La malattia psichiatrica tocca milioni di persone in tutto il mondo. Schizofrenia, depressione, disturbo bipolare, sono solo alcune delle malattie psichiatriche gravi che sconvolgono la vita di chi ne è affetto e delle persone che gli sono vicino.
Alcune malattie, come la depressione, possono andare incontro a guarigione, mentre altre ancora no, ma possono migliorare. La schizofrenia è una malattia psichiatrica che può avere diversi sintomi tra cui: psicosi (perdita del contatto con la realtà), allucinazioni (false percezioni), deliri (falsi convincimenti), linguaggio e comportamento disorganizzati, appiattimento dell’affettività (manifestazioni emotive ridotte), deficit cognitivi e malfunzionamento occupazionale e sociale.
La ricerca di nuove cure, sia farmacologiche che non, continua, ma la società sembra restare indietro: la malattia mentale è ancora un tabù e la società tende a escludere chi ne soffre, peggiorando la situazione psicologica di queste persone.
Anche nella malattia psichiatrica è possibile raggiungere un grado di benessere e di buona gestione dei sintomi, per poter vivere una vita di qualità. Abbiamo incontriamo Fiorenzo, 44 anni, malato psichiatrico e paziente esperto del Centro Psico-Sociale della sua città, che ci ha raccontato la sua storia.

Fiorenzo, quando è cominciata la tua storia di malattia psichiatrica?
La malattia psichiatrica è insorta presto. Ho iniziato ad avere le prime avvisaglie intorno ai 20 anni.
Sentivo che c’era qualcosa che non andava. Vedevo cambiamenti in me stesso a cui non davo una motivazione. Ad esempio, a volte non ero presente a me stesso e capitavano lunghi momenti di silenzio inspiegabili, alternati a comportamenti un po’ al limite, come guidare in modo pericoloso, bere troppo. Gli amici mi facevano notare questi cambiamenti e mi consigliavano di farmi controllare.
Come hai scoperto di avere disturbi psichiatrici?
Trovarsi in giovane età con disagi psichici ti rovina. Ti senti diverso, ti trovi ad affrontare enormi difficoltà e brutti momenti. Ma d’altra parte essere giovane ti dà anche l’energia per affrontare la malattia. Questa energia, anche mentale, ti permette di andare avanti.
Intorno al 2000, a 23 anni, ho iniziato a capire che il problema era di tipo psichiatrico e che dovevo fare qualcosa. Ho avuto un colloquio con uno psicologo che mi ha suggerito di rivolgermi al CPS (Centro Psico-Sociale, ndr). Qui ho parlato con un medico psichiatra che ha individuato problemi nella sfera psichiatrica. Purtroppo i colloqui non sono proseguiti perché non c’è stato un reale coinvolgimento da parte mia e nemmeno i miei familiari hanno insistito.
Gli anni dal 2000 al 2006 sono stati molto bui. È difficile da raccontare. Un’esperienza del genere non era prevista. Sentivo una forte incapacità di relazionarmi, non capivo cosa stesse succedendo, ma non avevo la volontà di chiedere aiuto. Avevo anche l’idea che le cose prima o poi sarebbero andate meglio, che sarebbe passato. Non lavoravo, ma mi dicevo che il lavoro sarebbe arrivato e che avrei ricominciato a relazionarmi con gli altri.
Oltre all’isolamento dalle altre persone, era il mio cervello ad essere isolato. Era come se avessi una “campana” nel cervello che mi impediva di interagire con la realtà esterna, il mio cervello era completamente chiuso in sé stesso. Il mio sintomo principale era quindi un isolamento in un senso molto profondo del termine.
Non posso dire questa condizione mi desse una sofferenza acuta o momenti di grande tristezza, ma posso dire che non c’era un “esterno” con cui la mia mente si interfacciava. Passavano gli anni e vivevo una vita vuota, senza lavoro, senza relazioni, senza progetti. Ad un certo punto i miei genitori hanno deciso di chiedere consiglio al medico di base, che però non individuò elementi psichiatrici.

Come sei riuscito ad affrontare la malattia?
Nel 2006 mio padre decise di raccontare la mia storia ad un amico medico che gli consigliò di farmi avere un colloquio con uno psichiatra. Mio padre contattò quindi l’unità di psichiatria della mia città (la realtà con cui avevo già avuto contatti anni prima) e venni ricoverato.
I medici si sono trovati di fronte una persona il cui cervello era ormai “assente” da molto tempo. Io stesso ero già consapevole di avere una malattia psichiatrica. Da quel momento è iniziato il mio primo vero percorso di cura. Un percorso che non si è mai più arrestato.
Sono rimasto in ospedale per un mese e mezzo. La degenza è stata molto intensa e ricordo ancora tutto. In questa occasione ho avuto modo di conoscere altri malati psichiatrici e di ascoltare le loro storie. Questo mi ha aiutato ad avere speranza nel futuro.
Fin dal momento del ricovero mi è stato somministrato un farmaco antipsicotico, che all’epoca era di nuova generazione. All’inizio mi dava dei problemi: ero rallentato nei movimenti e avevo dei tremori. La dottoressa ha voluto provare a continuare e dopo un po’ questi effetti collaterali sono cessati e la cura si è rivelata fondamentale per il mio miglioramento. Ancora oggi sono in trattamento con un farmaco più recente, ma derivato da questo.
