Da malattia rara come la distrofia di Becker o di Duchenne non si guarisce, perché non c’è ancora una cura. E non fa sconti, non regala nulla, se non una vita piena di ostacoli da superare, ogni volta con più fatica. Il suo principale nemico però si chiama vita, sogno, speranza, guardare avanti. Il desiderio che in futuro nessuno sia più costretto ad abituarsi a una vita a ostacoli e che di fronte alla diagnosi possa ascoltare queste parole: ”Fortunatamente è curabile”. Antonio confida nella scienza e nella medicina e ci racconta la sua storia.

Quando si parla di distrofia muscolare di Becker non si può non parlare anche della distrofia di Duchenne. Sono entrambe patologie neuromuscolari di origine genetica legata al cromosoma X. Si chiamano distrofinopatie, perché sono causate da un difetto della produzione di distrofina, una proteina contenuta nella membrana della fibra muscolare e legata a molte altre proteine della membrana stessa. Si caratterizzano dalla totale assenza di distrofina (parziale invece nella distrofia di Becker) e da una degenerazione progressiva dei muscoli scheletrici, lisci e cardiaci, che determina uno stato di debolezza muscolare diffusa, fino alla graduala perdita del tessuto muscolare. La debolezza si inizia a notare verso i 2-3 anni e impedisce al bambino di svolgere semplici attività come salire le scale, sollevarsi da terra, correre e saltare. Crescendo, i problemi nella deambulazione progrediscono, fino alla perdita dell’autonomia: si passa all’uso delle stampelle, fino alla sedia a rotelle.
L’aspettativa di vita, grazie alla ricerca è raddoppiata negli ultimi anni.
Questo è ciò che si scrive comunemente nei testi di Medicina. Ma per capire davvero cos’è la distrofia di Becker non possiamo che ascoltare la storia di Antonio, 20 anni. Lui può raccontarci come si convive con una malattia così invadente e invalidante, difficile da gestire, ma che non può sconfiggere il sogno, il ricordo del mare, l’amore per gli altri e tutto quello che di buono ci lascia ogni esperienza, anche quella negativa.
Antonio, quando ha saputo della malattia?
Ho saputo della malattia quando ero molto piccolo, ricordo che la diagnosi mi venne fatta quando frequentavo ancora l’asilo; nonostante i primi problemi fisici le frequenti visite in ospedale, rivivo quei momenti con l’inconsapevolezza e l’ingenuità tipica di un bambino.
Non ho, del resto, molti ricordi di quel periodo, ma quei pochi di cui ho memoria sono ricordi vivi e tangibili, alcuni divertenti o piacevoli. Ricordo, dopo la biopsia, di aver condiviso la stanza con un altro bambino, di cui purtroppo non ricordo il nome. Passavamo le giornate guardando i Gormiti, ma non posso nemmeno dimenticare gli scorci del mare su cui affacciava il Gaslini di Genova. Bisogna conservare, nella nostra mente, ciò che di buono ci lascia ogni esperienza negativa.
Come è stata la sua infanzia e il rapporto con gli altri bambini?
Devo dire che la mia è stata una buona infanzia, spensierata e divertente; fino al primo vero decadimento fisico, che avviene di solito dopo i 10 anni, le cose per certi versi tendono ad essere più semplici. Fortunatamente, già dall’asilo conobbi degli amici, che frequento tuttora, con i quali mi sentivo, per certi versi, “normale”. Fortunatamente, avendo un carattere molto espansivo riuscivo a esternare le mie difficoltà; nonostante ciò, non posso nascondere che salire le scale, nel mio modo goffo, mi metteva un po’ a disagio, oppure che essere nettamente più piccino dei miei coetanei mi rendeva nervoso…Tutto sommato la mia è stata una bella infanzia. Ovviamente poi con gli anni, l’adolescenza e il passaggio al mondo degli adulti, le cose sono diventate più grandi e difficili da gestire, partendo dalle relazioni, fino al rapporto con le altre persone.
Qual è il suo sogno nel cassetto, cosa vorrebbe raggiungere?
