Ogni mese proponiamo riflessioni scritte da medici e professionisti sanitari che, in chiave di medicina narrativa, ci raccontano come sono riusciti a comunicare e a stabilire una relazione efficace con i pazienti. Oggi vi proponiamo la riflessione di Chiara D’Angelo, infermiera che ha lavorato in chirurgia oncologica allo IOV di Padova, a Casa Santa Chiara (sia in struttura, sia in domiciliare per persone sieropositive) e presso la comunità di recupero per tossicodipendenti e CTRP per riabilitazione psichiatrica. Attualmente lavora presso la Fondazione Padre Giovanni Pizzuto di Padova.

Credo che la relazione tra chi offre le proprie cure e chi quelle cure accetta di riceverle debba essere innanzitutto un relazione di fiducia. Sono un’infermiera, lavoro da molti anni nel sociale, il mio lavoro è prevalentemente un lavoro di relazione.
Nella mia esperienza la relazione ha a che fare con la reciprocità, non sono empatica, sono sicura di non poter sentire quello che sente un’altra persona, semplicemente perché sono diversa da quella persona, è diverso il mio vissuto, è diverso il mio sentire. Per mia fortuna non sono un’esperta di malattia, fin’ora, a parte qualche acciacco passeggero, non ne ho fatto esperienza. Per questo non posso sentire ciò che sente una persona affetta da una malattia. Tanto più che le malattie da cui sono affette le persone a cui mi lega una relazione di cura, sono molteplici e variegate.
Posso, però, farmi raccontare cosa provano, cosa sentono, come questo limita la loro quotidianità e provare a proporre strategie per migliorare la convivenza. La mia professione si basa sulla relazione, i miei interventi devono essere cuciti sui bisogni di quelle persone a cui sono rivolti, altrimenti il mio lavoro rischia di risultare inutile. Il mio atteggiamento deve essere aperto, accogliente e non giudicante, solo così si potrà creare una relazione di fiducia.
La reciprocità della relazione porta anche me a donare a queste persone alcuni vissuti, alcune esperienze, alcune fragilità, tracce dell’umanità che ci accomuna. La mia professionalità mi permette di gestire questa condivisione per mantenere la relazione ad un livello adeguato al mio ruolo.
In questo periodo mi è stata affidata una studentessa che sta per concludere il suo percorso di studi in infermieristica, mi ha fatto notare, quasi con stupore, come le persone, con cui ci relazioniamo quotidianamente in un percorso di cura, si interessino a noi, chiedendoci, ad esempio, come stiamo.
Credo essere in relazione significhi questo: accettare che non siamo solo noi professionisti ad avere qualcosa da dare.