L’epilessia è una malattia neurologica che colpisce circa 50 milioni di persone in tutto il mondo, di cui 500 mila in Italia. È caratterizzata da crisi epilettiche ricorrenti, che possono manifestarsi come movimenti involontari (di una parte del corpo o di tutto il corpo), talvolta accompagnati da perdita di coscienza e di controllo della funzione intestinale o vescicale. Le crisi sono il risultato di scariche elettriche eccessive in un gruppo di cellule cerebrali. Queste scariche possono originare in diverse parti del cervello.
L’epilessia si presenta soprattutto durante l’infanzia e la vecchiaia. E può esprimersi in modi diversi:
- crisi focali (che nascono in una determinata parte del cervello);
- crisi miocloniche (scatti involontari degli arti);
- crisi atoniche (perdita improvvisa del tono posturale con possibili cadute a terra);
- crisi di assenza (interruzioni momentanee dello stato di coscienza);
- crisi convulsive.
L’epilessia è una delle più antiche condizioni riconosciute al mondo, con documenti scritti risalenti al 4000 a.C. Paura, incomprensione, discriminazione e stigma sociale hanno circondato l’epilessia per secoli. Questo stigma continua in molti paesi oggi e può avere un impatto sulla qualità della vita delle persone malate e delle loro famiglie.
Le persone con epilessia spesso subiscono discriminazione, vivono una condizione di isolamento sociale, e possono avere difficoltà a trovare lavoro o a seguire il percorso scolastico.
Nonostante l’ampio ventaglio di aspetti su cui impatta, gli sforzi per la gestione della malattia sono ancora tutti indirizzati al solo controllo delle crisi. Se il 60-70% delle persone con epilessia riesce a tenere le crisi sotto controllo, c’è un altro 30% che non ci riesce, perché resistente ai farmaci.
I sintomi dell’epilessia
Le caratteristiche delle convulsioni variano e dipendono dalla zona del cervello dove origina il disturbo e fin dove si diffonde. Si verificano sintomi temporanei, come perdita di consapevolezza o coscienza e disturbi del movimento, delle sensazioni (inclusi vista, udito e gusto), dell’umore o di altre funzioni cognitive.
Le persone con epilessia tendono ad avere più problemi fisici per le cadute o lesioni dovute alle crisi, nonché tassi più elevati di problemi psicologici, tra cui ansia e depressione. Allo stesso modo, il rischio di morte prematura nelle persone con epilessia è fino a tre volte superiore rispetto alla popolazione generale, con i più alti tassi di mortalità prematura riscontrati nei paesi a basso e medio reddito e nelle aree rurali.
Gran parte delle cause di morte legate all’epilessia, specialmente nei paesi a basso e medio reddito, sono potenzialmente prevenibili e riguardano le conseguenze della crisi, come cadute, annegamento, ustioni e convulsioni prolungate.
Cause dell’epilessia
L’epilessia non è contagiosa. Le cause dell’epilessia sono diverse, non sono del tutto conosciute, e si possono suddividere in queste categorie: strutturali, genetiche, infettive, metaboliche, immunitarie e sconosciute. Alcuni esempi di patologie o condizioni che causano epilessia:
- danno cerebrale da cause prenatali o perinatali (ad es. perdita di ossigeno o trauma durante il parto, basso peso alla nascita);
- anomalie congenite o condizioni genetiche con malformazioni cerebrali associate;
- un grave trauma cranico;
- un ictus che limita la quantità di ossigeno al cervello;
- un’infezione del cervello come meningite, encefalite o neurocisticercosi (cisti nel cervello),
- alcune sindromi genetiche;
- un tumore al cervello.
Trattamento dell’epilessia
Fino al 70% delle persone affette da epilessia riesce a controllare le crisi con i farmaci antiepilettici attualmente disponibili. Il restante 30% non risponde alla terapia farmacologica. Per loro la ricerca sta andando avanti per scoprire nuove alternative farmacologiche e non solo. Per trattare l’epilessia, infatti, non esistono solo i farmaci, ma anche la chirurgia curativa e quella palliativa. E si stanno studiando terapie innovative, come quelle geniche.
La chirurgia
La chirurgia dell’epilessia è la strategia più efficace per il controllo delle crisi nelle persone con epilessia focale farmacoresistente, migliorando spesso anche altri aspetti, come il comportamento, le abilità cognitive e la qualità della vita. La Commissione per la Chirurgia dell’Epilessia della LICE, Lega Italiana Contro L’epilessia, ha pubblicato i Percorsi Diagnostico-Terapeutici (PDT) che illustrano le tecniche e metodologie di studio pre-chirurgico e di trattamento chirurgico dell’epilessia. Di seguito i punti essenziali, raccolti anche nel Libro Bianco sull’Epilessia realizzato dalla LICE nel 2019.