Nell’immediato, il mio obiettivo è quello di riuscire a laurearmi; per quanto riguarda il mio sogno nel cassetto, vorrei diventare un divulgatore storico e umanista, vorrei poter raccontare storie interessanti alle persone, che sia per mezzo della scrittura o dell’oralità, questo poi lo vedremo. Per adesso, oltre a studiare, sto portando avanti i miei progetti sui social: il progetto Sirio su Youtube e Tik Tok, che si occupa di attualità, storia e contemporaneità, e il mio canale omonimo, Antonio Laurenzana, dove parlo di cinema, una delle mie passioni.
Al momento non esiste una cura. Come vive l’attesa?
Sfortunatamente non esiste ancora una cura ma sarò sincero: l’attesa non la vivo, credo che trascorrere la mia vita nella speranza di una cura mi distolga da ciò che adesso posso migliorare o cambiare. Non nascondo che nel caso domani fosse trovata una cura, sarei incredulo e pieno di gioia, ma questa è un’ipotesi così grande che non riesco nemmeno a immaginarla. Per adesso, il mio obiettivo è lavorare, ogni giorno, per una convivenza più “serena” possibile con la mia malattia. Io ormai l’ho conosciuta la distrofia, sono vent’anni che ne soffro, è brutto da dire, ma per certi versi mi sono abituato al dolore che comporta, sia a livello fisico che emotivo. Il mio unico desiderio è che, in futuro, nessuno debba essere più costretto ad abituarsi, che di fronte alla diagnosi venga detto: ”Fortunatamente è curabile”. Io confido nella scienza e nella medicina, sono sicuro che un giorno accadrà questo, magari tra un anno o magari tra 10, 20, questo non mi è dato saperlo, per adesso non voglio basare la mia esistenza sull’attesa, voglio agire per quel che posso, con i mezzi che adesso abbiamo a disposizione. Con Parent Project lavoriamo per migliorare la vita dei pazienti e per mettere le basi di un futuro migliore e chissà, magari con una cura.
Quanto conta fare rete, comunità con le persone che condividono il suo stesso percorso?
Come si dice, l’unione fa la forza, credo non ci sia nulla di più prezioso che potersi confrontare con persone che condividono il mio stesso percorso, paure, gioie e dolori. Molto spesso, quando si convive con malattie rare, ci si sente soli, raro infatti significa scarsamente frequente o difficilmente reperibile, ragion per cui, nella vita di tutti giorni, sarebbe difficile trovare persone come te, affette dalla stessa patologia. Per questo è fondamentale il ruolo dell’associazione, nel mio caso tramite essa si accorciano le distanze e adesso, con l’avvento di internet e dei social è diventato ancora più facile. Il confronto è una delle armi più potenti che abbiamo, trovare persone con le quali condividere lo stesso problema è fondamentale, ci dà una grande mano nel rapportarci con la malattia e nella convivenza di tutti i giorni.
Cosa si sente di dire a chi non vive la malattia, quale prospettiva vorrebbe comunicare?
A chi non vive la mia malattia, dico di non restare indifferenti, c’è bisogno che ognuno di noi si interessi a ciò che è diverso, cerco di fare lo stesso anch’io, soprattutto con persone che hanno altre disabilità diverse dalla mia. Persone con cecità, autismo o sindrome di Down hanno bisogni tanto simili e allo stesso tanto diversi dai miei. Questo per ribadire quanto sia importante rapportarci con il “diverso” e aprirci alle difficoltà altrui. Solo mediante una società aperta e sensibile a queste tematiche le disabilità potranno essere sconfitte.
Alla ricerca di una cura

Per curare la DMD si deve in qualche modo bloccare o almeno ridurre la degenerazione muscolare in atto. Al momento l’unica terapia universalmente utilizzata si basa sui farmaci corticosteroidi (cortisone) che agiscono intervenendo sui processi antiinfiammatori e riducendo le reazioni immunitarie coinvolte nella progressione della malattia. Abbiamo chiesto al Prof. Antonio Toscano (UOC di Neurologia e Malattie Neuromuscolari, Centro di Riferimento Regionale per le Malattie Neuromuscolari Rare – AOU Policlinico di Messina) a che punto siamo.
