La figura dell’anestesista è sempre stata avvolta da un velo di mistero e fascino: è la persona che si occupa di far addormentare il paziente prima di un intervento (in modo generale o solo per sedare alcune parti del corpo), ma si occupa anche della terapia del dolore e della rianimazione. E’ colui che ti fa passare l’intervento senza che te ne accorgi, quello che ti dice di contare fino a dieci, magari tenendoti anche la mano, che ti dice che andrà tutto bene. Ed è poi quello che ti sveglia, che ti chiede come stai, come ti senti, che si assicura che il risveglio vada bene e tutto torni a riattivarsi come si deve.
Ma soprattutto, l’anestesista è un medico. Purtroppo, per quasi la metà dei pazienti, questa figura è vista come un tecnico. Perché manca un’adeguata comunicazione da parte dei medici verso i pazienti, perché questa figura è poco considerata dalle istituzioni, visto che, nonostante i pronto soccorso italiani stiano collassando, si fa poco per assumere e offrire condizioni di lavoro decorose a questi professionisti.
Secondo la ricerca promossa da Fausto D’agostino, dirigente medico anestesista rianimatore dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, con la supervisione dei professori Felice Eugenio Agrò e Paolo Pelosi, pubblicata sul ‘Journal of Anesthesia & Clinical Research‘, quasi un paziente su due (45,6%) in attesa di un intervento chirurgico pensa che il medico anestesista rianimatore sia un diplomato e non una laureato in Medicina e con una specializzazione.
Solo il 22% sa che è laureato in Medicina e solo l’11,5% sa che lavora in terapia intensiva e in emergenza. Il sondaggio è stato condotto dal 10 gennaio al 31 maggio 2021 su un campione di 1.400 pazienti in attesa di essere operati, attraverso un questionario di 13 domande a risposta chiusa che includevano, tra le altre, dati personali, età, sesso e titolo di studio.
La ricerca
Lo scopo dello studio è stato quello di valutare le conoscenze dei pazienti sul ruolo ospedaliero degli anestesisti, sulle tecniche di anestesia e sulla consapevolezza durante l’intervento chirurgico.
Risultati: il ruolo degli anestesisti nella gestione perioperatoria era conosciuto da 1267 (90,5%) pazienti e il ruolo dei chirurghi da 1143 (81,7%) pazienti. La conoscenza dell’anestesista è stata ottenuta da esperienze personali o di parenti (56,3%) o dai loro medici di famiglia (26,9%). Quattro pazienti su dieci conoscono il lavoro degli anestesisti, (addormentano le persone mentre monitoravano le funzioni vitali), ma solo uno su tre sa che autorizzano anche l’intervento (31,4%). Il 42,5% dei pazienti ha paura dell’anestesia generale (42,5%) e spinale/epidurale (36,8%), e uno su tre lega questa paura alla morte durante l’anestesia (34,6%) o al dolore intraoperatorio (25,2%).
“Il punto interessante – spiega D’Agostino – oltre al fatto che la figura dell’anestesia desti un interesse generalizzato, è che che i pazienti in procinto di essere sottoposti ad anestesia preferiscono ancora informarsi maggiormente attraverso l’esperienza diretta o familiare, piuttosto che chiedere direttamente al medico. Questo ci fa capire quanto sia importante lavorare sulla relazione tra medico e paziente e sulla comunicazione. Sebbene, infatti, i pazienti abbiano dimostrato di conoscere il ruolo degli anestesisti e la pratica anestesiologica, crediamo che l’informazione dovrebbe essere migliorata fornendo più materiale educativo prima della procedura chirurgica”.
Infatti, da quanto emerge dalla ricerca, gli intervistati desidererebbero maggiori informazioni su alcuni aspetti fondamentali dell’anestesia e del percorso diagnostico/terapeutico, principalmente sulla durata dell’intervento (57%), come i medici si occuperanno del dolore postoperatorio (47%), le diverse tecniche di anestesia disponibili (42%), oltre all’eventuale anestesia e complicanze (50%).
“Se una famiglia spesso sceglie il chirurgo che dovrà operare il proprio caro – precisa D’Agostino- non avviene lo stesso per la scelta del medico anestesista rianimatore, raramente percepito come una figura centrale, e di alta specializzazione, nel processo operatorio. Va inoltre ricordato che lo stesso specialista ha in carico le terapie del dolore – ruolo di cui solo l’11,5% degli intervistati è a conoscenza – così importante per alleviare le sofferenze di un paziente – e che anche per questo dovrebbe meritare la massima considerazione nella fase di scelta da parte del paziente e dei suoi familiari”.
Cosa fa l’anestesista?
