Il Ministero dell’Istruzione ha definito le nuove modalità per l’assegnazione delle misure di sostegno per gli studenti con disabilità e i modelli di piano educativo individualizzato (PEI), da adottare da parte della scuola. È un progetto complesso e articolato che tenta di coprire tutti gli ambiti dell’inclusione scolastica. Ma basterà per aiutare i bambini autistici e le loro famiglie a intraprendere un percorso scolastico che sia a loro misura, non solo “sulla carta” ma nel concreto, nella vita quotidiana?
- Cos’è il PEI e cosa sta cambiando
- Barriere e facilitatori: cosa sono
- PEI e autismo
- Alcuni dati sull’inclusione scolastica
- Tecnologia e assistenza: “facilitatori” non sempre fruibili
- Barriere architettoniche: restano ancora un problema da risolvere
- Cosa è davvero importante per favorire una reale inclusione scolastica dei bambini autistici?
- Cosa si può fare di concreto, nella quotidianità, per favorire a scuola una dimensione davvero inclusiva?
- Come fare affinché i programmi scolastici si possano integrare con il PEI del bambino o bambina con disabilità?
- Cosa consiglierebbe a genitori e docenti per favorire un dialogo costruttivo?
Cos’è il PEI e cosa sta cambiando
Il nuovo PEI contenuto nel decreto interministeriale 29 dicembre 2020, n. 182 è un modello nazionale, articolato in quattro versioni, dalla scuola dell’Infanzia alla secondaria di II grado, ma soprattutto un’occasione per tornare a riflettere sull’inclusione. Parte dal principio della corresponsabilità educativa, cioè la presa in carico di ogni studente, anche con disabilità, da parte della comunità scolastica che dovrà essere formata adeguatamente sui temi dell’inclusione.
Nella redazione del PEI, inoltre, è necessario considerare la disabilità dell’alunno ai fini dell’inclusione scolastica, partendo anche dall’indicazione dei facilitatori e delle barriere, secondo la prospettiva bio-psico-sociale alla base della classificazione ICF dell’OMS.
Di cosa si tratta? ICF è l’acronimo di Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (International Classification of Functioning, Disability and Health). È uno strumento standard internazionale approvato dall’OMS per definire lo stato di salute e di disabilità in relazione a diversi ambiti, tra cui la scuola.
Alla base dell’ICF c’è una revisione del concetto di disabilità, non più limitata soltanto alle peculiarità della persona con una diagnosi di disabilità. Si riconosce che la disabilità è una condizione determinata anche dal contesto: ostacoli o barriere limitano espressione, movimento e potenzialità individuale.
Il PEI quindi vuole andare oltre l’idea di disabilità come malattia/disturbo e individuare le abilità restanti per favorirne e potenziarne il funzionamento, per realizzare un rapporto positivo tra l’individuo e l’ambiente e utilizzare i facilitatori e superare le barriere.
In altre parole, non si è disabili soltanto perché lo dice una diagnosi ma perché l’ambiente circostante rende complesso l’adattamento. Una piccola rivoluzione nell’approccio alla disabilità da parte delle istituzioni.
Infine, il PEI non è uno strumento immutabile. È soggetto a verifiche periodiche in corso d’anno per accertare il raggiungimento degli obiettivi e apportare eventuali modifiche e integrazioni. Al di là della normativa, quindi, si può modificare per accompagnare i processi di inclusione.
Barriere e facilitatori: cosa sono
I Facilitatori sono quei fattori ambientali che migliorano il funzionamento di una persona e riducono la disabilità. Includono non solo un ambiente fisico accessibile, ma anche i servizi e le politiche necessarie per favorire il coinvolgimento di chi convive con una specifica condizione di salute in tutte le aree di vita.
Nella pratica, riguardano:
- ambiente fisico accessibile (presenza di ascensori e rampe, temperatura e illuminazione dell’aula adeguate, ecc.)
- tecnologia d’assistenza (tutti gli ausili tecnologici di assistenza alla comunicazione, software didattici, schermi ingranditi del computer, LIM, ecc.)
- atteggiamenti positivi delle persone verso la disabilità (disponibilità degli insegnanti, apprendimento cooperativo, disponibilità all’aiuto da parte dei compagni di classe, clima di classe positivo, ecc.)
- servizi e politiche (trasporto, pre e post scuola, educatori, ecc.).