“L’esperienza suggerisce che per assistere a un buon miglioramento il trattamento farmacologico deve iniziare prima che il bambino raggiunga il massimo delle sue capacità fisiche, cioè verso i 4-6 anni. Nonostante l’aiuto fornito dai corticosteroidi, questi non rappresentano una terapia in grado di risolvere la malattia, piuttosto è un trattamento palliativo che rallenta, in maniera provvisoria, la degenerazione muscolare. Inoltre, i pazienti che prendono corticosteroidi devono fare i conti con tutta una serie di gravi effetti collaterali quali cambiamenti comportamentali, riduzione della crescita, aumento eccessivo di peso, osteoporosi, intolleranza al glucosio, cataratta, ecc.”
Quali sono le altre possibilità di trattamento? Ci sono cure sperimentali?
“Da realtà consolidate, come l’Ataluren, approvato dall’AIFA nel 2021, a nuove promettenti molecole, la ricerca di base e trial clinici costituiscono da sempre il punto di partenza per innovazioni terapeutiche che possano modificare il decorso di patologie disabilitanti come la Duchenne o la Becker. Riguardo la DMD, indico di seguito i principali risultati che sono stati recentemente evidenziati nella letteratura scientifica”.
- ATALUREN. È una molecola approvata dall’AIFA per il trattamento di bambini di età superiore a due anni e con capacità di deambulare conservata, affetti da DMD legata a mutazioni “nonsense” (una specifica forma di mutazione del DNA) nel gene della distrofina. È un farmaco che consente di ripristinare parzialmente la presenza della distrofina.
- OLIGONUCLEOTIDI ANTISENSO (ASO) – Gli Oligonucleotidi Antisenso sono il frutto della ricerca nell’ambito della biologia molecolare e della genetica. Sono delle piccole molecole in grado di interagire con RNA messaggero (mRNA) delle cellule, modulando l’espressione genica e modificando il risultato proteico finale. Uno di questi ASO è l’Eteplirsen che consente di escludere un frammento di mRNA alterato e permette la sintesi di una distrofina parzialmente funzionante. Tale meccanismo d’azione è definito “Exon skipping (letteralmente “salto dell’esone”). L’uso dell’Eteplirsen è studiato per il trattamento di pazienti con mutazioni della distrofina che riguardano lo skipping dell’esone 51 (circa il 14% delle mutazioni responsabili di DMD). Altri ASO come Godolirsen e Vitolarsen sono in fase di studio per lo skipping dell’esone 53, mentre il Casimersen agisce sull’esone 45.
- GIVINOSTAT. È un inibitore delle deacetilasi istoniche (HDAC) con attività antinfiammatoria. È in corso un trial di fase III (EPIDYS), di cui lo scorso luglio sono stati discussi i dati preliminari che mostrano un rallentamento della progressione della malattia nei pazienti trattati con Givinostat rispetto a quelli trattati con placebo.
- STEROIDI. In tema di terapia antinfiammatoria, lo studio multicentrico “FOR-DMD” ha confrontato tre diverse modalità di somministrazione di terapia steroidea e ha consentito di individuare nel deflazacort e nel prednisone, con somministrazione giornaliera, i regimi terapeutici più efficaci. Questi due farmaci hanno mostrato i risultati migliori nel mantenimento della forza muscolare alle valutazioni motorie dopo tre anni dall’inizio della terapia con, inoltre, profili di sicurezza simili. Deflazacort e prednisone sono inseriti, ai sensi della Legge 648/96, nella lista dei farmaci distribuibili a totale carico del Sistema Sanitario Nazionale per l’indicazione terapeutica della DMD.
- TERAPIA GENICA. È una strategia mirata a introdurre nell’organismo il gene mancante, la distrofina. In particolare, si propone di utilizzare una versione del gene di dimensioni ridotte, chiamata “MicroDistrofina”, della quale esistono varianti differenti. Sicurezza ed efficacia della terapia genica sono attualmente oggetto di valutazione in trials di fase III.
- PAMREVLUMAB. È un anticorpo monoclonale con proprietà antifibroblastiche diretto contro il fattore di crescita del tessuto connettivo (CTGF). È noto che l’alterazione della struttura della fibra muscolare fa iniziare un processo di sostituzione fibro-adiposa; Pamrevlumab agirebbe proprio a questo livello. Alcuni trials di fase III valuteranno il profilo di efficacia e di sicurezza di questo farmaco.