Non è il medico chirurgo a decidere se il paziente può essere sottoposto a un intervento chirurgico che necessita sedazione. E’ l’anestesista, cioè un medico specializzato che si occupa di gestire il paziente in due ambiti principali: l’intervento chirurgico e l’emergenza. Non si limita a somministrare i farmaci anestetici, ma è colui che decide se il paziente può essere operato o meno, valutando i rischi e i benefici dell’intervento, considerando lo stato di salute del paziente, i rischi connessi ad altre malattie, all’età, allo stato del cuore e chiaramente anche i fattori legati all’intervento, come la durata e quanto è invasivo. Se si decide per l’intervento, l’anestesista è responsabile della salute del paziente durante l’operazione e nelle 24 ore successive, si occupa dell’anestesia locale o totale e della gestione del dolore durante e dopo l’intervento. Per quanto riguarda l’emergenza l’anestesista lavora anche in pronto soccorso in cui si occupa del dolore e della gestione del paziente insieme ai colleghi, e anche nell’emergenza sul territorio.
Ne avevamo parlato qualche tempo fa con Laura, anestesista, che ci ha raccontato la sua giornata tipo, la sua professione e perché ha scelto di fare questo lavoro:
Che tipi di anestesia esistono?
La possibilità di poter iniettare l’anestetico esattamente intorno al nervo, oppure all’interno di fasce che contengono nervi, con il prezioso supporto dell’ecografo, significa poter gestire l’anestesia a livelli selettivi mai sperimentati prima, andando ad addormentare solo la parte su cui si opera, lasciando il paziente vigile. Questo comporta una serie di vantaggi non solo dal punto di vista del recupero post-operatorio, molto più veloce, ma anche in termini di minor occupazione delle rianimazioni. Nel lungo termine questa tecnica potrebbe anche essere utilizzata nella medicina d’urgenza sul territorio (ad esempio in elisoccorso) o per gestire il dolore cronico.
Ne abbiamo parlato in modo approfondito in questo articolo, frutto di una live condotta dalla direttrice di PERSONE, OLTRE LA MALATTIA, Angelica Giambelluca, e che potete rivedere qui:
Come dovrebbe essere valorizzata la figura dell’anestesista?
Negli ultimi mesi, le notizie sulla mancanza di medici in pronto soccorso, tra cui medici anestesisti, è una costante all’ordine del giorno. A settembre era esplosa la polemica sull’impiego di medici provenienti da altri paesi per sopperire a queste carenze, quando in realtà si potrebbero impiegare meglio le figure che già esistono, ma con contratti migliori e condizioni di lavoro dignitose: “Gli specialisti carenti sono quelli delle aree critiche – ha detto D’Agostino in una lettera pubblicata su PERSONE pochi mesi fa- Anestesisti e Medici d’urgenza sono i più colpiti e tutto ciò è imputabile alla forte discrepanza tra il carico lavorativo e lo stato di benessere del professionista. Responsabilità, burn out, poco riconoscimento degli sforzi del percorso accademico e professionale, rendono queste branche poco appetibili e prestigiose rispetto alle altre, seppure siano il perno della sanità. Siamo il fulcro di qualsiasi intervento chirurgico e mi domando cosa potrebbe succedere se i colleghi decidessero di scioperare: forse servirebbe a far capire quanto siamo importanti?”.
Da una parte abbiamo pazienti che conoscono poco la figura dell’anestesista anche se hanno inteso a cosa serve l’anestesia (ma molte paure permangono), dall’altra abbiamo un SSN quasi al collasso perché mancano, tra gli altri, medici anestesisti e rianimatori nei reparti di emergenza. Come si può quindi valorizzare in modo giusto questa figura sia verso il pubblico sia verso le istituzioni e i decisori sanitari e politici?
La Comunicazione è la chiave di tutto: “Occorre una maggiore divulgazione dell’anestesista tramite tv e canali social – ha sottolineato D’Agostino – ma penso anche ad alcune ospitate in televisione e ad aprire gli ospedali ai media per far vedere cosa fa l’anestesista”. Anche le società scientifiche come SIAARTI – – Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva dovrebbero comunicare di più, facendo anche informazione verso i medici di famiglia sull’anestesia, visto che sono le figure principali a cui i pazienti di rivolgono per sciogliere i dubbi in vista di un intervento.
Che è una professione che lavora in emergenza, salva vite, elimina o riduce la sofferenza, e può fare la differenza tra la vita e la morte in pochi secondi. Come ci ha raccontato questo medico anestesista in pensione, che ha scritto la sua testimonianza proprio per far capire il valore di questa professione:
-
L’esperienza di un medico rianimatore: “Siamo l’unica barriera tra la vita e la morte”
A cura di RedazioneUna vita spesa a prendersi cura dei più vulnerabili, un uomo, prima che un professionista, le cui vicissitudini personali, la sua malattia e la perdita prematura di suo fratello, si intrecciano inesorabilmente con il vissuto dei suoi pazienti. …