Durante la degenza in ospedale qualcosa in me si è risvegliato. All’improvviso una mattina, dopo tanti anni, ho ripreso consapevolezza di me e del fatto che potevo tornare ad avere il controllo, in una minima parte almeno, della mia mente e quindi della mia vita.
Sono uscito dal ricovero con una diagnosi di schizofrenia molto grave, che implicava una compromissione importante. Si pensava che non avrei mai potuto avere una vita normale.
Come è proseguita la tua esperienza di cura dopo il ricovero?
Dopo l’ospedale sono stato ospite in una CRA (Comunità Riabilitativa ad Alta assistenza, ndr) dove ho iniziato ad avere colloqui molto frequenti con lo psichiatra e ho continuato la cura farmacologica.
Queste cure hanno avuto l’effetto di “aprire la campana” nel mio cervello. Da allora ho cominciato a lavorare sul “dopo” della mia vita che, finalmente, esisteva anche nella mia mente. Ho avuto una forte volontà di riprendere in mano gli aspetti della mia vita su cui si poteva lavorare.
Nel 2008 sono uscito dal CRA e la mia diagnosi è stata modificata in schizofrenia indifferenziata, un tipo di schizofrenia meno grave. Poi ho iniziato a frequentare il CPS in modo regolare.
In tutti questi anni ho avuto l’opportunità di ascoltare moltissime storie di altri utenti affetti da malattia psichiatrica e ho potuto trovare un filo conduttore che le univa. Grazie a questa esperienza ho fatto un ulteriore salto: ho iniziato a dare un mio contributo attivo. Dal 2010, infatti, collaboro con il CPS in qualità di paziente esperto. Aiuto altri utenti affetti da malattia psichiatrica organizzando varie attività e partecipo a convegni sulla psichiatria in cui porto la mia esperienza. Con il mio ruolo spero di contribuire ad aumentare il benessere delle persone e la conoscenza su queste malattie, per migliorare il futuro di tutti i malati psichiatrici.
Oggi, dopo anni di cure la mia diagnosi è cambiata ancora in schizofrenia simplex, un disturbo con sintomi non invalidanti. Ho la consapevolezza di avere dei sintomi tutti i giorni, ma so come tenerli sotto controllo e continuo le cure sia farmacologiche che i colloqui con i medici.
La tua famiglia ti ha aiutato nel tuo percorso?
I miei cari mi sono stati vicino e mi sono sempre sentito parte della famiglia, nonostante gli alti e i bassi. Sono padrino dei miei nipotini e ho potuto prendermi cura di loro quando erano piccoli, aiutando mia mamma. Per me è stato un dono poterlo fare. La figura di mia mamma, venuta a mancare di recente, è stata fondamentale. Con lei c’era una sorta di magia: tutto diventava più semplice e naturale. Con la sua calma, il suo sostegno e il suo affetto è riuscita a spingermi ad avviare il mio percorso di cura, a partecipare ai convegni e a diventare un paziente esperto.
Cosa è per te la malattia psichiatrica?
Penso che esistano tante malattie gravi, dolorose e in grado di scompaginare le famiglie, ma la malattia psichiatrica è diversa, sia per le sue cause, che non sono ancora del tutto conosciute, sia per il tipo di cura e per la grande variabilità da un individuo all’altro.
È anche una malattia che fa molta paura. Le persone hanno paura di ammalarsi ed è un grande tabù, infatti se ne parla poco e a fatica. Anche le strutture di cura, le associazioni e tutto ciò che ruota intorno alla malattia psichiatrica proseguono le loro attività con grande fatica rispetto alle altre malattie.
Inoltre, la partecipazione della società alla sfera della malattia mentale è incredibilmente limitata rispetto alle altre malattie. Per chi ne è affetto, la malattia psichiatrica è un fardello enorme. Ma lo è anche per chi la deve curare.
Oggi, esistono nuovi approcci di cura che aiutano a ridurre queste difficoltà, come ad esempio l’approccio centrato sulla Recovery, un metodo che coinvolge il paziente e lo responsabilizza rispetto al suo percorso di cura.
Com’è la tua vita oggi e come vedi il futuro?
So che non posso guarire, ma la mia vita oggi è ricca di cose belle e importanti che la rendono piena e degna di essere vissuta nonostante tutte le difficoltà.
Per me la ricetta per una vita felice nell’ambito della malattia psichiatrica prevede diversi ingredienti. Uno è l’ascolto degli altri utenti che per me è stato fondamentale. D’altra parte è stato importante anche continuare a coltivare i rapporti con le persone “al di fuori”.
L’inclusione sociale è importante. Il “seme” del miglioramento clinico che sentivo di avere dentro di me è alimentato dal sentirsi parte della società. Per questo lo stigma è un grande problema per le persone con malattia psichiatrica.
Spesso sono andato incontro a rifiuti da parte della società, dovuti all’ignoranza delle persone, che mi facevano sentire diverso. Per fortuna la mia indole mi ha sempre portato a partecipare, nonostante l’esclusione, che comunque mi ha fatto soffrire.
Il messaggio che voglio lasciare è che nonostante la malattia psichiatrica sia in grado di sconvolgere la vita di chi ne soffre, e dei familiari, attraverso la cura è possibile ricominciare a vivere una vita piena e felice, grazie ad un percorso di consapevolezza e azione del paziente.
Fonti
Schizofrenia. Di Carol Tamminga , MD, UT Southwestern Medical Dallas. Maggio 2020
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