Le persone con epilessia hanno uno stigma sociale che non le abbandona, è quasi cucito addosso. È una malattia di cui si sa davvero poco e di cui si ha paura. E la paura non è mai amica di nessuno. Ciò che serve a queste persone per avere una vita normale, un lavoro, è informare, abbattere la barriera dell’esclusione affinché non siano più “abusivi” nel mondo del lavoro.
L’epilessia è un disturbo neurologico transitorio che colpisce il Sistema Nervoso Centrale causato da un’attività eccessiva e anomala di un gruppo di neuroni della corteccia cerebrale. È una condizione cronica dovuta a cause diverse e che si manifesta attraverso crisi epilettiche ricorrenti, improvvise e momentanee.
La comparsa di crisi epilettiche e la ripetizione degli attacchi nel tempo è un elemento necessario per la diagnosi di epilessia. Il trattamento comprende farmaci anticonvulsivanti e chirurgia.
Facciamo, però, un po’ di chiarezza. È necessario, infatti, distinguere tra: epilessia, crisi epilettiche e sindrome epilettica.
- Le crisi epilettiche sono un disturbo improvviso e transitorio delle funzioni neurologiche, caratterizzato da una scarica anomala, incontrollata ed eccessiva di un gruppo di neuroni con manifestazioni psicofisiche temporanee.
- L’epilessia, invece, è una malattia neurologica cronica legata a cause diverse e caratterizzata dalla presenza di crisi epilettiche ricorrenti. La ripetizione delle crisi nel tempo è una condizione necessaria per la diagnosi.
- Per sindrome epilettica si intende, invece, una classificazione clinica distinta che include il tipo di crisi, l’eziologia, le alterazioni visibili all’elettroencefalogramma (EEG), l’esame neurologico, la prognosi e, in alcuni casi, la risposta a specifici farmaci antiepilettici.
Dopo la cefalea, l’epilessia rappresenta la seconda condizione neurologica cronica più comune. L’OMS, infatti, la riconosce come malattia sociale e interessa, nei Paesi sviluppati, circa 1 persona su 100.
Ma è probabile che la sua frequenza sia sottostimata, perché spesso questa patologia è tenuta nascosta per motivi psicologici e sociali.
Nell’immaginario collettivo, la crisi epilettica è solo quella convulsiva, invece sono diversi i tipi di crisi con differenti manifestazioni, a volte perfino impercettibili a un occhio non esperto.
Occupazione ed epilessia
Lice e Fondazione ISTUD, in chiusura del 43° Congresso delle Lega Italiana Contro l’Epilessia, hanno presentato il Position Paper sul rapporto tra occupazione ed epilessia che ha visto riuniti gli stakeholder medici, giuridici, istituzionali e aziendali per l’individuazione di linee guida univoche.
Ecco alcuni dati: a fronte di un’età media di 37 anni, il 60% delle persone con epilessia non ha un lavoro e ha difficoltà di inserimento lavorativo o a mantenere un’occupazione. Il 31% non cerca nemmeno un lavoro. Quasi 1 su 2 invece si vede negato un impiego perché lo stigma sociale è ancora radicato tra i datori di lavoro. Da questa indagine emerge come la scelta di comunicare o meno di essere persone con epilessia durante il colloquio sia una questione cruciale. Richiederebbe condizioni di incoraggiamento, autostima, responsabilità, ma soprattutto un adeguato piano di welfare aziendale, affinché la persona con epilessia possa comunicare liberamente la propria condizione, senza temere ripercussioni sia in sede di selezione, sia nel percorso lavorativo. In quest’ottica, i datori di lavoro sono chiamati a prevedere la flessibilità dell’organizzazione del lavoro, incrementando il lavoro da remoto, oltre a prevedere iniziative di inclusione, come corsi per la sicurezza obbligatori dedicati alla formazione sull’epilessia e alla gestione delle crisi. Al medico del lavoro, invece, è richiesta una valutazione neutrale sulla persona con epilessia e i possibili rischi per la salute sul posto di lavoro.
Sono tante le storie di chi si è visto negato un posto di lavoro per l’epilessia o di chi ha scoperto la malattia durante un percorso professionale già avviato.
In questi casi, spesso la persona è mandata via con un’esperienza a dir poco traumatica, perché basta una sola crisi a cancellare o compromettere un lavoro già avviato, anche da anni.
