L’inclusione scolastica degli studenti con disabilità oggi in Italia è in crisi: pochi assistenti all’autonomia e alla comunicazione – soprattutto nel Mezzogiorno -, insegnanti di sostegno non specializzati, formazione inadeguata, mancanza di continuità didattica. A peggiorare la situazione è la didattica delle lezioni, basata quasi esclusivamente sulla lezione frontale, non inclusiva per nessuno, non solo per gli studenti con disabilità. Invertire la rotta è possibile ma solo con la corresponsabilità di tutti i ruoli che operano nel sistema scolastico e rimettendo al centro l’interesse degli studenti con disabilità e di tutti gli altri.
“Per Federico la relazione con i pari è importantissima: lo aiuta a confrontarsi e avere esempi positivi da seguire. È un ragazzo molto affettuoso, che cerca la relazione con gli altri.” Così Pierangelo Cappai, presidente di FISH Sardegna e di altre associazioni del cagliaritano, descrive suo figlio, ventunenne con autismo, che frequenta il quinto anno dell’Istituto I. S. Azuni, indirizzo grafico, a Cagliari. “Ovviamente il suo cercare la relazione ha bisogno di una mediazione. Ecco perché la figura dell’assistente educatore è fondamentale per permettere che questo percorso di relazione si sviluppi, specialmente con i compagni”.
Federico infatti non comunica con le parole, o meglio “decide lui quando utilizzare la comunicazione verbale, non può essere indotta”- racconta il padre.
“L’assistente educativo è l’assistente alla comunicazione di quegli alunni che, per la maggior parte delle volte, usano il linguaggio non verbale.” – spiega Francesca Palmas, pedagogista, Responsabile Scuola dell’associazione ABC Italia e membro dell’Osservatorio sull’inclusione scolastica MIUR – “Quindi l’educatore è il mediatore tra i docenti, il docente di sostegno e i compagni di classe. Senza questa figura molti studenti autistici o con disabilità intellettiva non possono frequentare”.
Il caso di Cagliari
A fine settembre la Città Metropolitana di Cagliari ha comunicato alle famiglie degli 827 studenti con disabilità iscritti alle scuole superiori che avrebbe ridotto le ore destinate all’assistenza educativa. “Un taglio del 30% sulle ore di assistenza assegnate” – continua Palmas, – “perché non bastavano i fondi. Come giustificazione, hanno citato l’aumento dei costi dell’energia elettrica”.
Federico non ha potuto iniziare l’anno scolastico con i suoi compagni. “Non ha avuto riduzione di ore, perché lui frequenta solo nelle ore in cui è garantita la compresenza del docente di sostegno e dell’assistente educatore. Dal giorno di apertura delle scuole fino ai primi di ottobre non ha proprio avuto il servizio.” – riprende Cappai – “Le ripercussioni sono state importanti: i primi 15-20 giorni sono fondamentali nel caso di una disabilità come l’autismo. Sono quelli che consentono allo studente di rientrare nella logica scolastica, perché all’inizio dell’anno i tempi sono un po’ più dilatati. Per noi genitori è stato un grosso problema a livello lavorativo: ci siamo dovuti prendere permessi e mancare dal lavoro”.
La vicenda si è conclusa positivamente grazie alle pressioni dell’associazione ABC che, a una settimana dall’inizio delle lezioni, ha richiesto un’audizione congiunta delle commissioni consiliari regionali di bilancio, istruzione e salute e sollecitato un’integrazione dei fondi per coprire l’intero fabbisogno. Istanza accolta: la Regione ha stanziato 19 milioni di euro per il triennio, in aggiunta ai 39 già devoluti, per un totale di 58,5 milioni totali, garantendo agli studenti con disabilità il diritto di frequentare la scuola pubblica.
Mancano assistenti alla comunicazione e dicenti di sostegno formati sulla disabilità
L’Italia è considerata un modello a livello mondiale in quanto a inclusione scolastica, ma la strada per rendere effettivo il diritto allo studio dei 316 mila studenti con disabilità che frequentano le scuole del paese, circa il 4% della popolazione studentesca è ancora in salita. A iniziare dalla mancanza di assistenti all’autonomia e alla comunicazione, soprattutto nel Mezzogiorno: assunti dagli enti locali, sono più di 65 mila ma concentrati prevalentemente al nord e al centro del Paese.
Un altro nodo riguarda gli insegnanti di sostegno. I posti di sostegno assegnati nell’anno scolastico 2021/2022 sono 207 mila, di cui più di 70 mila (il 32%) in deroga, cioè ricoperti da supplenti senza specializzazione sul sostegno, assunti con contratto a tempo determinato e scadenza al 30 giugno.
Di questo ne avevamo già parlato in una live dedicata a fine ottobre:
Insegnare in una cattedra di sostegno senza avere una formazione specifica significa non avere competenze adeguate per svolgere quel ruolo, ma anche la specializzazione dei docenti di sostegno andrebbe adattata alle esigenze degli studenti con disabilità. “I programmi dei corsi di specializzazione devono essere migliorati perché sostanzialmente sono ancora quelli risalenti al 1986, ma ridotti ad un solo anno” – dichiara Salvatore Nocera, avvocato, esperto di legislazione scolastica, presidente del Comitato dei Garanti della FISH (Federazione Italiana Superamento Handicap) – “La FISH sta lavorando a una proposta di legge per riportare a due anni la specializzazione, anziché un anno com’è ora”.
