Si chiamano parasonnie e sono disturbi del sonno tra cui rientra il più noto di tutti: il sonnambulismo. Ne abbiamo parlato con Alice Geri che ha scritto un libro autobiografico, raccontando cosa vuol dire convivere quotidianamente con il sonnambulismo e con lo stigma che si porta dietro.
Al di là della simpatica ironia con cui Alice affronta questa narrazione, il messaggio che si vuole far arrivare è costruttivo: si può avere una vita piena e soddisfacente e convivere con il sonnambulismo senza limitazioni. Basta qualche piccola accortezza.
Il sonnambulismo
Prima di raccontarvi la storia di Alice, chiariamo bene di cosa stiamo parlando. Da sempre il sonnambulismo accende la curiosità in tutti noi. La letteratura, così come il cinema, ha attinto a piene mani da questo particolare disturbo, spesso con punte creative lontane dalla realtà.
Del resto, la fisiologia e la patologia del sonno hanno, da sempre, suscitato anche un grande interesse scientifico. Le conoscenze acquisite, poi, hanno permesso di definirne sempre meglio la fenomenologia. Inoltre, negli ultimi anni, la medicina del sonno ha classificato accuratamente i disturbi del sonno scoprendone anche di nuovi.
Ma cos’è esattamente il sonno? È un fenomeno fisiologico caratterizzato da:
- profonda modificazione dell’attività elettrica cerebrale;
- perdita reversibile della coscienza e delle capacità critiche e discriminative caratteristiche della veglia. Si può modificare o interrompere grazie a stimoli sensitivi o sensoriali e per questo motivo si distingue dagli stati di coscienza alterati.
Il sonno svolge funzioni molto importanti, tra cui: il controllo di alcuni processi metabolici, la stimolazione endogena (cioè maturazione corticale e la creazione di nuove sinapsi durante lo sviluppo), la funzione omeostatica, la regolazione endocrina (secrezione di alcuni ormoni strettamente dipendenti dal ciclo sonno veglia, come ad esempio il cortisolo, ormoni sessuali, ecc.) e la regolazione del sistema immunitario. Recentemente si è scoperto che il sonno riveste un ruolo rilevante anche per la memoria e le altre funzioni cognitive: il reset del sistema di registrazione delle informazioni irrilevanti, per preparare il cervello all’arrivo di nuove informazioni, il trasferimento dei ricordi dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine, il consolidamento o l’annullamento delle tracce mnemoniche e l’apprendimento.
La recente classificazione dei disturbi del sonno (International Classification of Sleep Disorders third edition – ICSD-3, 2014) ne identifica 7 gruppi principali:
- insonnia
- disturbi della respirazione correlati al sonno
- disturbi centrali con eccessiva sonnolenza
- disturbi del ritmo circadiano sonno-veglia
- parasonnie
- disturbi del movimento correlati al sonno
- altri disturbi del sonno.
Cos’è una parasonnia?
Il sonnambulismo è una parasonnia, cioè un disturbo che racchiude fenomeni di diverso tipo (motori, verbali ed esperienziali) che avvengono nel sonno e possono essere considerati come un disturbo della transizione delle varie fasi del sonno e del risveglio. Sono classificate in primarie (disturbo delle fasi del sonno) o secondarie (sintomatiche, cioè, di specifiche patologie neurologiche).
Si suddividono anche in parasonnie correlate al sonno NREM, associate al sonno REM e altre parasonnie.
Le parasonnie del sonno NREM includono i fenomeni tipici della transizione dalla veglia al sonno (quelli che tipicamente accadono appunto nel sonno NREM) tra cui sonnambulismo, pavor nocturnus e arousal confusionali. Spesso si riscontrano nei bambini e sono equivalenti a un risveglio incompleto dal sonno profondo.
Il sonnambulismo solitamente si osserva durante la prima parte della notte, durante il sonno profondo.
Il comportamento del sonnambulo può essere calmo o agitato, automatico e a volte stereotipato; mentre le azioni che compie possono avere un senso o essere scomposte. Dura circa 1-2 minuti e il risveglio, soprattutto se provocato, può essere lento e confuso e la persona può non ricordare cosa è accaduto.