Sono tutti elementi necessari per evitare che una disabilità diventi una limitazione alla vita scolastica.
Le Barriere, invece, sono l’esatto contrario. Sono tutti quei fattori ambientali che limitano il funzionamento umano e creano la disabilità.
Riguardano nella pratica quotidiana:
- ambiente fisico inaccessibile (temperatura e illuminazione dell’aula inadeguata, assenza di ascensore e/o scivolo, ambienti inaccessibili, ecc.)
- assenza di tecnologia d’assistenza (ingranditore dello schermo, software didattici, apparecchi per la comunicazione, ecc.)
- atteggiamenti negativi delle persone verso la disabilità (mancanza di feedback costruttivi, relazioni serene tra pari e/o insegnanti, collaborazione, disponibilità, interazione, stereotipi, pregiudizi, ecc.)
- servizi e politiche inesistenti (assenza di servizi di logopedia, psicomotricità, numero adeguato di ore di sostegno, ecc.).
PEI e autismo
L’autismo è una condizione complessa ed eterogenea che può limitare la persona a ogni età e ambito di vita, poiché comporta un deficit delle abilità comunicative, sociali, comportamentali e sensoriali.
Nella scuola italiana il numero di studenti con una diagnosi di disturbo dello spettro autistico sta crescendo sempre più e le peculiarità di questa condizione possono influire sulla corretta gestione della classe e ostacolare un percorso inclusivo efficace. La necessità da parte dei docenti di acquisire una competenza specifica per saper accogliere e educare questi studenti, rispettando le specificità del funzionamento autistico, diventa quindi prioritaria.
La tipicità del disturbo, l’eterogeneità e la variabilità temporale della sua manifestazione, può, infatti, disorientare il corpo docente che non sa come affrontare la situazione. Per questo motivo occorre formare il personale della scuola, non solo gli insegnanti, e fornire una bussola per orientarsi adeguatamente nell’accoglienza, nell’inclusione e nella progettazione didattica per gli alunni con autismo.
Il PEI per uno studente autistico dovrebbe, pertanto, tenere conto delle caratteristiche del disturbo, delle difficoltà specifiche e delle compromissioni (soprattutto nei casi più gravi) delle seguenti aree:
- Comportamentale e Socio-Affettiva-Relazionale
- Comunicazione
- Apprendimento Consapevole.
Alcuni dati sull’inclusione scolastica
Secondo l’ISTAT, nell’anno scolastico 2020-2021 è aumentato ancora il numero di alunni con disabilità nelle scuole italiane (+ 4.000 rispetto all’anno precedente, il 3,6% degli iscritti, per un totale di 300.000). Migliora invece la partecipazione alla didattica: scendono al 2,4 % gli studenti esclusi dalla DAD (didattica a distanza), contro il 23% dell’anno precedente, anche grazie a una migliore organizzazione delle scuole.
Cresce anche il numero degli insegnanti per il sostegno, ma uno su tre non ha una formazione specifica e il 20% è assegnato in ritardo.
Quanto alla didattica a distanza (DAD), resa necessaria dall’emergenza pandemica, rispetto all’anno precedente, si registra un aumento dei livelli di partecipazione. I motivi principali che hanno limitato l’adesione non variano però rispetto allo scorso anno; tra i più frequenti sono da segnalare:
- gravità della patologia (26%)
- disagio socio-economico
- difficoltà organizzativa della famiglia (entrambi al 14%)
- mancanza di strumenti tecnologici adeguati (11%).
Tecnologia e assistenza: “facilitatori” non sempre fruibili
La tecnologia può svolgere un’importante funzione di “facilitatore” nel processo d’inclusione scolastica, supportando l’alunno nella didattica e aumentando i livelli di comprensione.
In Italia il 75% delle scuole dispone di postazioni informatiche adattate alle esigenze degli alunni con disabilità, in cui la dotazione maggiore si registra nelle regioni del Centro (78%).
Il bisogno di questi strumenti però non è sempre soddisfatto: per il 67% delle scuole è insufficiente e tra gli ordini scolastici, ne è maggiormente sprovvista la scuola primaria.
Non è sufficiente poi il numero di assistenti all’autonomia e alla comunicazione, dove il rapporto alunno/assistente è di 4,6 a livello nazionale. Nel Sud, invece, il rapporto è di 5,4, con punte massime in Molise e Campania, dove supera la soglia di 9 e 15 alunni con disabilità per ogni assistente.
