L’ultima torta che Alessandra Camerini ha preparato per il compleanno di Lorenzo era davvero buona: leggera, saporita, soffice come una nuvola. È stato difficile, per lei, arrivare a quel risultato: ci sono voluti anni di tentativi, di delusioni, di esperimenti in cucina con l’occhio fisso sulla bilancia, di dissonanze fra i gusti degli ingredienti, aggiunti a una forte apprensione.
Per il piccolo Lorenzo, che oggi ha 7 anni, il cibo è vita. O, meglio: la sua intera esistenza è legata alla complessa armonia fra carboidrati, grassi e proteine che costituisce l’ossatura della dieta chetogenica, unica alimentazione – e trattamento – possibile per chi è affetto dalla sindrome da deficit di Glut1. Si tratta di una malattia rara, che colpisce in Italia circa 120 pazienti di tutte le età, ma molti altri potrebbero soffrirne, senza avere ancora una diagnosi: «Considerando la prevalenza indicata nelle ultime pubblicazioni scientifiche, abbiamo calcolato circa duemila casi sommersi», dice Alessandra Camerini che, oltre a essere mamma del suo bellissimo bambino – «con gli occhi azzurri luminosi e tanta voglia di vivere» è anche vice presidente e responsabile della comunicazione e del fundraising per l’Associazione Glut1. Incarico al quale si è aggiunto, negli anni, quello di responsabile delle relazioni con i pazienti e le associazioni e del servizio Info rare presso la Fondazione Telethon, dopo un’altra scelta di vita: quella di abbandonare un impiego dirigenziale in una banca di investimenti per abbracciare un ruolo di servizio.

La vita di Alessandra è cambiata, quando, da poco diventata mamma di Lorenzo, ha visto qualcosa di strano nel comportamento del piccolo: «Mi sono accorta che non agganciava lo sguardo» racconta «ho riportato subito le mie impressioni al pediatra, che le ha subito etichettate come le paure di una madre un po’ apprensiva». Finché, un brutto giorno, Lorenzo ha avuto quella che Camerini definisce «una lunga assenza»: e la donna ha vissuto un interminabile momento di ansia, che l’ha spinta a rivolgersi immediatamente a un neuropsichiatra infantile. «Fortunatamente, il medico ha intuito subito di cosa si trattasse. Ha chiesto l’esame del liquor spinale, grazie al quale è stata individuata la patologia, confermata poi dall’esame genetico: sindrome da deficit di Glut1». La reazione di Alessandra e della famiglia è stata, sulle prime, di disperazione: «Abbiamo capito che si trattava di una svolta radicale nella nostra vita» racconta «sulle prime ci siamo ripiegati su noi stessi, quasi per proteggere il dolore. Abbiamo attraversato tutti i sentimenti: la paura, la rabbia, la frustrazione, la disperazione». Un tempo lungo di buio, finché non è arrivata l’illuminazione: «Ho incontrato l’Associazione Glut1, con cui oramai collaboro da sette anni. Così ho scoperto che il mio Lorenzo era, in quel momento, il più piccolo diagnosticato: e l’avere una diagnosi precoce può, a tutti gli effetti, come ho avuto modo di apprendere in seguito, essere considerato una fortuna».
LA MALATTIA GLUT1
Si legge sul sito dell’Associazione Glut1 che “la sindrome da deficit del trasportatore di glucosio di tipo 1 (Deficit di glut1, G1D, Glut1D, Malattia di De Vivo o Glut1DS) è una malattia genetica che interessa il metabolismo cerebrale”. Il Glut1, prodotto dal gene SLC2A1, situato sul cromosoma 1 è, infatti, “la proteina responsabile del trasporto del glucosio attraverso la barriera emato-encefalica e agisce in modo indipendente come regolatore di alcune funzioni cerebrali. Se questo gene è danneggiato da una mutazione, la proteina non viene prodotta in quantità sufficiente e il trasporto del glucosio nel cervello è compromesso”.
Ne consegue che, essendo il glucosio la fonte primaria di carburante per il metabolismo cerebrale, il cervello non riceve le componenti metaboliche fondamentali necessarie per la sua normale crescita e il suo funzionamento. In pratica, esso è sempre affamato e non può lavorare come dovrebbe.
