Oltre alla povertà, più di un miliardo di persone nel mondo combattono contro malattie di cui non si interessa praticamente nessuno. Malattie gravi che provocano morte o peggiorano le condizioni di salute di chi già ha problemi sociali devastanti, aggravando una situazione già di per sé complessa. Le malattie tropicali neglette (Neglected Tropical Diseases – NTDs) sono un gruppo eterogeneo di circa venti malattie, molte delle quali a carattere infettivo, causate da virus, batteri, parassiti, funghi e tossine, come dengue, scabbia, leishmaniosi, avvelenamento da morso di serpente e molte altre. Si chiamano malattie neglette perchésono trascurate, ignorate dalla grande ricerca farmaceutica, perché interessano paesi poveri. In realtà, anche se in misura minore, sono diffuse a livello globale anche nei paesi più ricchi, e per questo il tema dovrebbe interessare tutti.
Queste malattie sono particolarmente diffuse tra le comunità povere ed emarginate, in particolare nelle aree rurali con accesso limitato a servizi sanitari. Le NTDs sono generalmente croniche e disabilitanti e spesso portano a stigma ed esclusione sociale. Contribuiscono a creare epidemie sinergiche che peggiorano le condizioni sociali e sanitarie delle popolazioni colpite, perpetuando cicli di malattia e povertà e ostacolando lo sviluppo delle comunità.
Elena Mancini, Primo Tecnologo presso il CNR, coordinatrice delle attività della Segreteria scientifica della Commissione per l’Etica e l’Integrità nella Ricerca, ha scritto il libro “THE ELEPHANT IN THE ROOM – Etica delle malattie neglette e della povertà” edito dal CNR, proprio per raccontare le malattie neglette e di quanto dovrebbe importarci, anche a noi che viviamo nei paesi industrializzati, non solo per solidarietà, ma perché siamo interconnessi e i problemi di salute di chiunque, in qualunque parte del mondo, sono anche affari nostri.
Dottoressa Mancini, perché scrivere questo libro sulle malattie neglette?
Sono un filosofo morale e mi occupo di etica della ricerca da diversi anni. Il libro è frutto di una sezione di ricerca di cui sono il responsabile scientifico che è parte di un progetto più ampio dedicato alla produzione e allocazione di farmaci per le malattie neglette della povertà.
L’impatto delle malattie neglette ha un’enorme rilevanza etica e politica e diviene sempre più urgente in un mondo interconnesso e globale, un vero e proprio “elefante nella stanza” che non possiamo far finta di non vedere.
Inoltre, rappresenta un’esigenza etica la stessa produzione di letteratura scientifica su questo tema, che è negletta anche dal punto di vista dell’interesse delle riviste e degli editori, con conseguente scarso investimento di tempo e risorse da parte dei ricercatori.
Qual è l’impatto delle malattie della povertà sulla vita delle persone in termini di mortalità, invalidità e morbilità?
Secondo le più recenti stime epidemiologiche dell’OMS, nel mondo sono un miliardo e 74 milioni le persone che hanno bisogno di cure perché soffrono di una malattia negletta della povertà. Solo gli avvelenamenti da morso di serpente, la rabbia, la dengue causano ogni anno la morte di più di 200.000 persone.
Centinaia di milioni di persone, a causa della mancanza di un accesso tempestivo alle cure o per la loro scarsa qualità, restano disabili, sfigurate o fortemente debilitate a seguito della malattia. Le menomazioni come nella lebbra, la deformità di parti del corpo come nella filariosi, le orribili cicatrici dell’ulcera del Buruli, o la terribile scarnificazione del volto come accade nella leishmaniosi cutanea, sono la marcatura vivente della malattia e causa di stigma sociale, che per le donne significa spesso abbandono da parte dei mariti e, se giovani, la preclusione dal matrimonio.
L’impatto psicologico è quindi pesantissimo e spesso alcune patologie neglette sono correlate a sindromi psichiatriche anche gravi. Essere colpiti da una malattia negletta significa spesso andare incontro ad una catastrofe finanziaria dovuta alla spesa sanitaria affrontata di tasca propria e alla contemporanea perdita di produttività o della possibilità stessa di lavorare. Secondo stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, più del 75% delle persone affette da leishmaniosi viscerale residenti nelle zone più povere di vaste regioni nell’Asia, quali Bangladesh, Nepal, India, hanno subito forti perdite economiche e finanche la catastrofe finanziaria dovute alla spesa sanitaria per test diagnostici e farmaci anche se sulla carta erogati gratuitamente.