Il pavor nocturnus è caratterizzato, invece, da risvegli improvvisi in cui il soggetto (prevalentemente bambini) appare in preda alla paura e al panico e sembra inconsolabile. Al terrore può associarsi anche un’attività motoria quasi mai violenta, mentre spesso c’è un’amnesia dell’accaduto. Questi episodi, della durata variabile da 30 secondi a 3 minuti, compaiono comunemente nella prima parte del sonno (durante il sonno profondo, ma occasionalmente in tutte le fasi NREM).
Abbiamo parlato di sonnambulismo con Alice Geri, autrice di un libro autobiografico, Lei non sa che sonno ho io. Storie semiserie di un disturbo chiamato “sonnambulismo”, in cui racconta la sua vita da sonnambula e tutte le difficoltà che questa condizione può comportare.
Alice, cosa vuol dire nella quotidianità essere sonnambuli e quali disagi comporta (se ne comporta)?
Essere sonnambuli, e nel mio caso avere anche crisi di pavor nocturnus (terrore nel sonno), non è mai stato facile, ma negli anni ho imparato a convivere con questo disturbo.
Il momento di dormire è stato, per tanto tempo, motivo di ansia e preoccupazione per me e per chi, con me, doveva condividere il letto, la stanza o l’appartamento. I sensi di colpa sono stati, e a volte lo sono ancora oggi, la cosa peggiore con la quale mi sono “scontrata”. Non c’è niente di peggio del pensiero che le persone a te vicine debbano “subire” questa situazione, anche se non dipende dalla tua volontà.
Quindi, se devo parlare di disagio, questo è quello più grande. Per tutto il resto, mi “arrangio” come posso.

Nel tempo, ho messo in atto una serie di “stratagemmi” che mi aiutano ad affrontare questo disturbo nella maniera più pacifica possibile.
Dando per scontato che è fondamentale farsi aiutare da degli specialisti che sanno indirizzarti e consigliarti al meglio, ci sono delle accortezze che utilizzo ancora oggi che le crisi sono molto meno frequenti rispetto al passato.
Una fra tutti?
Chiudere la porta a chiave e togliere il mazzo dalla toppa. A volte ho chiesto a mio marito di nasconderle, perché sì, è capitato che nel sonno le cercassi per provare a fuggire di casa.
Alice Geri
Un altro espediente è l’utilizzo di una lucina da notte, come quella delle camerette dei bambini. Non la accendo tutte le sere, ma nei periodi in cui sono più agitata mi tranquillizza e, soprattutto, illumina la stanza qualora dovessi svegliarmi.
Con un disturbo come il mio è necessario organizzarsi anche in hotel, per evitare che un weekend fuori casa possa diventare un incubo. Infatti, un conto è svegliarsi urlando e correndo fra le quattro mura domestiche, un conto è ritrovarsi nel corridoio di un albergo, spaesata e spaventata. E credetemi, è capitato più volte. Anche in questo caso il trucco è chiudere bene la porta e mettere davanti ad essa un “ostacolo” che impedisca di aprirla, come una valigia o una sedia.
Insomma, convivere con un disturbo del sonno come il sonnambulismo si può, ve lo assicuro. E io personalmente non mi sono mai preclusa niente. Non ho mai lasciato che questo mio problema potesse impattare negativamente sulla mia vita sociale, ma per far questo, come ho detto prima, dobbiamo farci aiutare, non si può pensare, nei casi gravi come il mio, di farcela da soli.
Che impatto ha il sonnambulismo sulla sua vita privata e di relazione?
Il mio sonnambulismo ha avuto un impatto diverso a seconda della fase di vita in cui mi sono trovata. Le prime crisi forti le ho avute in piena adolescenza e a differenza di quanto si possa pensare, data la fase delicata della vita, non è stato il periodo più difficile da affrontare.
Fino ai 19 anni ho abitato con i miei genitori, avevo il supporto della mia inseparabile migliore amica e non c’erano molte occasioni per “dormire fuori”. Mi sentivo quindi in una “bolla sicura”, al riparo da pregiudizi. Il mio unico cruccio era la consapevolezza che con le mie crisi facevo preoccupare i miei genitori, oltre a non farli riposare bene durante la notte.
