Carla Marinelli è nata con la spina bifida, una malformazione congenita che causa problemi allo sviluppo della colonna vertebrale e del midollo spinale. Vive sulla sedia a rotelle. Ma una volta assodato di avere questa patologia, Carla ha giustamente preteso di poter vivere una vita come tutti gli altri, dal poter andare a scuola a poter diventare madre. Ci è riuscita, nonostante lo stigma, le battute delle altre donne che la ritenevano uno scherzo della natura che non poteva rimanere incinta, nonostante le ipocrisie di questa società che vuole che sesso e figli siano solo appannaggio dei sani, qualsiasi cosa significhi questo termine. Carla ci ha voluto raccontare la sua storia in chiave di medicina narrativa.
Ve la riportiamo così come l’ha scritta, con le foto della sua vita realizzate dal fotografo Massimo Podio.
Nascere con la Spina Bifida.. per me è sempre stata una cosa “normale”. Se qualcuno mi chiedeva “perché sei sulla carrozzina?” io dicevo: “alla nascita ho avuto una lesione midollare come può capitare a chiunque in un incidente automobilistico” … e così tagliavo corto! Anche perché non c’era motivo che spiegassi a chiunque che avevo anche problemi neurologici legati apparato uro-rettale.
In effetti per me era così, ho avuto la fortuna di avere dei genitori che lottarono per farmi inserire in una scuola per bambini “normodotati” e quindi.. perché sentirmi diversa? In fondo avevo solo 4 ruote in più rispetto a loro ed a volte era anche un vantaggio… anche se queste ruote, per me inspiegabilmente, cercavano di nasconderle dietro una pianta nella foto di classe.

E come tutte le altre bambine giocavo con i miei bambolotti facendo finta di essere la loro mamma. Eh si, perché era un mio grande desiderio: trovare il mio principe azzurro, sposarlo ed avere una bella bimba.
Non sapevo però che per arrivare a poter realizzare il mio sogno dovevo passere per tante e tante esperienze che da una parte mi hanno segnata e dall’altra mi hanno insegnato…
Avevo solo sette anni quando un uomo mi ha rubato l’innocenza e i miei sogni di bambina… Ma la vita è continuata e nuovi sogni scacciarono con il tempo i vecchi fantasmi e giorno dopo giorno diventarono una nuova realtà per la quale vivere e lottare. anche perché io credevo di avere il diritto di raggiungere ciò che desideravo.
Piano piano mi accorsi che ciò che sentivo io non era ciò che pensavano gli altri guardandomi, compresi i miei coetanei che spesso mi escludevano dai loro giochi, dalle loro uscite, dalle loro chiacchiere… Provavo un dolore dentro, come un coltello che trafigge il cuore.

Quando, 19enne, conobbi il mio primo amore, un bellissimo ragazzo alto biondo e con gli occhi azzurri, mi sentii chiedere “ma che problema ha questo ragazzo “normale” che ha deciso di stare con una come te?”. Ma loro non sapevano cosa mi sentivo dentro, la sensualità e la femminilità che voleva sbocciare e che era parte essenziale di me.
Certo, tutte le osservazioni che mi venivano fatte da parenti, amici e conoscenti non erano una doccia di autostima ma, per quanto tutto questo mi facesse male, continuai per la mia strada e per superare i miei dubbi su come mi sarei potuta relazionare con lui, presi un appuntamento da un bravissimo sessuologo, che mi spinse a fare ciò in cui sono sempre stata brava: essere semplicemente me stessa.
In realtà poi non fu con questo primo ragazzo che ebbi la mia prima esperienza sessuale ma con colui che poi divenne mio marito e padre di mia figlia, neanche lui disabile e probabilmente agli occhi degli altri anche lui con qualche problema visto che si era innamorato di me. Anzi, una volta una persona a noi vicina disse “prima di sposarvi dovrete passare sul mio cadavere”.
Poco prima del matrimonio scoprii di essere incinta, andai da un ginecologo consigliato da una amica il quale mi consigliò di rinunciare al mio piccolo (eh si, ero convinta che fosse un maschietto) dato che non avevo fatto analisi prima e, vista la mia situazione, portare avanti la gravidanza poteva essere un rischio sia per me sia per il feto.
Con la morte nel cuore mi sposai e pochi giorni dopo feci l’intervento.. provai un dolore così forte che nei mesi a seguire sognavo continuamente bambini e sangue.. fino a quando un giorno contattai un ginecologo con cui avevo lavorato anni prima, dopo aver incontrato il sessuologo, e gli spiegai il tutto. Lui mi disse che il collega era stato troppo frettoloso e che secondo lui avrei potuto tranquillamente avere una gravidanza, magari stando un po’ più a riposo.
Rimasi subito incinta e, anche se da parte dei miei familiari la notizia non fu accolta subito con entusiasmo, quello fu il periodo più bello della mia vita! Non ho mai avuto un problema, non sono mai stata un giorno a letto anche se comunque per precauzione il ginecologo non mi fece andare a lavoro. In quel periodo inoltre attivai l’assistenza domiciliare per aiutarmi, prevedendo che avrei avuto bisogno di supporto con la piccola che stava per nascere, non volendo chiedere troppo alla mia famiglia. Piuttosto chiesi suggerimenti ad una collega, anche lei su sedia a rotelle, ma lei mi rassicurò dicendomi che avrei trovato da sola le tecniche più adatte alle mie capacità per gestire la piccola che a poco sarebbe nata.
Andò tutto per il meglio, feci un cesareo, e nacque così la mia piccolina! Ma purtroppo il post parto è stato piuttosto duro in quanto le infermiere, per inesperienza, mi spostavano causandomi molti dolori.
Tornammo a casa e dal quel momento la mia vita cambiò completamente, ora c’era lei e dovevamo imparare a comprenderci.

