Viene chiamata “la malattia dai cento sintomi”, perché chi ne soffre prova l’esperienza di un dolore globale, diffuso in tutto il corpo e continuo. La fibromialgia era pressoché sconosciuta ai più, fino a pochi anni fa; oggi, grazie al lavoro delle numerose associazioni di pazienti, della Società italiana di Reumatologia e delle loro pressioni sulle istituzioni, tanti passi in avanti sono stati compiuti, come la creazione di un registro nazionale e quella di un fondo, stanziato dalla legge di bilancio 2022, per lo studio, la diagnosi e la cura della patologia. Però, solo l’inserimento della cura della fibromialgia nei livelli essenziali di assistenza, o Lea, consentirebbe un reale cambiamento: ovvero, permetterebbe al Sistema sanitario nazionale di fornire ai pazienti le cure multi-modali – cioè, da parte di un’équipe di specialisti – di cui hanno bisogno. Le questioni aperte, insomma, sono molte. Ecco perché, dopo il grande interesse suscitato da un nostro articolo, nonché dalle diverse testimonianze di persone famose che hanno raccontato la loro esperienza – l’ultima è la modella e influencer Giorgia Soleri – abbiamo deciso di tornare sull’argomento.
Cos’è la fibromialgia
La fibromialgia è definita come una “sindrome da sensibilizzazione centrale”. Significa, in pratica, che il sistema nervoso centrale ha delle disfunzioni nella percezione, trasmissione e processazione del dolore nell’apparato muscolo-scheletrico. Il che comporta una serie molto ampia di sintomi: oltre alla sofferenza a scheletro e muscoli, si presentano astenia, disturbi del sonno, problemi cognitivi – ovvero, di attenzione e memoria – problemi psichici, come ansia e depressione, e altri sintomi somatici e neurovegetativi, anche all’apparato genito-urinario. Dal punto di vista epidemiologico, secondo l’ultima mappatura compiuta dalla Società italiana di Reumatologia (Sir), la fibromialgia occupa il 2°-3° posto fra le malattie reumatiche: in Italia colpisce circa 1,3 milioni di pazienti. La Sir ha anche approntato un registro nazionale, cui partecipano 48 centri reumatologici in tutta Italia e che ha permesso, fino ad ora, di raccogliere i dati di seimila pazienti: «Si tratta del primo registro mondiale» dice Fausto Salaffi, professore associato di Reumatologia all’Università Politecnica delle Marche e responsabile del Registro Fibromialgia. Disponibile online, il registro consente di raccogliere dati anche sulla severità e sull’impatto della malattia, sulle orme di uno studio conoscitivo che, come racconta il professor Salaffi, «è stato condotto su duemila pazienti, provenienti da 19 centri italiani. Ha consentito di dimostrare che almeno 550 mila persone in Italia soffrono di forme severe di fibromialgia».
All’origine della fibromialgia

Le novità più importanti in ambito scientifico riguardano l’indagine sull’origine della malattia. Come racconta il professor Salaffi, le tecniche di neuroimaging, quale, ad esempio, la risonanza magnetica funzionale, hanno consentito di documentare il ruolo dei meccanismi neuro-infiammatori nel dolore cronico del sistema nervoso centrale. In particolare, alcuni dei sintomi, come la neuropatia, sarebbero causati nei pazienti fibromialgici da un fenomeno organico, ovvero dalla riduzione delle fibre di piccolo calibro.