I sintomi della malattia variano da persona a persona: crisi epilettiche spesso farmacoresistenti, difficoltà nella parola e nel movimento, atassia, distonie, emicrania, ma anche disturbi della motilità oculare, dai quali è spesso possibile accorgersi della malattia.
Come accade per molte patologie, la diagnosi precoce è fondamentale. Dal momento che i sintomi sono a volte simili a quelli di altre, si deve esaminare il liquor spinale effettuando una puntura lombare a digiuno: come si legge ancora sul sito dell’Associazione Glut1, se le concentrazioni nel fluido spinale di glucosio (e talvolta lattato) sono inferiori al normale, questi risultati supportano il sospetto clinico e giustificano la diagnosi di Glut1. A questo test deve poi seguire un’analisi genetica: se positiva, essa evidenzierà la mutazione del gene SLC2A1 e, quindi, al netto di un errore del 15%, confermerà la diagnosi. Visto che è importante diagnosticare la patologia il prima possibile, sono allo studio test ematici, il Meta Glut1, già disponibili in Francia, da poter somministrare in ambito ospedaliero ai bambini con sospetto di Glut1.
LA DIETA CHETOGENICA
Una volta avuta la diagnosi, inizia la convivenza con la malattia, per la quale, al momento, non esiste una cura. Lo standard di trattamento attuale è la dieta chetogenica, un particolare regime alimentare povero di carboidrati e ricco di grassi, conosciuto anche come “mima digiuno”. Benché non possa correggere il difetto genetico alla base della malattia, può però contenerne le manifestazioni, come racconta ancora Alessandra Camerini: «La dieta chetogenica ha protocolli diversi: da quello classico, più rigido, a quelli con più gradi di libertà, usati a volte da chi vuole dimagrire. Nel caso del Glut1, viene adottato quello più rigoroso, in cui ogni nutriente va calcolato al grammo». L’apporto di lipidi, in questo caso, varia dal 70 al 90%. A livello chimico, quello che accade è che «il fegato inizia a produrre corpi chetonici che riescono a superare la barriera emato-encefalica, sopperendo così alla scarsità di glucosio. In pratica, è come una macchina ibrida» sorride Camerini «che da benzina passa a gas. Il nostro cervello non si nutre più di glucosio ma di chetoni». La mamma di Lorenzo ha riscontrato benefici diretti sulle crisi epilettiche, che sono pressoché scomparse nel suo bambino – «erano circa sessanta al giorno» – mentre altri genitori, riporta il sito dell’associazione, hanno riscontrato miglioramenti nei livelli di energia, nonché nella concentrazione e nella coordinazione motoria.

La dieta chetogenica ha un grande impatto nella vita di tutti i giorni. Visto che i nutrienti devono rispettare certi equilibri, ogni pasto, ma anche ogni occasione conviviale rischia di diventare complicata per i bambini affetti da sindrome da deficit di Glut1: il pranzo alla mensa scolastica, una festicciola a casa di amici, un viaggio, una pizza in compagnia, la stessa torta di compleanno che, fa notare Camerini, «è stata frutto di ore di studio». Ore in cui si sono mescolati ingredienti, misurando, adeguando e calcolando tutto, in un clima di fortissima concentrazione: «In famiglia mi chiamano “la strega”» ironizza Alessandra «sembra sempre che stia preparando pozioni magiche». Infatti, bisogna pesare sempre tutto al grammo e farlo a ogni pasto. «È sufficiente un chicco d’uva, per uscire dallo stato di chetosi. Quando ciò accade, non vi si rientra, se non dopo tre, quattro giorni». Tutto questo, oltre ai bambini, riguarda anche gli adulti, senza eccezione per l’età critica dell’adolescenza, in cui l’impatto sociale diventa ancora più forte: «Il senso di esclusione viene acuito dal fatto che da un lato i ragazzi cercando di essere indipendenti; dall’altro il loro corpo ha necessità diverse».