La nostra prima uscita fu con una operatrice della cooperativa: formammo un divertente trenino, lei spingeva me ed io la carrozzina della piccola. Le persone si giravano a guardarci incuriosite, con tenerezza, fino a quando una signora anziana ci fermò per curiosare e non volle credere che era mia figlia…
La piccola cresceva ed io con lei e fu così che dopo i primi anni di nido e materna iniziò le scuole elementari. Che emozione!!! Decisi che volevo fare la rappresentante di classe e così è stato fino alle superiori. Questa scelta fu presa consapevolmente dato che non potevo essere sempre presente nel portarla e a riprenderla a scuola anche perché, oltre ad incontrare barriere architettoniche per strada, ero tornata a lavorare, e quindi ci pensavano alternativamente i nonni, la mia assistente o altri amici e familiari.
Per mio conto ero molto stressata e la scuola non mi aiutava: mi sono accorta che purtroppo i bambini, voce della verità, mi additavano. A volte la scuola stessa si e mi poneva problemi che non c’erano, causandone a noi.
In quegli anni mi separai da mio marito, per problemi caratteriali, ma per fortuna continuò a fare il papà. Questo dai servizi sociali che mi inviano l’assistenza domiciliare non fu visto di buon occhio e, per non rischiare di perdere mia figlia (nessuno me lo ha mai detto esplicitamente ma mi sembrava abbastanza chiaro considerando i controlli e le domande che mi facevano) dovetti creare intorno a me una rete di sostegno a dimostrazione che la bambina era comunque seguita adeguatamente. Messami in discussione andai da uno psichiatra e dopo alcune sedute mi disse una cosa che ancora oggi ricordo bene “lei nella sua vita ha imparato come a disconoscere la sua disabilità che in genere è una cosa negativa mentre in lei questo è stato di stimolo”. Questo mi fu di grande stimolo e trovai il modo di risollevarmi, fosse anche solo per il bene della mia piccola.
A causa di un peggioramento di salute dovetti lasciare il lavoro e conobbi, per una serie di coincidenze, che secondo me coincidenze non sono mai, una associazione ONLUS che si occupava di bambini ed adolescenti nati con Spina Bifida e le loro famiglie. Subito fui eletta vice presidente. Guardai negli occhi questi ragazzini e mi accorsi che nei loro occhi c’era sofferenza, rabbia e speranza e mi chiedevano di tutto come per aggrapparsi ad un futuro che, in fondo come era stato per me 30 anni prima, gli veniva detto non fosse per loro.
Così, d’accordo con il Presidente, iniziai un percorso durato 15 anni in cui, durante dei soggiorni estivi organizzati completamente da me, insegnavo, avvalendomi di volontari che andavano da medici, infermieri fino a semplici volontari, a questi ragazzini ad affrontare le proprie difficoltà e la vita in generale con una spinta in più, alcuni di loro mi chiamavano “mamma” .Tra i volontari, una volta cresciuta, venne anche mia figlia.
Certo è che l’adolescenza è dura per tutti, per una ragazzina di una mamma disabile ancora di più e mia figlia per un certo periodo quasi si rifiutava di presentarmi alle sue amiche. Compresi il momento e la lasciai fare, tanto oppormi non sarebbe servito a nulla. Certo, ci soffrivo.. ma che alternative avevo?
Ora mia figlia è una giovane donna di quasi 30 anni, laureata, vive all’estero dove sta facendo il dottorato.. e che dire.. è stato un percorso difficile ma bello, pieno di emozioni di ogni genere, ma ne è valsa la pena! E per tenerla più vicino a me mi sono fatta il mio primo tatuaggio sul braccio: la farfalla libera e leggiadra che mia figlia alla materna aveva disegnato nel ritrarre la propria mamma in un animale con lo stupore e l’incredulità delle maestre che non comprendevano come una mamma su sedia a rotelle potesse avere queste caratteristiche.

Ho ancora la sofferenza per una vita che non è venuta al mondo ma forse proprio per questo, in modo differente, ho deciso a 54 anni di affrontare un’altra maternità, di sentirmi di nuovo genitore con il mio nuovo compagno… una maternità diversa, certo, ma che sarà affrontata con maggiore responsabilità e gioia nel cuore: una adozione a distanza.
… e chissà… forse un giorno diventerò anche nonna!!
Se volete mettervi in contatto con Carla per avere supporto o consigli, ecco i suoi riferimenti:
339 – 8584487