Qualche giorno fa il Comune di Nettuno ha somministrato un questionario che si somministra da 40 anni ai caregiver a livello internazionale, e non si sa bene per quale motivo si è scatenato un putiferio. O, per definire meglio cosa sia successo, diciamo che si è iniziato ad abbaiare alla luna, sport nazional popolare in Italia.
Fior fiori di esperti e opinionisti e anche qualche caregiver che forse non sa cosa sia il questionario somministrato si sono lanciati in richieste di chiarimento e di scuse perchè una della domande di questo questionario riguarda il senso di vergogna che il caregiver potrebbe o meno provare nei confronti della persona che assiste.
Apriti cielo! Come si può fare una domanda del genere?
Si può fare. Sì deve fare, nei contesti giusti.
Stiamo parlando del Caregiver Burden Inventory (CBI) che come spiega il nome aiuta a capire il carico (burden) che vive una persona caregiver: ripercussioni emotive, sociali, psicologiche, professionali. Si tratta di un test di autovalutazione per misurare il carico assistenziale per persone che si occupavano di anziani con demenza, Alzheimer o altre patologie neurologiche, ma che negli ultimi anni è stato utilizzato anche su altri studi pediatrici, studi su pazienti oncologici o con problemi di salute mentale.
È utile? Direi proprio di sì. È una cosa nuova? Direi di no.
Perché la società deve rendersi conto del carico emotivo, personale e professionale che si portano dietro le persone che dedicano gran parte della propria vita, se non tutta, a prendersi cura del proprio famigliare. Non è qualcosa che si sceglie a priori.
È una tegola che arriva in testa, che non ti aspetti, che stravolge la propria esistenza. È una situazione che porta a sviluppare sensi di colpa inimmaginabili, che porta ad annientarsi per accudire il proprio caro. Che ha ripercussioni serie e che non vanno sottovalutate.
Ho letto in questi giorni anche caregiver schifati dal questionario. Ma in che mondo vivono loro e gli altri che si sono precipitati a criticare?
Se non esistessero strumenti del genere come si potrebbe misurare (e quindi gestire) l’impatto del caregiving?
Il tema semmai (ma le lamentele non erano su questo aspetto, come mi sarei aspettata) è usare un questionario così utile per decidere se elargire o meno i fondi che spettano alle famiglie. Non serve a questo.
Il questionario serve per valutare l’impatto della malattia sulla vita della persona, analizzando cinque aspetti:
- Carico oggettivo (Dependent burden)
- Carico evolutivo (Development Burden)
- Carico fisico (Psysical Burden)
- Carico sociale (Social Burden)
- Carico emozionale (Emotional Burden)
Come viene ben spiegato dalla Società della Salute di Firenze (giusto una delle tante aziende sanitarie che utilizzato il CBI) questo test permette di “ottenere un profilo grafico del burden del caregiver nei diversi domini, per confrontare diversi soggetti e per osservare immediatamente le variazioni nel tempo del burden. I caregiver con lo stesso punteggio totale possono presentare diversi modelli di burden. Questi diversi profili sono rivolti ai diversi bisogni sociali e psicologici dei caregiver e rappresentano i differenti obiettivi di diversi metodi di intervento pianificati per dare sollievo agli specifici punti deboli specifici nel test. Le minori affidabilità del test si riscontrano a proposito del carico emotivo e sociale”.
E a proposito del carico emotivo e sociale.
Le emozioni del caregiver sono tante: dalla rabbia, al senso di impotenza, di dolore, di frustrazione. E sì, c’è anche la vergogna.
La vergogna che si può provare quando il proprio caro, magari in un luogo pubblico, ha determinati atteggiamenti che possono causare imbarazzo, perché le persone non sanno della malattia.
Sono tutte emozioni che andrebbero analizzate e approfondite, non stigmatizzate.
Chiedere (nei giusti contesti e nel modo appropriato) a un caregiver se prova vergogna non è un insulto, è un modo per capire come sta gestendo la situazione, come lo possiamo aiutare, come possiamo assisterlo.
Per stanziare dei fondi ai caregiver non serve questo questionario, e su questo credo che il Comune di Nettuno abbia peccato di superficialità: indipendentemente dal livello di stress che può provare un caregiver, questi fondi vanno comunque erogati e di certo non è misurando il carico emozionale che possiamo determinare se erogarli o meno, ma semmai altri parametri (economici, professionali, etc…).
Ma ripeto, il dibattito che si è scatenato non è stato sull’uso del questionario a fini economici, ma sull’esistenza del questionario stesso e su certi tipi di domande.
Domande che, estrapolate e decontestualizzate (Hanno chiesto a un caregiver se si vergogna del proprio figlio, scandalo!!!!!!) rischiano di non far comprendere il senso di valutazioni come queste che invece aiutano a comprendere la complessità del mondo dei caregiver.
Come sempre a noi italiani piace abbaiare. Abbaiamo alla luna, quasi con la bava alla bocca, per questioni che non conosciamo ma che crediamo di conoscere a fondo, abbocchiamo al primo titolone e ci scandalizziamo, senza prenderci il disturbo di fermarci, smettere di abbaiare e provare ad approfondire. A capire.
Che poi già oggi, passati i primi giorni, dei caregiver non gliene frega di nuovo niente a nessuno.