La diagnosi dello spettro autistico, un disturbo del neurosviluppo, che si manifesta con un deficit persistente nella comunicazione e con una grossa difficoltà nelle relazioni sociali, caratterizzato da comportamenti problematici e ripetitivi,
arriva ancora in età troppo avanzata e questo impedisce di intervenire con tempestività, compromettendo il recupero delle capacità cognitive e comportamentali di chi ne è colpito.
Daniela, pedagogista ed analista del comportamento, è la mamma di Gabriele, diciottenne, con autismo.
Il suo incontro con lo spettro autistico, la poca conoscenza che se ne ha nel nostro Paese e la carenza di strategie di approccio validi a garantire una buona qualità di vita a queste persone, ha suscitato in lei la voglia di acquisire tutti gli strumenti utili per affrontarlo in maniera consapevole ed incisiva, dimostrando concretamente come, se si adottano determinati metodi riabilitativi, sia possibile raggiungere un buon livello di recupero cognitivo.
Ha intrapreso perciò un lungo percorso di formazione che ha portato alla costruzione della “Voce Del Silenzio”, un’associazione che si occupa della riabilitazione di persone con autismo che, ad oggi, conta un centinaio di utenti provenienti da tutta Italia.
I primi segnali dell’autismo
I primi sentori del disturbo, si manifestarono quando suo figlio aveva tredici mesi.
La neuro psichiatra di riferimento, le disse che quei segnali probabilmente erano riconducibili ad una scarsa ricezione di stimoli esterni da parte del bambino, escludendo che potesse trattarsi di autismo.
La diagnosi vera e propria Daniela l’ha ricevuta, in seguito ad una serie di consulti medici, quando Gabriele aveva cinque anni, ma con la competenza acquisita nel corso dei suoi studi, sostiene che, in realtà, i sintomi della sindrome di suo figlio erano ben chiari sin dall’inizio e che probabilmente se gli fosse stata diagnosticata prima, questi avrebbe potuto iniziare da subito il suo percorso riabilitativo, recuperando più di quanto non abbia fatto sino ad ora.



Il percorso di Gabriele
Benché Gabriele abbia raggiunto un buon livello di autonomia in termini di autoaccudimento, essendo in grado di farsi da mangiare, di vestirsi, di farsi la barba da sé, rimane pur sempre una persona con un livello cognitivo di sei anni.
Il pensiero di Daniela va a quando lei non ci sarà più e mi confida che lo step che si prefigge di raggiungere nei prossimi tre, quattro anni, è proprio quello di cercare di renderlo autonomo anche per quanto riguarda l’autosostenersi, quindi nella ricerca di un lavoro.
“In regione Lombardia, non sono a conoscenza vi siano progetti di vita indipendente per persone con autismo, a parte “PizzAut” che però è un’attività rivolta a ragazzi con un funzionamento cognitivo più elevato.
L’approccio ABA – Applied Behavioral Analysis
Da professionista della riabilitazione comportamentale e cognitiva, ci tengo a puntare l’accento su quanto la diagnosi precoce sia fondamentale ed indispensabile ai fini di una buona riuscita di un intervento riabilitativo intensivo, svolto secondo la Linea Guida 21, meglio conosciuto come intervento ABA, per un recupero delle capacità, tale da rendere la persona indistinguibile dal tipico soggetto con spettro autistico. “In base alla posizione filosofica più accreditata ed al principio ABA, trattandosi di un metodo che opera prevalentemente sulla modifica del comportamento del soggetto – sottolinea – è possibile infatti trattare i deficit derivanti da autismo in maniera ottimale, raggiungendo abilità e comportamenti pari alla norma. È bene sottolineare però che per raggiungimento di funzionamento intellettivo ed adattivo entro la norma, non è sinonimo di “guarigione” né di “cura”, essendo lo stesso volto piuttosto a far sì che i sintomi da autismo possano essere alleviati ed, in alcuni casi limitati, questo può condurre ad un’indipendenza totale del soggetto. L’analisi comportamentale, infatti, non agisce sulla causa organica del disordine, ma attraverso un’analisi del comportamento, riesce a gestirne gli eccessi ed a incrementare le aree in deficit”.
Più si interviene precocemente, più possibilità ci sono per un ampio recupero delle suddette capacità.
Mio figlio ha ricevuto la sua prima diagnosi a cinque anni di età e, malgrado oggi, nel mio centro riabilitativo arrivino bambini di due, tre anni e che quindi si registri una riduzione nelle tempistiche diagnostiche, i pediatri continuano a non inviare con tempestività i bambini con ritardi psico motori dagli specialisti che, a loro volta, tergiversano prima di pronunciarsi a riguardo”.