo studio dei bambini considerati a rischio di sviluppare un Disturbo dello Spettro Autistico (Autism Spectrum Disorder, ASD). I fratellini o le sorelline di bambini con ASD sono considerati bambini a rischio per i disturbi del neurosviluppo. L'obiettivo del progetto è monitorare il loro sviluppo per individuare eventuali segnali precoci del disturbo e disporre una tempestiva presa in carico.
Ci sono poi le associazioni di genitori di bambini autistici, una rete di sostegno per le famiglie, tra cui l’ANGSA (http://angsa.it). Si tratta di un’Associazione nata nel 1985 per difendere i diritti delle persone con autismo e delle loro famiglie. Ne fanno parte genitori, familiari, tutori e persone con disturbo dello spettro autistico.
Infine, alcune fondazioni, come la Fondazione Italiana Autismo (https://www.fondazione-autismo.it), che sostengono le seguenti attività:
- ricerca, cura e sostegno attraverso l’attivazione di centri ambulatoriali dedicati all’autismo ricerca per la scuola inclusiva attivando centri studi per la didattica speciale;
- promozione di percorsi di sostegno alle famiglie e servizi di sollievo famigliare.
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