- ALISPOVIR. La conoscenza di tutte le strutture cellulari coinvolte nei meccanismi fisiopatologici della DMD offre importanti spunti di ricerca traslazionale. Alisporivir, un inibitore della ciclofilina già utilizzato per l’epatite C, ripristinerebbe la massima capacità respiratoria mitocondriale, che è alterata nel tessuto muscolare dei pazienti affetti da DMD.
“Nell’ottica di terapie miste in affiancamento ad una eventuale terapia genica, a molecole che agiscono a vari livelli nella DMD – conclude il Prof. Toscano – ovvero che prevengono l’infiammazione, riducono il danno muscolare, ne accelerano la riparazione e incrementano la perfusione sanguigna e la respirazione cellulare mitocondriale del tessuto muscolare, devono essere tenute in conto per futuri approcci terapeutici combinati”.
Distrofia di Duchenne e screening neonatale
Negli Stati Uniti la distrofia muscolare di Duchenne sembra abbia tutte le carte in regola per entrare a far parte del Recommended Uniform Screening Panel (RUSP), il documento che elenca le malattie per cui è raccomandato lo screening neonatale. Attualmente il RUSP comprende 35 patologie principali e 26 secondarie: le ultime malattie aggiunte alla lista sono la malattia di Pompe e l’atrofia muscolare spinale (SMA). La prossima potrà essere proprio la Duchenne.
Per entrare nell’elenco del RUSP, infatti, è necessario eseguire un progetto pilota di screening neonatale e questo passo è stato appena concluso per la Duchenne. Più 36.000 bambini nati nello Stato di New York sono stati sottoposti a screening negli ultimi due anni con l’obiettivo di evitare alle famiglie di vivere una lunga odissea diagnostica e di garantire che ogni neonato riceva un trattamento tempestivo al momento della diagnosi.
I dati del progetto sono in fase di analisi. Benché la strada per sconfiggere questa malattia sia ancora lunga, il completamento di questo progetto pilota è un passo importante e potrà essere preso come modello, in futuro, per lo screening neonatale dei bambini con Duchenne non solo negli USA.
E in Italia? La prima novità riguarda un nuovo progetto dal titolo “Screening infantile a 2 livelli per la distrofia muscolare di Duchenne: uno studio pilota in Sicilia”. Si tratta di uno studio finanziato in Sicilia, all’interno di un programma chiamato PRIORITY, lanciato per finanziare progetti destinati a migliorare lo screening neonatale della distrofia muscolare di Duchenne e a supportarne la diagnosi precoce. Il programma prevede un primo livello di screening con l’obiettivo di valutare i livelli di CK (Creatinchinasi) in tutti i bambini maschi residenti nelle provincie di Messina e Catania, di età compresa tra 6 mesi e 42 mesi nell’arco di un anno e mezzo. Il secondo livello prevede l’esecuzione di esami genetici nei bambini positivi al primo screening e/o controlli clinici secondo le linee guida correnti presso il Policlinico “G. Martino” di Messina.
La scienza va avanti, si impegna, cerca nuove strade, non si arrende. Ma nella vita di tutti giorni, l’attesa non serve, occorre vivere, andare avanti. Occorre non sentirsi soli, ma appartenere a un gruppo, a un’umanità che ti può capire, perché è come te, ha la tua stessa malattia. In questo senso associazioni come Parent Project sono linfa vitale, aiuto e sostegno anche alle famiglie. Questa associazione ha perfino stilato una Guida per aiutare le famiglie a capire meglio la malattia e ad affrontarla giorno per giorno, insieme. Perché, come dice il nostro giovane amico “Il confronto è una delle armi più potenti che abbiamo”.
Fonti:
- AJMG – American Journal of Medical Genetics, Newborn screening for Duchenne muscular dystrophy-early detection and diagnostic algorithm for female carriers of Duchenne muscular dystrophy
- Osservatorio Screening Neonatale, Screening neonatale per la Duchenne, completato il progetto pilota di Parent Project negli Stati Uniti
- Parent Project, L’importanza di una diagnosi precoce nella distrofia muscolare di Duchenne
- Berardelli, La Neurologia della Sapienza, edizione 2022, Esculapio Editore