Quando parliamo di povertà crediamo di riferirci solo ai paesi a basso reddito, ma questo tema può riguardare anche i paesi più industrializzati?
È certamente vero che in un mondo globalizzato, con forti migrazioni da vaste aree del mondo colpite dalle malattie neglette, è aumentato il rischio di diffusione anche in Europa di alcune patologie quali la dengue, la malaria, la schistosomiasi, la malattia di Chagas. In questo senso occuparsi delle malattie neglette è un modo per accettare le conseguenze di un mondo sempre più interconnesso e globale.
Il traguardo del conseguire la copertura sanitaria universalenon è basato però solo su considerazioni economiche, benché rilevantissime, né sull’impegno degli Stati e organismi internazionali al conseguimento degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile, ma soprattutto sul fatto che la salute, se è riconosciuta come diritto umano fondamentale, non può non esser garantita per quanto possibile ad ogni essere umano.
In che modo le malattie della povertà costituiscono un ostacolo allo sviluppo economico e diventano un fattore di povertà?
I costi economici delle malattie neglette per i paesi poveri sono stati calcolati in miliardi di dollari americani ogni anno. Tra i costi, oltre alla spesa sanitaria, vanno considerati anche la perdita di produttività, l’abbandono scolastico, la disoccupazione, la comorbidità, l’abbandono di aree rurali, il sovraffollamento nei sobborghi metropolitani, i costi sociali.
Per questo si afferma spesso che investire nel contrasto alle malattie neglette è uno dei migliori affari sanitari realizzabili. Eliminare le malattie neglette comporterebbe, infatti, un guadagno atteso di 25 $ per ogni dollaro speso in trattamento farmacologico preventivo.
Quali sono le sfide nella sorveglianza epidemiologica e nel monitoraggio delle malattie neglette?
Il monitoraggio epidemiologico resta un grave problema in molti paesi colpiti dalle malattie neglette. Questo perché un’efficace sistema di sorveglianza richiede l’istituzione di un sistema sanitario nazionale ben organizzato e diffuso nel territorio.
Spesso invece, a causa della mancanza di personale specializzato, i registri non sono aggiornati sia per quanto riguarda la registrazione dei casi che per quanto riguarda la farmaco sorveglianza: questo fa sì che si corre il rischio di duplicare gli interventi con spreco di risorse, o di non raggiungere le aree endemiche per assenza di dati, di non avere un’efficace e tempestiva comunicazione degli effetti tossici di farmaci spesso obsoleti, dello sviluppo di farmaco resistenze, o infine dell’effettiva aderenza ai trattamenti preventivi.
Esistono tuttavia esempi di “devianza positiva”, come in Bangladesh, in cui la forte partecipazione degli operatori sanitari informali e della vastissima rete di ONG ha consentito di arginare almeno in parte l’inefficienza del sistema assicurando la registrazione dei casi e un’assistenza sanitaria di base anche nelle aree più difficili da raggiungere.
Come vengono stimati l’impatto delle malattie e il carico di malattia attraverso il criterio dei DALYs (Disability-Adjusted Life Years)?
L’impatto delle malattie e il carico che esse rappresentano, il cosiddetto Global Burden of Diseases è calcolato utilizzando il criterio del Dailys, ovvero misurando sia la mortalità prematura cioè gli anni di vita presunta persi, sia gli anni vissuti con disabilità. Questo criterio si è rivelato molto affidabile nello stimare l’impatto delle malattie e di contro l’efficacia degli interventi sanitari.
Tuttavia, sono state sollevate alcune obiezioni che riguardano chi definisce cosa considerare malattia e cosa no e quale metodo di misurazione adottare (ad esempio che peso dare al benessere e alla qualità della vita); chi stabilisce il peso da dare alle diverse disabilità, (ad esempio solo gli esperti o anche l’opinione comune o di un campione di malati); l’influenza del contesto culturale nel vissuto della malattia e nella considerazione della disabilità.
Ma soprattutto è stata criticata l’unilateralità del criterio che non tiene conto della dimensione sociale delle malattie ovvero i costi non strettamente biomedici come la perdita del lavoro, l’abbandono scolastico, la disgregazione dei legami familiari, i correlati psichiatrici, il vagabondaggio.
D’altra parte, nel valutare l’efficacia degli interventi vanno considerati oltre a quelli per farmaci e dispositivi, anche i costi relativi al tempo lavoro degli operatori sanitari, i costi organizzativi per far fronte alle difficoltà date dall’assenza di infrastrutture in molti territori, nonché la necessità di più interventi su uno stesso territorio e la formazione degli operatori sanitari di comunità. Si tratta quindi di un metodo essenziale, cui vanno aggiunti però dati di contesto.