Attualmente gli approcci chirurgici utilizzati nel trattamento delle epilessie farmacoresistenti sono di tre tipi:
- ablazioni;
- disconnessioni;
- neuromodulazione.
La chirurgia “curativa” (ablazioni e disconnessioni) punta all’ abolizione completa delle crisi, mentre quella “palliativa” (neuromodulazione) tende a ridurre la gravità e la frequenza delle crisi, limitando o impedendo la propagazione della scarica elettrica, e a diminuire l’eccitabilità neuronale sopprimendo sistemi facilitanti o esaltando sistemi inibenti. La decisione su quale tecnica utilizzare dipenda da singolo caso e dalla valutazione del medico.
Le tecniche di chirurgia curativa sono le seguenti:
- Resezione individualizzata: la tecnica attraverso cui viene asportata esattamente la zona epilettogena, la cui individuazione avviene attraverso tecniche di diagnosi invasive e non.
- Resezione standardizzata: si realizza compiendo un’associazione fra una presunta localizzazione (normalmente con attribuzione di lobo) dell’origine della scarica critica ed una resezione a limiti predeterminati a prescindere dai dettagli anatomo-elettro-clinici e funzionali del caso in questione.
- Disconnessioni individualizzate: invece che asportare il tessuto epilettogeno, lo si disconnette, lacciando solo la vascolarizzazione.
- Chirurgia extra-temporale: quando l’epilessia interessa una zona al di fuori dei lobi temporali si parla di epilessia extra-temporale. La chirurgia in questi casi può essere più complessa perché occorrono indagini invasive per individuare la zona da trattare e in generale i risultati sono meno promettenti rispetto alla chirurgia temporale.
La chirurgia “palliativa”
In situazioni specifiche, quando non è possibile praticare una chirurgia curativa, si può ricorrere alla neuromodulazione.
Ecco le principali tecniche (alcune vecchie, altre nuove):
- Callosotomia, una tecnica chirurgica, introdotta nel 1949 come modalità di divisione delle vie commisurali interemisferiche per limitare la diffusione della scarica epilettica.
- Transezioni subpiali multiple, utili per il trattamento delle epilessie focali localizzate in corrispondenza della corteccia motoria o delle aree del linguaggio.
- Stimolazione del nervo vagale (VNS): può disattivare le convulsioni originate in regioni suscettibili di maggiore eccitabilità, come il sistema limbico, il talamo e le proiezioni talamocorticali. È ben tollerata nelle persone resistenti ai farmaci; inoltre, i nuovi modelli VNS possono rilevare la tachicardia ictale e fornire automaticamente una stimolazione aggiuntiva per interrompere le crisi o ridurne la gravità.
- VNS transcutaneo (tVNS): alternativa non invasiva al VNS, questa tecnica agisce sul ramo auricolare del nervo vago (ABVN), portando a un pattern di attivazione cerebrale simile a quello prodotto dal VNS invasivo. I pazienti di solito applicano tVNS per 1 ora/tre volte al giorno e l’aderenza è generalmente elevata (fino all’88%). Le prove indicano una riduzione fino al 55% della frequenza delle crisi.
- Stimolazione cerebrale profonda (DBS): Si tratta di una tecnica neurochirurgica poco invasiva che, attraverso elettrodi impiantati può fornire stimoli elettrici alle strutture cerebrali profonde. I pazienti con epilessia focale refrattaria e non eleggibili alla chirurgia sono generalmente buoni candidati. La DBS è disponibile in Europa.
- Neurostimolazione reattiva (RNS), approvata per ora solo negli Stati Uniti, in grado di monitorare i cambiamenti elettrici nell’attività corticale e dare piccoli impulsi al cervello per interrompere una crisi.
- Stimolazione del nervo trigemino (TNS): è una nuova terapia di neuromodulazione, progettata per fornire una stimolazione ad alta frequenza in modo non invasivo, modulando così l’umore e alleviando i sintomi nelle epilessie resistenti ai farmaci. Al momento sono stati riscontrati una riduzione di almeno il 50% delle crisi epilettiche nel 30,2% dei pazienti sottoposti al trattamento, occorrono però altri studi di follow-up a lungo termine.
- Stimolazione transcranica a corrente continua (tDCS): questa tecnica prevede l’uso di due elettrodi cranici per indurre cambiamenti diffusi dell’eccitabilità corticale attraverso correnti elettriche deboli e costanti. I principali studi clinici mostrano un’efficace diminuzione delle crisi epilettiche ed evidenziano una riduzione dell’attività epilettiforme. Tuttavia, altri studi dovranno essere fatti per confermare questi risultati.