Anche gli insegnanti specializzati, dopo cinque anni trascorsi ricoprendo un posto di sostegno, possono richiedere di diventare di ruolo nella materia in cui si sono laureati. Risultato? Un turnover continuo, a discapito della qualità dell’inclusione, dell’apprendimento e del “ben-essere” degli studenti con disabilità.
“L’anno scorso insegnavo a uno studente con mutismo selettivo. Dopo un lavoro abbastanza lungo con un’insegnante di sostegno, aveva ricominciato a parlare.” – racconta Sara Barausse, insegnante di sostegno presso l’ISS Duca Degli Abruzzi a Padova – “Poi ne ha cambiati un sacco ed è stato assolutamente deleterio perché con gli insegnanti successivi, me compresa, è ritornato al mutismo”.
Spesso il ruolo del docente di sostegno non viene sufficientemente valorizzato dai docenti di classe: “Si pensa che l’insegnante di sostegno sia l’insegnante dell’alunno”. Laura – che preferisce rimanere anonima – lavora come maestra in una classe prima di una scuola primaria Piazzola sul Brenta, in provincia di Padova: “Non è così.” – continua – “È un insegnante assegnato alla classe perché lì c’è una complessità causata dal dover rispondere a esigenze diverse”. Laura sa bene ciò di cui sta parlando perché nella sua carriera lavorativa ha ricoperto sia il ruolo di docente curricolare sia quello di sostegno.
“È importantissimo condividere cosa si fa tra colleghi, invece, quando facevo l’insegnante di sostegno, mi è capitato spesso di non sapere che cosa si sarebbe fatto quel giorno in aula. Per un po’ ho continuato a chiedere. Ad un certo punto ho imparato a improvvisare e adattarmi”.
Nella scuola dove insegna ora, Laura e i suoi colleghi si incontrano settimanalmente per condividere la programmazione delle diverse materie, in modo che tutti i docenti, compresa quella di sostegno, ne abbiano visibilità. “Un’altra strategia è stata organizzare il nostro orario, quando non è necessaria la compresenza, suddividendo equamente le ore mie, della collega di sostegno e di quella dell’area matematico-scientifica. Così i bambini vedono alternarsi le tre figure indifferentemente: non c’è l’insegnante di sostegno che sta sempre di fianco alla bambina e l’insegnante di classe che tiene la classe”.
Le difficoltà incontrate da Laura con i colleghi di posto ordinario sono anche collegate alla generale mancanza di formazione dei docenti curricolari rispetto all’inclusione scolastica.
Lo scorso anno con il DM 188/21 il MIUR aveva sancito l’obbligo di 25 ore di formazione sull’inclusione per tutto il personale docente impegnato nelle classi con alunni con disabilità non in possesso del titolo di specializzazione sul sostegno, ma l’obbligatorietà non è mai stata applicata e quest’anno la norma è decaduta.
Più in generale l’impostazione della didattica nelle scuole italiane di ogni ordine e grado, improntata quasi esclusivamente sulla lezione frontale, rimane un grosso ostacolo al diritto allo studio.
“La lezione frontale non è inclusiva per nessuno, non solo per gli alunni con disabilità.” – spiega Palmas – “Il principio è quello dello universal design for learning: quello che è necessario per qualcuno, può rivelarsi utile per tutti. Per esempio, l’uso delle PECS (Picture Exchange Communication System, un sistema di Comunicazione per Scambio di Simboli, usato con persone con autismo, n.d.r.), delle immagini per costruire l’analisi delle sequenze – dalla storia di Cappuccetto Rosso fino alla Critica della ragion pura di Kant. Un metodo di insegnamento semplificato, ad esempio la task analisys (suddivisione del compito), che può andar bene sia per chi usa il linguaggio verbale, sia per chi non verbalizza”.
Una didattica inclusiva sarebbe davvero possibile, anche grazie all’impiego delle tecnologie, ad esempio gli audiovisivi, e di metodologie che promuovano il protagonismo degli studenti.
“Il lavoro a piccoli gruppi, il cooperative learning (apprendimento cooperativo, n.d.r.), l’insegnamento peer to peer – tra alunni e alunni -molto efficace con gli alunni con disabilità o con bisogni educativi speciali perché abbatte l’ansia, mette tutti sullo stesso piano e facilita, oltre che l’apprendimento, anche la relazione sociale. Quando si individua e assimila un metodo di apprendimento, può essere utilizzato trasversalmente in tutte le materie”.
Perché la didattica inclusiva funzioni è necessaria la collaborazione di tutti i docenti. “È importante che i docenti curricolari siano tutti coinvolti nelle strategie e nelle metodologie didattiche impegnate.” – osserva Palmas – “ Altrimenti può succedere che magari il docente di sostegno riesca a mettere in campo delle strategie educative, però poi il docente di matematica faccia di testa sua, in maniera tradizionale, buttando all’aria tutto il percorso fatto con l’alunno dagli altri docenti. Quindi bisogna tutti usare lo stesso linguaggio, cioè, lo stesso metodo, in modo tale che con gli alunni con disabilità si parli tutti nello stesso modo”.
Ciò che emerge dalle storie e dai numeri è un sistema scolastico che oggi in Italia è in crisi e non riesce più a rispondere efficacemente alla complessità delle esigenze degli studenti con disabilità (e non solo).
La scuola deve ritrovare la sua funzione di “palestra di cittadinanza”, educando le nuove generazioni al rispetto e alla valorizzazione delle differenze ed essendo un esempio di inclusione. Per riuscirci serve generare una responsabilità condivisa da tutti i ruoli che rientrano nel sistema scuola a tutti i livelli, sia nei singoli istituti che nelle istituzioni per promuovere politiche scolastiche che restituiscano centralità agli studenti.