Anche per ovviare a tutto ciò, la routine domestica di Alessandra prevede che tutti i componenti della famiglia, mamma, papà, Lorenzo e il fratello Riccardo, nove anni, mangino tutti assieme. E che nessuno limiti i propri desideri alimentari per adeguarsi alla situazione, in modo tale da non rinchiudere «i figli più fragili in una bolla. Ma non possiamo pensare di avere l’inclusione fuori casa, se non riusciamo a farla nell’ambiente domestico».
GLI AIUTI
L’aiuto più importante, sottolinea Camerini, è quello che ognuno può darsi accettando di fare rete, passando dall’ottica del servirsi a quella del servire gli altri: uscire dall’ottica dell’“io” per adottare quella del “noi”. In tutto questo, particolare attenzione va rivolta proprio alla dieta. È per semplificare la gestione del regime alimentare e dei rapporti con i medici che è nata una app, Ketonet, realizzata grazie a una collaborazione con il Politecnico di Milano, in particolare con il team del professor Luciano Baresi (dipartimento di Elettronica, informazione e bioingegneria), e all’ingegner Matteo Manzinello, e con la collaborazione medico-scientifica del Centro di studi e ricerche sulla Nutrizione umana e i disturbi del comportamento alimentare dell’Università di Pavia (team della professoressa Anna Tagliabue) e del team del Centro nutrizionale ICANS di Milano (team della professoressa Simona Bertoli).
Per i primi quattro anni, Ketonet è stata scaricabile dai principali store di Apple e Android: in quel periodo ha totalizzato centinaia di migliaia di download. Tuttavia, per evitarne un uso improprio, è stato recentemente deciso di metterla a disposizione esclusiva delle famiglie in cui ci sia una persona affetta da Glut1 Ds oppure da altre patologie epilettiche o metaboliche. È possibile ottenerla mandando una mail all’associazione, che verificherà l’effettiva necessità contattando il medico (nutrizionista o neurologo) che ha in cura il paziente. La stessa app riporta 900 ricette chetogene, tutte testate e validate da un team di professionisti.
COSA MANCA ANCORA
Oltre a fornire importanti aiuti alle famiglie, l’Associazione Glut1 si muove anche a livello politico su diversi fronti: «Il primo è sicuramente quello della formazione» conclude Camerini «sia quella delle famiglie, che quella dei medici e della società civile, anche attraverso specifici corsi. Importantissima è poi la consapevolezza sulla malattia degli istituti scolastici, spesso impreparati a rispondere alle esigenze di questi bambini speciali. A tutti loro cerchiamo di raccontare la malattia». «C’è poi l’aspetto, fondamentale, della qualità della vita» continua la vice presidente dell’associazione «oltre alla app Ketonet, offriamo per esempio alle famiglie un supporto costante 24 ore su 24 con un gruppo whatsapp e anche percorsi psicologici con personale adeguatamente formato dal Comitato Scientifico dell’Associazione. Infine, c’è il dialogo con le istituzioni: abbiamo discusso e ottenuto che alcuni alimenti indispensabili fossero approvati e accessibili a tutte le famiglie con diagnosi di Glut1 e anche, successivamente, di epilessia. E poi forniamo tutto il tipo di supporto alle famiglie: da quello burocratico a quello più pratico». Sul fronte della ricerca, «stiamo inoltre lavorando per portare anche in Italia il test ematico di diagnosi precoce» dice ancora «Inoltre, per supportare la ricerca, abbiamo sviluppato un registro di patologia e ci siamo appoggiati a Fondazione Telethon per organizzare un bando di ricerca: abbiamo finanziato due progetti da 50 mila euro l’uno, entrambi al loro secondo anno, che stanno progredendo benissimo».
Basta guardare le fotografie di Alessandra con Lorenzo per capire cosa sia alla base di una buona gestione della vita con la malattia: ed è quel legame speciale, fatto di amore e di gioia, che forma una famiglia. «Se guardo Lorenzo, vedo un bimbo con gli occhi azzurri e luminosi, che ha anche il deficit di Glut1». «Vedo una persona, non una malattia»: ed è il sorriso la firma più importante.