- Stimolazione magnetica transcranica. (TMS): le cellule nervose di un cervello possono essere stimolate utilizzando la TMS fino a una profondità massima di due centimetri. Le stimolazioni magnetiche a bassa frequenza e ripetute inducono riduzioni durature dell’eccitabilità corticale e, quindi, sono state proposte come trattamento per l’epilessia farmacoresistente. Secondo diversi studi, i risultati più promettenti si ottengono nei pazienti con epilessia neocorticale. Tuttavia, i risultati dovrebbero essere riprodotti in coorti più ampie con studi randomizzati in doppio cieco.
I trattamenti farmacologici allo studio
Il primo approccio alla terapia dell’epilessia è basato sull’utilizzo di farmaci denominati ‘antiepilettici’ che però si limitano al controllo dei sintomi (le crisi) e non influiscono sull’insorgenza della malattia. Fino al 1990 erano a disposizione del clinico soltanto pochi farmaci, ad oggi ce ne sono più di una trentina. In genere, si inizia un trattamento se occorrono almeno due crisi, ma in alcuni casi un trattamento può essere giustificato anche dopo una sola crisi mentre in altri casi non può essere indicato nemmeno con crisi multiple (ad esempio, nelle epilessie rolandiche, soprattutto se le crisi sono esclusivamente notturne). Premessa fondamentale per la buona riuscita del trattamento è l’affidabilità e la collaborazione della persona con epilessia e dei suoi familiari. La terapia, infatti, deve essere in genere protratta per alcuni anni e talvolta per tutta la vita, senza alcuna interruzione, e con un’assunzione dei farmaci ad intervalli regolari.
I farmaci antiepilettici stabilizzano le proprietà elettriche della membrana delle cellule nervose impendendo così le scariche elettriche anomale. Possono agire su diversi target quali:
- Canali del sodio voltaggio-dipendenti (Permettono l’ingresso di ioni sodio all’interno delle cellule eccitabili e garantiscono la propagazione dell’impulso nervoso)
- Canali del calcio voltaggio-dipendenti (Regolano l’afflusso di calcio extra-cellulare all’interno della cellula)
- GABA (neurotrasmettitore inibitorio che si distingue in GABA- A e GABA-B)
- Glutammato (neurotrasmettitore eccitatorio)
Attualmente si stanno studiando diversi nuovi trattamenti, dai farmaci con un meccanismo simile a quello dei noti antiepilettici, come gli agonisti del recettore GABA-A, a quelli con nuovi meccanismi come la stimolazione dei recettori della melatonina.
Tra i farmaci recentemente approvati vi sono:
Cannabidiolo
Nel 2018, la Food and Drug Administration, ha approvato il primo farmaco derivato dalla pianta di cannabis. Da noi è approvato dal 2021 per il trattamento delle crisi epilettiche associate a Sclerosi tuberosa complessa, alla sindrome di Dravet e di Lennox-Gastaut, in combinazione con clobazam nei bambini di età pari o superiore a 2 anni.
La sindrome di Dravet è un’encefalopatia epilettica refrattaria, rara, che si presenta in neonati altrimenti sani e insorge nel primo anno di vita con crisi cloniche/toniche-cloniche, monolaterali e generalizzate.
La Sclerosi Tuberosa complessa è una sindrome neurocutanea rara che può provocare, tra gli altri sintomi, anche le convulsioni. La sindrome di Lennox-Gastaut fa parte del gruppo di encefalopatie epilettiche gravi dell’infanzia.
Alcuni studi clinici randomizzati hanno dimostrato come nei bambini (2-8 anni) la combinazione di cannabidiolo e clobazam abbia portato a risultati di efficacia maggiori: la frequenza mediana delle crisi convulsive è diminuita da 12,4 a 5,9 al mese, e il 43% dei pazienti sottoposti al trattamento ha mostrato una riduzione di almeno il 50% della frequenza delle crisi convulsive. Il 5% dei pazienti trattati con CBD è diventato libero da crisi.
Fenfluramina
La fenfluramina (FFA), è utilizzata come farmaco dimagrante, ma ha dimostrato un effetto antiepilettico sia attraverso il rilascio di serotonina che stimola molteplici sottotipi di recettori 5-HT, sia agendo come modulatore positivo dei recettori sigma-1. Dallo scorso maggio è rimborsabile anche in Italia ed è indicato per il trattamento di crisi epilettiche associate alla sindrome di Dravet come terapia aggiuntiva ad altri medicinali antiepilettici per pazienti di età pari o superiore ai due anni.
