Diventare mamma adottiva è un percorso molto complesso e lo diventa molto di più quando nella coppia, vi è una persona con disabilità. Sebbene secondo la normativa vigente in materia, legge 149/2001 e legge 476/1998, che hanno ratificato la Convenzione internazionale dell’Aja sulle adozioni di bambini stranieri, non si contempli alcuna restrizione che possa essere di ostacolo per una persona con disabilità ad intraprendere questa strada, sono ancora statisticamente pochi i casi di adozione, nazionale ed internazionale, con esito positivo.
Un sentiero stretto e tortuoso costituito da numerose barriere da superare.
Tutti gli attori coinvolti in un procedimento di adozione, Tribunali dei minorenni e servizi territoriali degli enti locali, “mediatori” nei confronti dei Paesi stranieri autorizzati dalla Cai-Commissione adozioni internazionali della Presidenza del Consiglio, pongono al centro dello stesso, la tutela dell’interesse del minore, che riveste una particolare priorità rispetto ad altre questioni, considerate subordinate rispetto a quest’ultimo ed allo stesso diritto di genitorialità della coppia, paradossalmente non regolamentato dalla legislazione italiana.
Benché siano previsti requisiti molto rigidi di cui essere in possesso, tra cui lo stato di salute della coppia, così come età, condizioni economiche e la sussistenza di altri criteri, ai fini dell’idoneità all’adozione, l’essere una persona con disabilità non preclude tuttavia la possibilità di potervi procedere. Il principio guida seguito dal Tribunale minorile è infatti generalmente quello di non far adottare un bambino già abbandonato da chi, per la malattia già in essere, potrebbe “lasciarlo”, suo malgrado, in una nuova situazione di “abbandono”.
Vi raccontiamo la storia di Giovanna (nome di fantasia), mamma con osteogenesi imperfetta, che ha deciso di adottare un bambino. Giovanna è una donna con una disabilità che la rende fisicamente vulnerabile, ma quanto più è fragile nel fisico, tanto più la sua tenacia fa di lei una persona forte e determinata.
Una storia molto travagliata, la sua, per la quale preferisce rimanere anonima.

Giovanna, raccontaci la tua storia
“Ho la Osteogenesi Imperfetta, detta anche malattia delle ossa di cristallo, una patologia genetica rara che causa fratture spontanee soprattutto da piccoli. Non ho l’uso degli arti inferiori, quindi mi sposto sulla mia sedia a rotelle. Quando ho conosciuto quello che oggi è mio marito, in alternativa ad una maternità naturale, difficile da portare avanti nella mia condizione, mi propose di adottare un bambino. Istintivamente mi sembró un’idea folle, ma sono abituata alla follia.
Nella mia vita ho sempre affrontato con grande entusiasmo le nuove sfide. Mio marito mi chiese di provarci, rassicurandomi che quand’anche non fosse andata bene, avremmo comunque continuato ad essere una famiglia. Forte delle sue rassicurazioni decisi allora di assecondare il suo desiderio di paternità”.
Hai mai desiderato di diventare madre?
“Prima di allora non avevo mai avvertito l’esigenza di diventare mamma. Credo che questo sia dipeso dall’essere cresciuta circondata da persone che mi ricordavano continuamente quello che Non ero in grado di fare: NON puoi lavorare, NON puoi sposarti, NON puoi avere figli, seguitavano a ripetermi insistentemente. Inoltre l’idea di mettere al mondo un figlio con la mia patologia, mi frenava. La consapevolezza di non poter prendermi cura del mio bambino, come sarebbe stato giusto che io facessi, mi terrorizzava, ma la speranza non mi ha mai abbandonata.
Come è stato il percorso che ti ha portato all’adozione?
L’iter che ci ha portati ad adottare nostro figlio è stato lungo e pieno di difficoltà.
Dal momento in cui abbiamo fatto domanda di adozione a quando questa sia giunta a compimento,
sono passati ben 6 anni.
Non pensiamo affatto di essere stati gli unici genitori ad aver dovuto attendere così tanto, ma nel nostro caso gli incontri con la psicologa e l’assistente sociale del tribunale sono stati 12, a differenza delle altre coppie che solitamente ne fanno 3 o 4.
Durante gli incontri non facevano altro che ricordarci che il loro compito era prima di tutto quello di tutelare il minore.
Non capivo: chi stavano tutelando visto che non c’era ancora nessuno da dover proteggere accanto a me?
Avevo spesso la sensazione che se avessi fatto la brava e avessi risposto a tutte quelle domande, avrei ricevuto il premio messo in palio per essermi sottoposta a quegli interminabili interrogatori. Non era una bella sensazione quella che provavo durante quegli incontri. Ci tengo però a dire che tutto sommato ci riteniamo fortunati nell’aver trovato operatori ben disposti ad ascoltarci ed a comprendere fino in fondo la nostra situazione.
I veri problemi sono arrivati quando abbiamo dovuto fare la scelta dell’ente che, come da prassi, ci avrebbe affiancati nel nostro percorso adottivo, in quanto gran parte di essi ha rifiutato di prenderci in carico.