Abbiamo voluto parlare di epilessia e inclusione lavorativa con due giovani con epilessia dell’Associazione Italiana Epilessia, per farci raccontare da vicino le loro esperienze: Martina Giustolisi di 28 anni e Antonino Anicito di anni 38, ai quali abbiamo chiesto quali sono state le esperienze più difficili da affrontare sia a scuola sia nella vita professionale e come superare la diffidenza e la paura degli altri.
Martina, qual è stata la difficoltà più difficile da superare nel suo percorso scolastico?

Rispetto alla mia esperienza a scuola, l’ostacolo riscontrato è stato la difficoltà di concentrazione e attenzione nel rendimento scolastico. Per quello che riguarda il lavoro, all’inizio evitavo di dire della mia patologia per la paura del rifiuto. Molti pensano che l’epilessia sia soltanto avere crisi convulsive e quindi cercano scuse per non sceglierti. Dove lavoro (a scuola tramite una cooperativa e non con lo Stato) adesso non ho problemi, poiché ho spiegato di che si tratta e come vivo la mia patologia e loro hanno capito.
Ma le persone con epilessia sono ancora guardate con sospetto, poiché nell’immaginario collettivo sono soggetti pronti a esplodere e stare male da un momento all’altro. Questo non è sempre vero, poiché oggi ci sono tante terapie farmacologiche che possono controllare le crisi. Di certo è comprensibile la paura di essere spettatore, non volontario, di una crisi, soprattutto di quelle più demonizzate ovvero le convulsive. L’epilessia, invece, nelle sue diverse manifestazioni, può esserci senza essere notata, se non da un occhio esperto. Tale diffidenza può essere superata dall’informazione che tante associazioni cercano di fare, con diverse iniziative nelle scuole e nelle aziende. È importante non nascondersi, poiché non c’è nulla di cui vergognarsi e siamo più di quanto si crede.
Prima di avere la diagnosi di epilessia, avuta sul finire dei 18 anni, il mio sogno era entrare in Marina e vivere la vita militare. Ma la mia patologia non era compatibile con l’attività militare. La mia vita è quindi cambiata.
Le mie crisi adesso sono controllate e vivo una vita normale, con l’unica preoccupazione che, in orari serali o in periodi particolarmente stressanti e con poche ore di sonno, posso avere qualche manifestazione.
Per questo tengo informati chi lavora quotidianamente con me. Adesso sono un’insegnante, e insieme alla dottoressa che mi segue, faccio e propongo formazione nelle scuole ai ragazzi e gli insegnanti interessati e disponibili a capire l’epilessia, cosa sia e come bisogna comportarsi in caso di crisi.
Chiedo la stessa cosa a lei Antonino, perché è così difficile avere un lavoro e una vita sociale per una persona con epilessia?

La prima crisi l’ho avuta a 19 anni, durante una lezione universitaria. Ero iscritto alla facoltà di Chimica e dopo circa un anno il Preside di facoltà mi chiese di andarmene. Come avrei potuto andare avanti con questa patologia, mi disse con gentilezza. Io risposi: perché no? Perché quando dovrà fare tirocinio potrebbe diventare pericoloso per lei e per gli altri. Risposi che nei casi più pericolosi potevo soltanto guardare. Ma non era possibile, quindi decisi di iscrivermi un’altra facoltà, Scienze motorie e ho preso la laurea magistrale. Ma come? Non dicendo nulla. Se non dici niente ai professori, vai avanti. Nel mio caso è stato importante avvisare i miei compagni e spiegargli cosa fare durante le crisi. Presa la laurea, però, il problema era trovare un lavoro. Durante il tirocinio per fare il fisioterapista, appena detto dell’epilessia mi dissero di guardare e basta. E come avrei potuto imparare un lavoro che prevede un contatto con il paziente per la sua riabilitazione? Mi chiesero quante volte avevo le crisi, ma non sapevo e non so rispondere, perché non lo so. Ci sono periodi in cui le ho più volte a settimana e periodi di pausa più o meno lunghi. Nel mio caso poi non ho nessun tipo di aurea o avvertimento, le mie crisi sono istantanee, durano pochi secondi o minuti e poi perdo coscienza. Per questo non guido e cerco di non uscire da solo. Tornando al tirocinio, mi dissero che era meglio che facessi l’istruttore. Tutto sommato non posso dire che avevano torto, perché se mi viene una crisi mentre, ad esempio, movimento la spalla di una signora di 80 anni il rischio di farle male è alto.