«Queste scoperte hanno ricadute sul piano terapeutico» dice Salaffi «cioè, i farmaci per il controllo della neuro-infiammazione potrebbero rivelarsi più efficaci di altri, come ad esempio quelli per la depressione». Proprio la depressione risulterebbe legata bilateralmente alla fibromialgia – ne è, a un tempo, sintomo e conseguenza – e avrebbe un ruolo centrale nel percorso terapeutico: percorso che, secondo le recenti linee guida europee, si deve basare su un approccio multi-modale, che comprenda, cioè, gli aspetti educazionale, comportamentale, farmaceutico e riabilitativo. Ogni persona, in questa patologia, è un mondo a sé: ecco perché le varie componenti della cura vanno modulate caso per caso. «Non esiste la fibromialgia, esiste il paziente» è il motto di Salaffi. «La terapia farmacologica comprende duloxetina (farmaco anti-depressivo, che agisce come inibitore della ricaptazione della serotonina e si è rivelato efficace contro il dolore della fibromialgia, ndr) e pregabalin (un agente anticonvulsivante attivo anche contro le neuropatie, ndr)» precisa il professore. Spesso, inoltre, sono impiegati nelle terapie altri due farmaci di tipo nutraceutico (prodotti che contengono principi normalmente presenti negli alimenti, ma in forma di farmaco, e che favoriscono il normale funzionamento dell’organismo, ndr): «Si tratta di Lcd Carnetina e Pea» aggiunge il professore «accettati da Ema, inseriti in tutte le linee guida, ma non ancora approvati da Aifa». Tutto questo, però, non è ancora sufficiente; occorre anche altro. «Sembrano avere riscontro in letteratura i benefici di terapia fisica, bagno terapia, meditazione mindfulness, Tai Chi e Qi Gong in aggiunta alle normali terapie» aggiunge Salaffi. Alcuni articoli in materia sono già stati pubblicati – si veda, ad esempio, questo – mentre uno studio specifico sul tai-chi è al momento in corso, sotto l’egida del Comitato Fibromialgici Uniti. La ricerca, i cui referenti medici sono la dottoressa Rosa Grazia Bellomo e il dottor Michele Gardarelli, riguarda 42 persone con fibromialgia e un gruppo di controllo con lo stesso numero di partecipanti. Durante incontri a cadenza bi-settimanale, si cercano di individuare eventuali benefici dell’antica tradizione cinese, riconosciuta da Unesco come Patrimonio dell’Umanità, in associazione con la normale terapia farmacologica, e in campi ben precisi: la riduzione della sintomatologia del dolore e della fatica e il riposo notturno soddisfacente.
Il nodo della diagnosi
Benché, come fa notare Salaffi, negli ultimi anni siano stati pubblicati duemila articoli scientifici sull’argomento, la diagnosi di fibromialgia è ancora un nodo cruciale. Fino al 2010, essa veniva effettuata sulla base della riscontrata sensibilità, in seguito a pressione di una forza di 4 kg/cm2, di almeno 11 su 18 cosiddetti tender points, ovvero punti sensibili del corpo situati tra muscoli e tendini. Nel 2010 l’American College of Rheumatology ha formulato nuovi criteri classificativi, basati sui risultati di due diverse valutazioni: il Widespread Pain Index and il Symptom Severity Score, che prendono in considerazione, tra gli altri, anche il sintomo della cosiddetta fibro-fog, ovvero la mente annebbiata, generata dalla neuro-infiammazione. Al momento, però, non ci sono indagini strumentali che consentano di individuare con certezza la patologia. Tuttavia, per favorire il processo di individuazione della malattia, la Sir ha messo a punto vari strumenti a beneficio dei medici: fra questi una app chiamata Sifis, disponibile per ambienti iOS e Android, che consente velocemente di individuare le domande giuste da porre alla persona da curare.