Il farmaco si è dimostrato significativamente efficace nel ridurre le convulsioni negli studi di fase 3 su pazienti con Sindrome di Dravet. In alcuni di questi studi il 62% dei pazienti ha mostrato una riduzione del 50% della frequenza delle crisi convulsive.
Cenobamato
Dallo scorso giugno in Italia è possibile ottenere il rimborso anche per questo farmaco, indicato per il trattamento delle crisi epilettiche a esordio focale con o senza generalizzazione secondaria in pazienti adulti che non siano stati adeguatamente controllati nonostante una storia di trattamento con almeno 2 medicinali antiepilettici.
Questo farmaco agisce con un doppio meccanismo d’azione: può sia aumentare lo stato inattivato dei canali del sodio voltaggio-dipendenti, sia agire come un modulatore allosterico positivo dei recettori GABA-A. Uno studio multicentrico randomizzato su pazienti con crisi focali non controllate ha mostrato che il cenobamato, con gruppi di dosaggio di 100, 200 e 400 mg/die, ha portato a una consistente riduzione della frequenza delle crisi focali dopo 18 settimane di trattamento, con la maggiore riduzione osservata nei gruppi di dosi da 200 e 400 mg/die. Il cenobamato è nel complesso ben tollerato, ma occorrono comunque altri studi per capire il dosaggio ideale, valutare la finestra temporale attiva del cenobamato sul controllo delle crisi e altri dati aiuteranno a confermare o meno la riduzione delle crisi anche nella pratica clinica. Bisognerà anche approfondire le potenziali interazioni del cenobamato con altri antiepilettici.
Per tutti gli altri farmaci antiepilettici potete consultare il Libro Bianco della LICE
La dieta chetogenica
Quando le terapie farmacologiche e quelle chirurgiche falliscono, è possibile ricorrere a strategie di intervento alternative che possono migliorare il controllo delle crisi e la qualità della vita di queste persone. Tra questi interventi, quello la cui utilità risulta meglio documentata è la dieta chetogenica, un regime alimentare basato sulla riduzione dei carboidrati, e il consumo maggiore di grassi, obbligando così il corpo a produrre autonomamente il glucosio necessario alla sopravvivenza. Questo meccanismo induce il fegato a sintetizzare i corpi chetogeni (chetosi) come acetone, acetoacetato, D-Beta-idrossibutirrato che nutrono il cervello.
In particolare, nella popolazione pediatrica con forme severe di epilessia la dieta chetogenica si è dimostrata capace di ridurre del 50% la frequenza delle crisi nel 40-67% dei casi. Inoltre in specifiche sindromi epilettiche su base metabolica (per esempio l’epilessia secondaria a deficit di GLUT-1) la dieta chetogenica è addirittura considerata la terapia di prima scelta, risultando efficace in più dell’80% dei casi, soprattutto quando l’individuazione del deficit è precoce ed altrettanto tempestivo il trattamento. In Italia questa dieta è ancora poco utilizzata.
La terapia genica
Siamo solo all’inizio degli studi di questi trattamenti per l’epilessia. Ma sembrano promettenti.
La terapia genica può costituire infatti un’alternativa agli strumenti farmacologici convenzionali e agli interventi chirurgici per l’epilessia. Non è facile però trovare la terapie giusta perché non esiste un’unica variante genetica che causi l’epilessia, ce ne sono oltre quattrocento in realtà.
Ad oggi, la terapia genica è stata sperimentata in modelli preclinici (animali). La vera sfida è trovare il vettore giusto che veicoli il gene corretto nell’organismo, oltre alla scelta del target terapeutico appropriato. Si stanno studiando diverse opzioni: dalla sovraespressione di neuropeptidi inibitori alla modulazione dell’espressione di neurotrasmettitori o canali ionici. Inoltre, i nuovi approcci emergenti di optogenetica e chemogenetica, nonché gli strumenti di modifica del genoma, potrebbero aumentare ulteriormente le prospettive della terapia genica nell’epilessia.
Fonti
- World Health Organization,
- Riva A, et al, et al. New Trends and Most Promising Therapeutic Strategies for Epilepsy Treatment. Front Neurol. 2021;12:753753. Published 2021 Dec 7. doi:10.3389/fneur.2021.753753
- Zhang L, Wang Y. Gene therapy in epilepsy. Biomed Pharmacother. 2021;143:112075. doi:10.1016/j.biopha.2021.112075,
- Libro Bianco dell’Epilessia, LICE, 2019,