Quanto alla ricerca del lavoro, se non dici niente si va avanti, ma appena ti viene mezza crisi ti mandano a casa. Anche a livello sociale è difficile. Non posso nemmeno frequentare una palestra se non sono accompagnato da una persona che mi conosce e sa cosa fare, perché non vogliono assumersi la responsabilità se mi faccio male. Ho chiesto se avevano l’assicurazione e mi hanno risposto di sì ma per le persone “normali”. Perché io non sono normale? È che le assicurazioni non prevedono le persone con l’epilessia.
È difficile comprendere quanto per noi sia spesso difficile vivere. Io poi sono farmacoresistente e non posso non dirlo, non ho scelta, mentre alcune persone che prendono farmaci è come se non avessero niente e quindi stanno zitti, anche per non essere emarginati dalla società. L’epilessia non è la stessa per tutti. Io ho quella focale fronto-temporale sinistra e non posso risolverla con l’intervento chirurgico perché il punto da dove partono questi impulsi anomali è troppo profondo quindi non sono operabile.
È riuscito a trovare lavoro?
Diciamo di sì, sto lavorando tramite un progetto del CONI in cui faccio il tutor nella scuola primaria, in pratica l’insegnante di educazione fisica, ma non sono insegnante, anzi le insegnanti di ruolo nel mio caso spesso sono poco collaborative. Certo non tutte. Negli anni molte hanno capito la mia situazione e mi hanno aiutato. Ma non ho niente, non ho un contratto vero e proprio. Non ho nessun contribuito, nessun punteggio a livello scolastico, non ho nulla. Qui mi pagano 15 euro l’ora. Ho l’invalidità ma sono 300 euro, vivo con i miei genitori, anche perché non posso vivere da solo. La 104 classica non me la danno, perché cammino, ci vedo e ci sento. In teoria sarei abile a lavorare. E quando ho chiesto ai medici della commissione che cosa, secondo loro, avrei potuto fare, mi hanno detto “stai davanti al computer”. Peccato che dopo qualche ora al PC mi gira la testa e posso avere crisi.
Quando finirà la scuola non avrò nemmeno l’indennità di disoccupazione. Il dirigente scolastico va sempre avvisato dell’epilessia e alcuni rimangono sorpresi se non peggio. Mi chiedono perché ho scelto questo lavoro e che succede se durante la lezione mi viene una crisi. In genere rispondo con un’altra domanda: e se all’insegnante viene un ictus o un infarto durante la lezione? Oppure sviene per un giramento di testa? Le insegnanti del resto non mi vedono sempre di buon occhio, perché dovrebbero stare attente che le mie crisi non coinvolgano i bambini e questa responsabilità non la vogliono, si spaventano. Anche perché io sono soltanto un tutor, la responsabilità dei bambini è la loro.
Poi siamo in Sicilia e nonostante le tante persone che hanno sempre cercato di aiutarmi, ce ne sono altrettanto ignoranti, anche se istruite. È bastata una crisi durante una lezione che volevano mandarmi via. Ho dovuto rivolgermi al CONI nazionale.
Come si supera questa paura?
Spiegando l’epilessia, cosa fare durante una crisi e aspettare che passi. Una volta una maestra mi ha mandato a chiamare perché un bambino aveva una crisi, era nel panico. Cosa fare? Si mette il bambino su un fianco, si aspetta e si chiama la mamma. L’importante è farlo respirare ed evitare che si faccia male, poi si riprende da solo.
Occorre fare formazione e informazione, per far conoscere di più questa patologia di cui si sa davvero poco. Ci sono persone che una volta saputo cosa fare, sono tranquille e collaborative, altre che non ne vogliono proprio sapere. Facciamo paura perché ci trasformiamo dopo la scarica elettrica, tipo Hulk, e poi torniamo normali. E poi quando succede, noi stessi non ci vediamo, non sappiamo che succede. Ho chiesto di essere filmato proprio per questo, per capire cosa succede e per farlo vedere.
C’è tanto da fare ancora per informare e sensibilizzare sull’epilessia. Perché è il non sapere che blocca e fa paura. Conoscere la malattia e imparare a gestire le crisi è il primo e forse l’unico passo da fare, ricordandosi che Hulk è buono e poi torna come prima.
Fonti bibliografiche:
- Lice e Fondazione ISTUD, L’occupazione delle persone con epilessia.
- Berardelli, La Neurologia della Sapienza, edizione 2019, Esculapio Editore.