Durante il 6° Convegno Nazionale del Comitato Fibromialgici Uniti (CFU) tenutosi lo scorso 12 maggio a Roma, sono stati presentati i dati di un importante lavoro di ricerca su Fibromialgia e lavoro che ha stimolato la nascita dell’Osservatorio Salute e Benessere sul Luogo di Lavoro.
Secondo i calcoli di CFU i fibromialgici in Italia 2 milioni, circa il 3% della popolazione.
Il lavoro di ricerca – durato 3 anni – su 1179 persone, aveva tra i suoi obiettivi quello di individuare sia i fattori facilitatori sia le barriere per una vita lavorativa soddisfacente e produttiva.
“E’ la presenza di barriere che ostacolano il ‘funzionamento’ che determina lo status di ‘disabilità’ e non la condizione in sé” spiega Barbara Suzzi, Presidente del Comitato Fibromialgici Uniti, che abbiamo già avuto modo di ospitare qui su MEDORA Magazine con una toccante intervista.
“Non si tratta di uno stratagemma semantico ma della definizione ufficiale dell’ICF(International Classification of Functioning disability and health) – ha ribadito Suzzi – Se un cieco lavorasse al buio non sarebbe una situazione per lui disabilitante, mentre lo sarebbe per una persona vedente: ecco, questo esempio serve per comprendere come il contesto sia fondamentale”.
La ricerca su Fibromialgia e lavoro
Secondo i risultati di questo lavoro, in molti casi i fibromialgici nascondono la malattia per non essere giudicati, etichettati, marginalizzati. Il livello di benessere sul lavoro purtroppo non è alto. Solo il 14% degli intervistati ne è soddisfatto. Il 53% ha riferito problemi significativi, il 16% non ci va volentieri mentre il 17% manifesta un vero e proprio stato di ansia con preoccupazione di perdere il lavoro.
Il livello di mansioni non rappresenta un vantaggio:
- il 60% degli imprenditori ha dichiarato di avere avuto problemi che li hanno costretti a cambiare anche drasticamente la quantità di ore lavorate o il tipo di attività.
- Il 69% degli insegnanti ha problemi pratici ma teme meno di perdere il lavoro per le maggiori tutele offerte dall’impiego pubblico.
La stanchezza è riferita dal 93% dei lavoratori, mentre il 55% ha riferito di provare tristezza e umore instabile.
Difficoltà legate ad orario, assenze e ritmi di lavoro sono state abbastanza bilanciate: in 467 hanno trovato accoglimento e soluzione e in 492 casi invece non sono state risolte.
Il lavoro di ricerca sì è concentrato anche sui cosiddetti ‘accomodamenti ragionevoli’, ossia le soluzioni per modificare gli ambienti di lavoro, renderli inclusivi e permettere anche a chi ha una malattia cronica di essere produttivo, sostenersi, mantenere un ruolo sociale. Sono così definiti ai sensi della Convenzione Onu e della Direttiva Europea 2000/78/CE che vuole favorire le pari opportunità sul luogo di lavoro. Nel caso della fibromialgia sì tratta di sedie, postazioni, illuminazione, possibilità di fare pause anche brevi.
I fattori facilitanti che potrebbero permettere una vita lavorativa più serena per chi ha la fibromialgia, sono:
- pause
- spazi e tempi per riposare
- lavoro agile
- part-time
- orari flessibili
- ritmi di lavoro adeguati
- cambiamento di mansione
Chi ha la fibromialgia è considerato improduttivo
Nei questionari è emerso che sulla qualità del lavoro incidono fattori diversi ed eterogenei: strumenti ma anche mansioni, postazioni, livello di partecipazione, qualità delle relazioni.
Mentre durante i focus group sono emerse le criticità:
Il mix di malattia invisibile (il dolore non si vede), richiesta di malattia, mansioni impossibili da svolgere e mancato riconoscimento da parte del SSN, fanno si che il soggetto fibromialgico sia considerato ‘improduttivo’.
“E’ un eufemismo per dire che alla persona con fibromialgia sono attribuiti: debolezza, scarsa volontà, mancanza di senso di responsabilità, inaffidabilità. Si tratta di una forma di stigma a tutti gli effetti” continua la Presidente Suzzi “Inoltre nella scelta tra un dipendente sano e uno con fibromialgia per il quale il datore di lavoro non gode di vantaggi fiscali, come quelli per le categorie protette, è quest’ultimo a farne le spese. Ma anche quando la persona protetta riesce a mantenere il posto di lavoro, ciò ha un prezzo elevatissimo su salute e qualità di vita.
In alcuni casi i pazienti assumono farmaci che interferiscono con lucidità e capacità di concentrazione, soffrono di emicranie e hanno esigenze speciali per ciò che riguarda la temperatura degli ambienti.

Una malattia ancora invisibile
Non avendo ancora marker infiammatori rilevabili con indagini strumentali, i fibromialgici sono stati a lungo considerati ipocondriaci, malati immaginari, persone che somatizzano disturbi psichici.
“Per molto tempo si riteneva che il nostro fosse un dolore ‘fantasma’ – riprende Suzzi – e invece è reale e invalidante, ma solo nel 1992 l’OMS ha riconosciuto la malattia con la Dichiarazione di Copenaghen. “Siamo grate al nostro Comitato Scientifico composto anche da ricercatori, la ricerca è per noi la speranza di uscire davvero dall’invisibilità e tornare a vivere con meno dolore e rinnovata dignità. Stiamo dialogando con le istituzioni affinché la patologia sia inserita nei LEA (livelli essenziali di assistenza) in modo che siano definite con precisione le prestazioni erogate dal SSN, le terapie rimborsate, i controlli, la fisioterapia, la degenza e la riabilitazione” prosegue la Presidente.
Purtroppo la fibromialgia è attualmente esclusa dall’elenco delle malattie croniche ed invalidanti. Eppure, sono stati contati almeno 100 sintomi nelle varie forme della malattia che colpisce sono in Italia circa 3 milioni di persone. “Senza l’inserimento nei Lea non possiamo accedere nemmeno a visite e controlli, per non parlare delle terapie “alternative” e non farmacologiche, a totale onere dei malati”.
La malattia
La fibromialgia è una sindrome dolorosa cronica, colpisce in Italia circa 3 milioni di persone, nel 90% dei casi donne. La causa non è stata ancora chiarita, recenti studi hanno dimostrato una sensibilizzazione centrale, caratterizzata da una disfunzione dei circuiti neurologici preposti all’elaborazione degli impulsi, provenienti da zone periferiche del cervello che regolano il dolore. La pluralità di sintomi evidenziati nella patologia è principalmente il dolore muscolo scheletrico diffuso, seguito da affaticamento, rigidità, parestesie, bruciori, insonnia e una limitata esecuzione delle normali attività giornaliere.