Barriere architettoniche: restano ancora un problema da risolvere
Nell’anno scolastico 2020-2021 sono ancora molte le barriere fisiche presenti nelle scuole italiane, dove soltanto una scuola su tre è accessibile per gli alunni con disabilità motoria.
La situazione è migliore nel Nord, in cui si registrano valori superiori alla media nazionale (37,5% di scuole a norma), mentre peggiora nel Mezzogiorno (28,4%).
L’assenza di un ascensore o la mancanza di un ascensore adeguato al trasporto delle persone con disabilità sono le barriere più diffuse (45%). Sono ancora tante poi le scuole sprovviste di servoscala interno (29%) o di bagni a norma (24,4%).
Le maggiori difficoltà di accesso riguardano gli alunni con disabilità sensoriali. L’accessibilità degli spazi dovrebbe, infatti, comprendere anche gli ausili senso-percettivi, necessari per favorire l’orientamento, all’interno dell’edificio scolastico degli alunni con disabilità sensoriali: solo il 16% delle scuole dispone di segnalazioni visive per studenti con sordità o ipoacusia, mentre le mappe a rilievo e i percorsi tattili, necessari agli alunni con cecità o ipovisione, sono presenti solo nell’1 % delle scuole.
La situazione riguarda tutto il territorio nazionale, con poche differenze tra il Nord e il Sud del Paese.
Abbiamo parlato di disabilità, autismo e inclusione scolastica con il delegato ANGSA (Associazione genitori soggetti autistici) per la scuola Stefania Stellino e Paola Bortoletto Presidente nazionale ANDIS (Associazione nazionale dirigenti scolastici).
Cosa è davvero importante per favorire una reale inclusione scolastica dei bambini autistici?

Risponde la presidente ANDIS: “È importante, come per qualsiasi altra condizione di disabilità, una formazione diffusa di tutti gli operatori scolastici. Non solo i docenti, ma anche i collaboratori scolastici e il personale amministrativo devono conoscere e saper affrontare le situazioni di “diversità” presenti a scuola. Inoltre, in particolare per i bambini con disturbo autistico, è importante curare la strutturazione dell’ambiente di apprendimento: spazi, arredi, colori, materiali, persone che interagiscono in un determinato momento, routine organizzative, strategie e supporti per la comunicazione devono essere attentamente progettate per poter incontrare al meglio il funzionamento della persona con autismo”.
“Vorrei però sfatare un mito” – aggiunge Stefania Stellino – “L’autismo è per tutta la vita. Sarebbe più corretto parlare di persone autistiche anche nella scuola. È importante poi partire da un punto di vista contrario rispetto al normale pensare: non partire da quello che già c’è e adattarlo alle persone con disabilità o autistiche. Occorre, invece, iniziare a costruire partendo da chi ha più necessità, dalle caratteristiche di base dell’autismo, da una base comune a tutti per poi costruire il resto: dagli spazi con pochi stimoli (colori, suoni), poca sollecitazione dal punto di vista delle luci, evitare luci al neon, insonorizzare le aule, pensare a spazi esterni usufruibili e a misura di persona autistica, perché ciò che può servire a un autistico può servire anche ad altri. Per la didattica pensare di lavorare con lavagna multimediale, con power point, con le immagini, poiché è importante “il vedere” una parola astratta e questo vale per tutti. Cambiamo paradigma, il punto di partenza per costruire una società e una scuola più inclusiva. Se invece penso di dover adattare le cose, si è già perdenti. Partiamo dalle fondamenta, da qualcosa di utile per tutti ma su misura degli autistici per la fruibilità del diritto allo studio. Dire inclusivo vuol dire tutto o niente, è una parola vuota di significato, bisogna mettere tutti nelle condizioni di poter godere del diritto allo studio. Per un autistico non è necessario conoscere tutto sul Leopardi, è importante però che gli trasferiamo delle competenze spendibili nella vita, quindi lavorare sulle autonomie, aspetti meno presenti nell’autistico.
Cosa si può fare di concreto, nella quotidianità, per favorire a scuola una dimensione davvero inclusiva?
