
Filippo ha 26 anni.
È autistico e guai a dire che ha l’autismo. Che poi il suo caso si definisce “altamente funzionale”. Un modo agghiacciante per dire che chi ha questa sindrome è intelligente e non ha difficoltà a parlare e a muoversi, ma si distingue per alcuni comportamenti ripetitivi e l’interesse ossessivo verso certi argomenti.
Ho conosciuto la mamma di Filippo, Cristina, su Facebook. Volevo intervistarla ma alla mia richiesta, Cristina mi ha fatto una controproposta: perché non intervisti mio figlio?
Potevo perdere un’opportunità così preziosa?
Detto, fatto.
È stata una delle interviste più delicate che io abbia mai fatto. E sono sicura che tra i due la più emozionata fossi io.
E ve la riporto così, proprio come è uscita.
Ciao Filippo, dunque…come ti posso presentare? Con autismo o autistico?
Autistico. Io non soffro di autismo. Si soffre di qualcosa che poi passa. Si soffre di febbre o di mal di pancia, che poi ti curi e stai bene. L’autismo non è una malattia, è una sindrome. Non si guarisce. Ci vivi per sempre. Sono autistico. Punto.
Essere autistici significa avere una mente che funziona diversamente: capire i fatti della vita in un modo diverso. Non sbagliato, diverso. Lo so che ci sono autistici che hanno ritardo mentale, che non riescono ad esprimersi con le parole. Magari hanno un altro modo, ci vorrebbe un po’ di pazienza. Smettere di correre, fermarsi ad ascoltare. Sicuramente ci si capirebbe.
Quando hai preso coscienza di questa tua condizione?
L’ho scoperto a 10 anni. Me lo ha spiegato mamma. Era estate, dopo il riposo forzato del pomeriggio, ci portò, a me e i mie fratellini, al supermercato: ci fece scegliere la merendina che preferivamo e, seduti su un muretto, ci spiegò cosa voleva dire autismo. Lo ha detto in un modo che mi era sembrato un pregio, una medaglia al valore, una meraviglia. Ho continuato a vivere e crescere, andare a scuola, a terapia, in palestra, senza pensarci troppo. Ho imparato presto a far ridere e a ridere di me. In quei momenti sono al centro dell’attenzione, sono “forte”, “un taglio”, “simpatico”.
In poche parole, avevo un autismo lieve, non era molto limitante. Chi ha la sindrome di Asperger di solito ha difficoltà nella sfera sociale, a relazionarsi con altre persone.
Questo ti ha impedito di avere molti amici?
Ne ho pochi ma buoni! Perché se ancora mi parlano nonostante le mie stranezze, vuol dire che sono proprio buoni amici!
E quali sono le tue stranezze?


Strano non è una parolaccia, eh. Non esiste la normalità, chiariamolo. Siamo tutti un po’ strani.
Per quanto mi riguarda io ho interessi assorbenti, cioè tendo a parlare di un argomento che mi interessa o di far girare la discussione verso quello che conosco. Ah, e parlo da solo quando sono stressato.
Quali sarebbero i tuoi interessi assorbenti?
Fumetti e video giochi. In particolare, i super eroi!
Quali?
Stai giocando con il fuoco, se inizio a parlarne non smetto più! Comunque: Flash, Superman. Questi qui.
E gli Avengers no???
No, pure loro. Tutti!
Però mi piace anche leggere e scrivere. Sto lavorando a un romanzo superoistico.
Tornando alle tue “stranezze”….quanto credi abbiano condizionato la tua vita?
Ora le controllo meglio, quando ero piccolo sicuramente ero più ingestibile. Ma io non avevo coscienza del problema. Per me era la mia normalità, lo facevo e non mi importava.
Come hai imparato a controllarti?
Con mamma. Mi è stata addosso finché non ho imparato a stare al mondo. È stata più efficiente lei di altri terapisti. Ma ha fatto di necessità virtù: per me si è divorata libri, ha studiato per capire come aiutarmi. Ed è diventata bravissima.
Come ti ha aiutato in concreto?
Mi diceva non parlare da solo! Quando sei fuori non parlare da solo! Ha insistito così tanto che ha funzionato!
Oggi lavori, di cosa ti occupi?
Faccio servizio civile presso la onlus “Vita indipendente” di Roma. E devo dire che a Roma giro bene, anche da solo. Fuori città invece mi muovo solo con la mia famiglia. Da solo non posso ancora, non sono del tutto autonomo.
Abbiamo parlato della tua mamma. Che mi dici del papà?
Anche lui mi è stato addosso, anche se un po’ meno rispetto a mamma ma comunque mi stava dietro.
Fratelli?
Due. Di venti e ventitré anni. Loro sono neurotipici.
E com’è il vostro rapporto?
Con loro non va molto bene. Si sentono esclusi perché mamma e papà mi danno molte attenzioni. Il secondo non vuol nemmeno sentire parlare di autismo, rifiuta proprio il concetto.
Ora veniamo alle questioni di cuore. Fidanzato?
No. Mi piacerebbe sposarmi, sicuramente. Ma non mi sono mai innamorato.

E qual è il tuo sogno? Cosa vorresti fare da grande?
Diventare scrittore. Scrivere la mia storia e dare coraggio a chi vive la mia stessa condizione!
Durante questa intervista Cristina, la mamma di Filippo era presente, vicino al figlio. Me lo ha detto lei stessa, il giorno dopo. E mi ha confessato di essersi emozionata. “Credevo di essergli stata troppo addosso in senso negativo, di averlo stressato. Sapere invece che gli sono stata utile e sentirlo dire da lui, mi ha fatto venire i brividi”.
Siamo sicuri che nel romanzo superoistico che Filippo sta scrivendo ci sia posto anche per la sua mamma.
Super eroina dei nostri tempi.