In ogni modo i dati dimostrano che la disabilità totale derivante dalle NTDs è quasi pari alla disabilità da HIV/AIDS, malaria o tubercolosi.
Perché è importante sostenere l’educazione femminile per ridurre l’impatto delle malattie neglette?
Nelle economie povere il lavoro di cura è affidato tradizionalmente alle donne.
Accanto alla preparazione dei cibi, spetta alle donne l’assistenza ai malati, agli anziani oltre che naturalmente ai bambini. Assicurare la scolarizzazione femminile è uno strumento essenziale per ridurre gli effetti della discriminazione e della disparità nella vita pubblica e privata delle donne, e per favorirne l’inserimento lavorativo.
Le giovani donne che dispongono di strumenti concettuali sia pure elementari sanno come migliorare le condizioni di igiene personale e della loro famiglia, quanto sia importante la compliance nell’assunzione dei farmaci e la loro corretta somministrazione, sanno adottare misure di prevenzione primaria nell’uso dell’acqua e nel controllo dei vettori.
Saper leggere significa semplicemente capire meglio cosa fare. I programmi nazionali diretti alla scolarizzazione femminile, come nello stato indiano del Kerala, hanno saputo dotare le donne di uno strumento di empowerment di essenziale importanza nel ridurre il rischio di parti prematuri in adolescenza con conseguente mortalità materna e neonatale, di infezione da malattie trasmesse sessualmente e nel gestire meglio la propria fertilità.
Qual è il ruolo dei governi locali nel riconoscimento del diritto alle cure come diritto umano fondamentale e nella promozione di servizi sanitari locali?
Per sconfiggere le malattie neglette della povertà occorre una forte collaborazione da parte dei governi locali.
È necessario che i paesi si impegnino a istituire un sistema sanitario con accesso universale e gratuito, in grado di assicurare perlomeno i servizi sanitari essenziali alla più ampia fascia di popolazione con particolare attenzione ai gruppi sociali più poveri e svantaggiati.
La lotta alle malattie neglette deve diventare una priorità nell’ambito dei servizi sanitari e deve essere considerata un elemento essenziale per lo sviluppo economico, sociale, culturale dell’intera nazione. Inoltre, è necessario mettere in atto strategie intersettoriali in grado di affrontare i determinanti delle malattie neglette, perché le medicine da sole non bastano.
Occorre contrastare quotidianamente le cause sociali, ambientali, culturali ed economiche che minacciano continuamente gli esiti positivi raggiunti attraverso gli strumenti della medicina. Occorre infine una corretta educazione sanitaria di tutta la popolazione, e la formazione di operatori sanitari specializzati in loco.
Quali sono le sfide e le opportunità per la ricerca e la produzione di farmaci in loco nei Paesi a basso e medio reddito?
Il ruolo della ricerca nello sviluppo di trattamenti appropriati, che sappiano ad esempio superare il problema della farmacoresistenza, è ovviamente fondamentale.
Per i paesi poveri tutto questo è una sfida. Essi sono penalizzati dalla mancanza di risorse da dedicare alla ricerca e dall’insufficienza o assenza di infrastrutture, il che riduce significativamente la possibilità di sviluppare una ricerca in proprio, costringendoli alla collaborazione con gruppi di ricerca dei paesi più sviluppati.
Questa condizione tuttavia priva i ricercatori locali nella possibilità di controllo sullo sviluppo del protocollo di ricerca ma soprattutto sulla procedura di sperimentazione clinica dei farmaci.
Sono state registrate criticità molto rilevanti dal punto di vista etico, relative alla effettiva validità del consenso (soprattutto in merito alla completezza delle informazioni), all’obbligo di fornire uno standard universale di cura ai gruppi di controllo, all’uso di placebo, alla misura in cui i partecipanti alla ricerca hanno accesso ai farmaci dimostratisi efficaci una volta conclusa la sperimentazione, all’effettivo coinvolgimento delle istituzioni locali.
Occorre quindi la definizione di standard etici accettabili a livello nazionale, ma prima ancora occorre un maggior investimento nella formazione dei ricercatori e degli operatori sanitari in loco, al fine di affrancare i paesi in via di sviluppo dalla dipendenza da gruppi di ricerca di paesi con maggiori risorse economiche.
Perché è importante sostenere l’accesso alla diagnosi e ai trattamenti attraverso interventi di educazione sanitaria che coinvolgono le comunità locali?