“Aumentare la partecipazione e lavorare per l’autonomia” – risponde Paola Bortoletto– “La cosa più semplice ed efficace, purtroppo ancora troppo disattesa, è aumentare le occasioni di contatto, incrementare la partecipazione. Più i bambini con disabilità vivono e interagiscono con i coetanei, più gli uni imparano dagli altri. È evidente che i bambini con disabilità si giovano dalla presenza dei modelli dei compagni, ma deve essere altrettanto chiaro che gli “altri” imparano cose importantissime dal compagno disabile: imparano la pazienza, l’ascolto, la tolleranza; imparano a modificare i loro stili relazionali per adeguarli alle possibilità di relazione del compagno disabile, imparano a cercare di capire anche chi utilizza stili comunicativi diversi… un vantaggio non solo emotivo, ma anche cognitivo notevole. È una formazione di straordinaria importanza per gli adulti di domani. Più aumentano la partecipazione e l’autonomia, più diminuisce la disabilità.

Nella scelta degli obiettivi scolastici per i bambini disabili il principio guida deve essere, fin da piccoli “pensami adulto”. Anche la progettazione didattica, pertanto deve favorire prioritariamente la conquista delle autonomie di base, delle abilità sociali, della capacità di comunicare. Si tratta di competenze che per gli altri bambini si acquisiscono spontaneamente, anche fuori dalla scuola. Per i bambini disabili occorre invece insegnarle intenzionalmente, perché, a differenza della maggior parte dei coetanei, non sono capaci di sfruttare “automaticamente” le occasioni di apprendimento che l’esperienza offre loro, senza un aiuto intenzionale e strutturato”.
“Occorre anche sensibilizzare sulla differenza e non sulla diversità” – aggiunge la delegata ANGSA – “Perché ognuno di noi è differente dall’altro, far capire che esiste la differenza anche a scuola. Considerare ogni studente una persona con le sue caratteristiche e calibrare i tempi e le modalità per apprendere. Personalizzare il modo di apprendere, usare in certi casi un linguaggio semplificato, lavorare con le mappe concettuali, come nel caso dei dislessici ad esempio, far capire che la differenza deve essere compresa e accettata. È a dir poco assurdo che nel 2022 alcuni licei romani non accettano studenti con disabilità intellettiva, perché rallenterebbero la didattica e l’apprendimento degli altri. Eppure è così. Lo stigma sulla differenza, tenere lontano chi non è performante, è più che discriminatorio. Non deve più esistere il concetto di differente come aspetto penalizzante, siamo tutti differenti nel pensiero, attitudini, capacità di comprendere, ecc. Le differenze sono la base della società e solo così si può pensare a una dimensione inclusiva che non premia solo la prestazione.
Come fare affinché i programmi scolastici si possano integrare con il PEI del bambino o bambina con disabilità?

“Ogni bambino è diverso da un altro, quindi ogni PEI è diverso se non come impostazione” – risponde Stefania Stellino. “Perché con il nuovo decreto i PEI sono uniformi nella struttura, cambiano i contenuti. Se ho un ragazzo con necessità di parlare con le immagini, cercherò di rendere le lezioni e il programma inserendo nella spiegazione molte più immagini possibili o usando le LIM con grafici, ecc. per coinvolgerlo il più possibile. La didattica si può adattare laddove possibile. Rendere le lezioni più “abbordabili” per tutti, con semplici accorgimenti. Per esempio nella lezione di fisica oltre alla classica spiegazione si possono fare degli esperimenti in classe per “vedere” ed esperire la materia di studio. Sono stratagemmi tutto sommato utili per tutti non solo per il ragazzo disabile. Cercare strade per coinvolgerlo, cambiare il modo di fare didattica, per non isolare lo studente e farlo sentire diverso dagli altri. Partire dalle necessità particolari per arrivare al generale.
Aggiunge Paola Bortoletti: “Sono infatti gli insegnanti che, caso per caso, individuano quali sono i collegamenti tra il PEI dell’alunno con disabilità e la progettazione di classe. I PEI devono essere progettati sui bisogni e le potenzialità dell’alunno con disabilità, rispettando i suoi tempi e spazi di apprendimento. Conseguentemente saranno i programmi scolastici ad adattarsi alle diversità e alla promozione di percorsi formativi inclusivi, incoraggiando l’alunno nel suo percorso e favorendo il raggiungimento di risultati per lui gratificanti. Non esiste tematica, argomento, disciplina che non possa trovare un “aggancio” che consenta anche al bambino con disabilità di partecipare. Per questa ragione l’esonero da una o più discipline per l’alunno con disabilità è priva di senso. Ad esempio, se la classe sta affrontando un argomento di storia, il bambino con disabilità può, a seconda delle sue caratteristiche, lavorare sullo stesso argomento in modo semplificato, utilizzando schemi colorati, immagini, testi ridotti, ecc.”