«Occorrono sette anni per avere una diagnosi», lamenta Sabrina Albanesi, responsabile dei rapporti istituzionali del Comitato Fibromialgici Uniti, esprimendo in cifre la difficoltà dei pazienti nel dare un nome al dolore di cui soffrono. Un nome, che poi vuole dire una cura, la ricerca di un percorso. Anche se, va detto, «oggi se ne parla di più, grazie anche al lavoro svolto dalle associazioni come Cfu, con incontri dal vivo e online, banchetti informativi in tutta Italia e innumerevoli occasioni di sensibilizzazione sulla fibromialgia». Dalle parole di Albanesi emergono almeno altre due questioni: la prima, è il rapporto delicato, almeno fino a pochi anni fa, con i medici di medicina generale che spesso «non conoscevano la malattia». La seconda è il ruolo cruciale svolto dalle associazioni nell’accompagnare i pazienti in quello che facilmente si trasforma in un peregrinare alla ricerca dello specialista giusto, che sappia inquadrare il paziente e curarlo. Prima e dopo la diagnosi, le spese in farmaci e visite private sono altissime, quantificabili, secondo Albanese, in circa «500 euro al mese». Ma il problema è che i centri dedicati alla patologia, in cui poter essere presi in carico da diversi specialisti, ancora sono pochissimi. Il consiglio, quindi, resta quello di fare comunità: «Non isolarsi, non chiudersi in sé stessi, parlare con gli altri malati e intraprendere un percorso di accettazione del proprio corpo che cambia».
L’altra faccia della medaglia

Il faro acceso sulla fibromialgia ha migliorato la sensibilità sull’argomento, ma ha anche qualche effetto indesiderato. Giusy Fabio, Vice Presidente Аisf (Associazione volontariato a supporto dei pazienti fibromialgici), mette in guardia sui rischi dell’eccessiva visibilità: «Oggi tante persone parlano di fibromialgia e molti se ne ergono paladini» dice «nonostante la sensibilità da parte di politici, sanitari, associazioni ed enti sia aumentata, la visibilità può avere anche un effetto boomerang. Ovvero, oggi i medici conoscono maggiormente la patologia e sovente il paziente viene bene inquadrato, ma spesso si corre il rischio di dare in fretta la diagnosi di fibromialgia e trascurare eventuali altre patologie reumatiche concomitanti». Quel che è importante, anche secondo Fabio, è stimolare il paziente a trovare in sé stesso la capacità di affrontare la malattia. In questo le associazioni di pazienti sono preziose: «Il primo passo per un nuovo paziente è iscriversi a un’associazione. È uno strumento fondamentale di consapevolezza per l’accettazione di una malattia cronica: sento molto spesso pazienti disperati, che hanno un’enorme paura di finire su una sedia a rotelle, e che invece trovano nell’associazione un aiuto per comprendere meglio la patologia».
Inserimento nei Lea: una questione ancora aperta
L’ultima questione aperta della fibromialgia riguarda l’inserimento nei Livelli essenziali di assistenza. Il precedente aggiornamento dei Lea, che non comprende la fibromialgia, è stato deciso nel 2017 ed è ancora bloccato alla Conferenza Stato Regioni, in attesa dell’approvazione del Decreto Tariffe. Solo quando tale provvedimento sarà approvato, si potrà ragionare su nuovi Lea da applicare in futuro che potrebbero, a questo punto, contemplare anche la fibromialgia. Per sostenere questa istanza, l’associazione Cfu ha consegnato al Ministero della Salute una petizione con circa 70 mila firme autografe, per il riconoscimento della Fibromialgia ed inserimento nei Lea. Secondo le associazioni dei pazienti, tale traguardo, per il quale si lotta da tempo, sarebbe un autentico e necessario punto di svolta: perché, se è vero che non tutte le prestazioni saranno in regime di esenzione, si potrà però avere un punto di partenza concreto, fondamentale per la tutela del paziente.
Se la questione Lea è ancora da definire, una buona notizia c’è, ed è l’istituzione, da parte della legge di bilancio 2022, di un Fondo per lo studio, la diagnosi e la cura della fibromialgia con una dotazione di 5 milioni di euro, ripartito fra tutte le regioni in base alla popolazione. Ma anche qui c’è un però: «Alcune regioni non sanno bene cosa fare o, addirittura, non sanno nemmeno che questi fondi sono disponibili» dice Fabio «ecco perché le associazioni hanno un ruolo fondamentale, devono muoversi e farlo in fretta: è bene ricordare che se i fondi non vengono utilizzati, si perdono».