Il coinvolgimento delle comunità locali è di fondamentale importanza nella lotta alle malattie neglette della povertà. In primo luogo, è uno strumento di equo riconoscimento delle culture e delle tradizioni che devono essere rispettate al fine di migliorare la compliance verso le campagne di somministrazione di massa di farmaci, di educazione sanitaria, di profilassi e controllo dei vettori.
Ma è anche una via per assicurare la sostenibilità di tali iniziative nel lungo termine, obiettivo che richiede la partecipazione attiva degli operatori sanitari informali considerati degni di fiducia perché scelti dagli stessi rappresentanti delle comunità locali. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha fatto dell’empowerment delle comunità locali una delle strategie per il conseguimento degli obiettivi della Road Map 2021-2030 e ha dedicato una iniziativa specifica alla formazione degli operatori informali di comunità. In India, ad esempio, l’associazione ASHA, che riunisce volontari accreditati, svolge una funzione parallela ai servizi sanitari e assistenziali assicurati dalla Federazione indiana ed ha avuto un ruolo rilevante anche nell’emergenza Covid.
Quali sono le priorità sanitarie da definire in relazione alle malattie neglette e alle risorse disponibili?
Spesso le priorità sanitarie sono definite dagli obiettivi dei programmi di intervento finanziati direttamente dalle agenzie internazionali, dalle charities e da multinazionali del farmaco, o gestiti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Questi programmi per la gran parte sono focalizzati su una singola patologia, o sulla somministrazione di un singolo farmaco, perché così è più facile valutare il rapporto costo/efficacia di tali iniziative.
I governi locali per non perdere le risorse messe a disposizione sono costretti spesso ad investire le proprie risorse umane ed organizzative per dar seguito agli obiettivi dei programmi finanziati, a discapito dell’assistenza sanitaria ordinaria della popolazione.
La lotta alle malattie neglette richiede invece interventi strutturali, intersettoriali e di potenziamento della sanità pubblica. Proprio in considerazione di questo è stato sempre più spesso proposto di integrare diversi programmi d’intervento, ad esempio somministrando più farmaci in un’unica campagna o realizzando dispositivi di prevenzione adatti al contrasto di più vettori.
Un esempio di sinergia tra programmi è rappresentato dall’iniziativa WASH,portata avanti dall’Unicef diretta alla creazione di infrastrutture per l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici di miliardi di persone che ha avuto un effetto positivo nella riduzione di malattie come il tracoma, la cecità fluviale, la diarrea, le infezioni da elminti.
Come viene applicato il principio di equità nella definizione degli obiettivi per le malattie neglette?
Stabilire priorità sanitarie è un compito sempre difficile, soprattutto perché i criteri in base ai quali definire che cosa è più importante e cosa è più urgente sono solo apparentemente banali.
Ad esempio, si può ritenere che alcune patologie poiché si diffondono più rapidamente nella popolazione meritino di essere trattate per prime, oppure si può ritenere che sia necessario trattare per prime le patologie che causano maggior sofferenza o più disabilità, o infine che occorre trattare soprattutto le patologie che colpiscono i più poveri tra i poveri, ovvero coloro che non potrebbero mai affrontare la spesa sanitaria di tasca propria.
I criteri efficentisti, infatti, spesso non sono conciliabili con i criteri basati sull’equità i quali richiedono di occuparsi prima del gruppo sociale più svantaggiato, oppure di coloro che hanno una condizione di salute più grave. In termini di efficienza, invece, è preferibile assicurare prima i trattamenti con un miglior rapporto costi benefici anche se riservati a un minor numero di persone, oppure se riservati a più persone anche se in una condizione meno grave. Resta fermo in ogni caso che la qualità e l’efficacia dei farmaci sono una condizione preliminare per ogni criterio di equità nell’accesso e per garantire l’universalità del diritto alla salute.
In un mondo sempre più interconnesso, concetti come malattia negletta non dovrebbero esistere: ogni malattia, anzi ogni persona con una malattia, dovrebbe ricevere la giusta attenzione e cura, indipendentemente dal paese in cui si trova e dal livello di ricchezza dello stesso. Si dovrebbe poter fare ricerca in qualsiasi paese e le cure di base dovrebbero essere un diritto universale, non un lusso. Siamo ancora lontani da tutto questo e riflessioni come quelle che ci suggerisce questo prezioso testo di Elena Mancini andrebbero diffuse con forza e costanza.
Direttrice responsabile di PERSONE, MEDICINA&SOCIETA'
Giornalista professionista dal 2009.
Sono appassionata di giornalismo ma anche di comunicazione in ambito medico e sanitario e per questo ho fondato anche MEDORA Magazine, sito specializzato in questi temi.
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