Cosa consiglierebbe a genitori e docenti per favorire un dialogo costruttivo?

Risponde la presidente ANDIS. “Premesso che la dimensione inclusiva deve essere assunta dalla scuola tutta, tra le competenze del docente, le capacità relazionali dovrebbero essere un prerequisito. È essenziale poi un confronto costante con la famiglia per una condivisione del progetto educativo e formativo, garantito da momenti di ascolto, colloqui, incontri sistematici e multidisciplinari, azioni di raccordo col contesto di vita. I docenti dovrebbero considerare che le famiglie dei bambini con disabilità sono famiglie ferite, sofferenti. La sofferenza spesso produce rassegnazione oppure atteggiamenti rivendicativi. Spetta alla scuola accogliere questi atteggiamenti e rispondere con la forza degli argomenti, anziché ignorare o contro-aggredire. La fiducia non si può imporre, si costruisce con l’impegno, la sincerità e la reale volontà di fare il meglio per il bambino o la bambina. Spesso bisogna fare più tentativi, senza arrendersi alle prime incomprensioni. Le famiglie dovrebbero considerare che anche la scuola ha le sue difficoltà e anche per questo non sempre riesce a essere all’altezza delle aspettative. Il personale non è sempre adeguatamente preparato, molti dei docenti di sostegno sono precari, arrivano tardi e non assicurano continuità; non sempre si riesce a garantire tutta l’assistenza che sarebbe auspicabile, le risorse strumentali sono carenti, le difficoltà si ingigantiscono passando dal 1° al 2° ciclo d’istruzione. Eppure, al di là dei limiti, la scuola italiana è cresciuta moltissimo, proprio grazie alla presenza dei bambini e delle bambine con disabilità. Le competenze si costruiscono, con la formazione e con l’esperienza, con la volontà di lavorare in modo efficace. Fondamentale anche il ruolo del dirigente scolastico che ha il compito di promuovere un confronto e un dialogo costruttivo per valorizzare le buone prassi di natura pedagogica, perché l’inclusione implica una pedagogia di comunità e trova nell’esercizio di una leadership orientata all’apprendimento di qualità il suo “cuore pulsante”.
Concorda Stefania Stellino: “Il dialogo all’interno della scuola purtroppo non sempre è costruttivo. Capire che tutto ciò che si fa è finalizzato alla costruzione del futuro dello studente è fondamentale. È importante far capire ai genitori e agli insegnati che occorre rispettare i ruoli da entrambi le parti. Comprendere e rispettare i ruoli di tutti e capire che qualsiasi cosa si fa è per il benessere dell’alunno. Uno scambio costruttivo, un feedback continuo è utile anche al terapista che segue il bambino. Quindi, cercare il massimo della condivisione e scambiare informazioni giornalmente o settimanalmente, anche on line. Se non c’è comunicazione, il genitore è disorientato, non sa cosa succede. Deve farsi bastare magari i racconti degli altri bambini per capire come procede il percorso scolastico del figlio. Mettersi tutti a disposizione dell’altro sempre nel rispetto dei ruoli. Senza condivisione non si potrà costruire il futuro dell’alunno”.
C’è ancora tanto da fare nella scuola, ma sarebbe ingeneroso non riconoscere quanto si è fatto e quanto si sta facendo per una reale inclusione delle persone con disabilità e per garantire il diritto allo studio. La strada è lunga, spesso in salita, ma è un percorso avviato che non torna più indietro, anche grazie all’impegno di tanti docenti, genitori, associazioni e funzionari ministeriali che lavorano con onestà e dedizione per costruire una nuova scuola che non escluda nessuno e si arricchisca dalle differenze.
Fonti
- MIUR, Decreto interministeriale n. 182 MIUR,
- Linee guida del decreto interministeriale n. 182
- ISTAT, L’inclusione scolastica degli alunni con disabilità, A.S. 2020-2021