Quando a 19 anni sono andata ad abitare a Siena per l’università, sono iniziati i primi “problemi” perché ho cominciato a relazionarmi con persone diverse, in ambienti diversi.
Devo dire che sono sempre stata abbastanza fortunata perché ho incontrato, per la maggior parte, persone comprensive e che mi hanno aiutato a gestire e ad affrontare il mio disturbo. Le mie ex coinquiline, ad esempio, erano preparate e abituate ai miei “show notturni”!
Storia diversa per quanto riguarda le relazioni. C’è un capitolo nel libro che si chiama “uomini coraggiosi”, in cui racconto un po’ il rapporto tra me, loro… e il sonnambulismo. Non tutti sono riusciti ad accettare questa mia “caratteristica” e oggi, con una maturità sicuramente diversa, non posso biasimare il comportamento di alcuni di loro.
Quando arrivò Marco, che oggi è mio marito, ho capito davvero il valore della promessa “il tuo problema lo affronteremo insieme”. È fondamentale avere accanto a sé una persona che ti supporta e che sa gestire le tue crisi, senza farti mai sentire in colpa. Sapere di poter andare a dormire serena, nel mio caso, è quanto di meglio possa desiderare.
Che tipo di percorso terapeutico sta seguendo?
Ad oggi il mio percorso terapeutico è finito, ma, come dico sempre, il numero del mio neurologo ce l’ho pronto, qualora le crisi, che ora sono fortunatamente sporadiche, dovessero accentuarsi.
Sono molto grata a tutti coloro che mi hanno seguito e non smetterò mai di ripetere che di fronte a un disturbo come il mio, è fondamentale farsi aiutare da un professionista.
Inizialmente i miei genitori mi portarono da un neurologo che mi fece fare una TAC e provò a “calmare” le mie crisi con delle gocce, che diventarono presto la mia “coperta di linus”.
Contemporaneamente ero seguita da una psicologa, che mi ha aiutato tantissimo ad accettare questa mia “diversità”. Il percorso psicologico l’ho ripreso poi anche più avanti e a mio avviso è indispensabile, perché ti aiuta a comprendere anche quello che da sola non arrivi a vedere.
Sono stata anche ricoverata due volte in un ospedale neurologico a Milano, dove inizialmente pensavano si trattasse di “epilessia notturna”, diagnosi poi smentita la seconda volta, a favore di “parasonnia”. Ed è proprio così, io con le parasonnie dovrò conviverci per sempre, per fortuna che mi hanno insegnato a farlo.
Perché ha scritto questo libro?
Ho iniziato a scrivere per “sfogo”, senza immaginare che alcune di quelle pagine sarebbero diventate parte di un libro. Ho sempre trovato nella scrittura una sorta di “auto-medicazione” e un giorno si è accesa la famosa lampadina: perché non dare una forma a quei miei pensieri e metterli a disposizione di chi, magari, soffre del mio stesso disturbo?
Ho volutamente conferito al libro un’accezione leggera e ironica, perché l’ironia è ciò che mi ha salvato più volte. Sdrammatizzare e ridere di me mi ha spesso aiutato a superare quella paura che un disturbo come questo naturalmente comporta.
Attenzione, però, a non confondere leggerezza con superficialità, il mio è semplicemente un modo di affrontare i problemi che ci si presentano davanti, senza mai sminuirli. Che bello sarebbe se questo mio atteggiamento “scanzonato” potesse donare un po’ di sollievo a chi ne ha bisogno!
Inoltre di disturbi del sonno se ne parla poco e, quando lo si fa, vengono utilizzati sempre termini tecnici, scientifici, difficili da capire. Con la mia testimonianza, invece, cerco di raccontarli in maniera semplice e divertente.
Quello che mi auguro? Che passi il mio messaggio di speranza: con questo disturbo si può convivere!
In Italia ci sono Centri specializzati di medicina del sonno. È possibile consultare l’elenco sul sito dell’AIMS (Associazione Italiana di Medicina del sonno) suddiviso per Regione.
Fonte:
A. Berardelli, La Neurologia della Sapienza, Esculapio Editore 2022.