Qualcuno ci ha definiti persino una ”rogna”, ma alla fine abbiamo trovato nella Comunità di Sant’Egidio persone disposte a sostenerci. Sono una persona che affronta i problemi soltanto nel momento in cui mi si presentano e questo penso mi abbia aiutata ad affrontare tutto senza farmi grosse aspettative e subire grandi scossoni a livello emotivo”.
Ti sei mai chiesta se saresti stata in grado di crescere tuo figlio con la tua disabilità?
“Mi sono battuta per diventare madre, l’ho fatto senza mai pensare al dopo, farlo, avrebbe potuto distogliermi dal mio obiettivo, quindi non mi sono mai posta la domanda se fossi stata in grado di crescere un figlio con le mie difficoltà.
È una riflessione questa subentrata, a posteriori, che mi ha colta impreparata nella mia fragilità di madre, la prima volta che sono rimasta da sola con mio figlio. Quel pomeriggio ero talmente preoccupata di non potercela fare con le mie forze ad affrontare quella situazione, al punto da scoppiare in un pianto inaspettato. Sono cresciuta in una famiglia dove i miei genitori si sono sposati non per amore ma per decisione della mamma di mia madre e della sorella di mio padre. I miei avevano 18 anni di differenza d’età l’uno dall’altra, a loro modo si sono rispettati, trovando un loro equilibrio, e questo mi ha portata da sempre a pensare, spesso desiderando che questo potesse avverarsi, a come sarebbe stato se fossi nata in un’altra famiglia che non fosse la mia. Credo che ogni famiglia abbia i suoi problemi e le sue imperfezioni e che ad un bambino serva soprattutto l’amore per crescere, ed io e mio marito avevamo tanto amore da dare, in più quello che mi ha sempre resa tranquilla è stato il sostegno dei miei suoceri ed un’ottima rete di amici, che non hanno mai smesso di starci accanto”.
Qual è stato il momento più difficile che hai dovuto affrontare?
“Penso che sarà quello che deve ancora arrivare, al momento stiamo affrontando l’adolescenza di un ragazzo adottato, non facile da gestire”.
E quali sono state invece le emozioni che hai provato la prima volta che hai tenuto tra le braccia tuo figlio?
“Sicuramente dopo la paura iniziale di non essere all’altezza di quella che è una situazione nuova da vivere, è una gioia che non si può descrivere a parole. Ho abbracciato per la prima volta mio figlio quando eravamo ancora in un Paese che non era il nostro. C’era sempre la paura che qualcosa potesse andare storto.
Ho riprovato anche in seguito la gioia di quei primi istanti, ogni volta che lavavo il mio bambino, quando lo vestivo, quando mi si addormentava accanto, quando lo osservavo mentre gioiva per le cose che non aveva mai visto perché in istituto era abituato a vivere con poco”.
Cos’hai provato la prima volta che ti sei sentita chiamare mamma e cosa si prova ad essere madre?
“Una grande gioia. E’ scoprire giorno per giorno che lui ha bisogno di te. Imparare a capirsi, ritrovarsi giocattoli sparsi in giro per casa, parenti e amici che vogliono conoscerlo e tu sei chiamata anche a contenere il loro entusiasmo.
Come è stato, crescere tuo figlio?
“Crescere un bambino o un ragazzo adottato è vivere sempre cercando di colmare un vuoto, di essere pronta a dare la risposta migliore alle sue domande e cercare di non fargli odiare quello che è stato il suo vissuto prima di noi, e non è detto che si riesca a farlo”.
Hai mai avuto ripensamenti, con il senno di poi?
“No, anzi pur avendo vissuto l’iter forse con un certo distacco, nello stesso istante in cui ho preso in braccio mio figlio per la prima volta, è diventato immediatamente la persona più importante della mia vita”.
Consiglieresti ad altre donne con disabilità di fare la scelta dell’adozione?
“Non è un consiglio che si può dare, ognuno deve fare i conti con quelli che possono essere i propri desideri, la propria vita, dipende anche dalla persona che si ha accanto. Se sono così serena lo devo indubbiamente a mio marito che è una persona affidabile, con un grande senso della famiglia ed agli amici che non mi lasciano mai sola”.
Benché la storia di Giovanna e della sua maternità, cercata ed a lungo attesa, abbia avuto un esito positivo, lascia comunque spazio a diversi interrogativi.
Uno tra tutti è quello riguardante un importante vuoto legislativo del nostro ordinamento, come il non predisporre, accanto al sacrosanto diritto del minore ad essere tutelato in quanto tale, delle misure dal medesimo tenore per tutelare il diritto alla genitorialità di madri o di padri con disabilità, una prerogativa che merita, al pari dell’interesse prioritario del minore, altrettanta attenzione.
Una grave omissione giuridica in profonda dissonanza rispetto a quanto previsto dall’articolo 23 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, sottoscritta peraltro anche dall’Italia, che fa obbligo agli Stati firmatari, di mettere in atto misure idonee a rimuovere gli ostacoli che danno origine a discriminazioni che riguardino il matrimonio, la paternità, ed in generale, le relazioni personali delle persone con disabilità.
Fonti:
- https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2001/04/26/001G0206/sg
- https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1998-12-31;476!vig=
- http://www.informareunh.it/la-convenzione-delle-nazioni-unite-sui-diritti-delle-persone-con-disabilita/