Riportiamo il testo scritto da Sara De Angelis in chiave di medicina narrativa: le abbiamo chiesto di raccontarci il suo rapporto con sua sorella, colpita da una grave malattia rara, e di quanto questo rapporto abbia inciso nella sua vita. Le parole che leggete sono scritte da Sara, noi non abbiamo fatto nessun intervento editoriale ( e così deve essere, altrimenti non sarebbe medicina narrativa). La foto è di repertorio, non rappresenta le protagoniste.
Una calda mattina di Giugno, la maestra Licia mi aspettava davanti al portone della scuola, lei sorrideva mentre io, sotto al mio grembiule blu, non riuscivo a nascondere la preoccupazione e l’insicurezza. Nel 1997 sostenni la mia prima prova ufficiale, ovvero l’esame per accedere alla seconda elementare, quello che comunemente avveniva per chi come me aveva fatto la” primina”. In quello stesso giorno la mia mamma fu chiamata per un esame di routine in un importante ospedale di Milano, per questo mi lasciò sull’uscio incoraggiandomi e ricordandomi quanto fossi brava: fu l’ultima volta che la vidi.
La mia mamma, a causa di un errore medico, finì in coma e dopo 20 giorni se ne andò, portando con sé la leggerezza e la mia infanzia.
A soli sei anni conobbi la parola lutto e dopo sei mesi la parola disabilità.
Sono l’ultima figlia, quella nata per caso, quella fuori dai programmi, ma che in quel momento diventai la forza di tutta la famiglia. Tutti dovevano andare avanti e tutti dovevano farlo per me. Almeno così dicevano, ma qualcosa andò storto, un nuovo dolore bussò alla nostra porta e pian piano si sedette a tavolo con noi.
Veronica, la primogenita, si ammalò gravemente: malattia rara, encefalopatia vascolare con compromissione dei ribosomi a livello cerebellare.
Questo era il nome del nuovo dolore, nessuno mi ha dato una spiegazione, ricordo solo che mentre io crescevo lei cambiava, diventava più infantile.
Era difficile da spiegare agli altri, di solito la gente si limita a guardare o a compatire ma io non volevo nessuno delle due. Veronica piano piano camminava sempre peggio, il suo equilibrio era, ed è precario, ricorda perfettamente i numeri e le date di compleanno di tutti, ha dimenticato come si guida, si va in bici, si gioca a scarabeo, si mangia senza sporcarsi, le buone maniere.
Mi vuole bene, mi ha sempre detto che lei mi ha cresciuto, ed è vero perché fino ad un anno prima lei era in perfetta forma.
Come è stato possibile allora? I medici dicono sia stato il trauma, io ancora ora faccio fatica ad accettare e a capire tutto questo.
Gli anni che seguirono furono difficili, iniziarono i sensi di colpa, io potevo correre, giocare, nuotare, lei no. Avrei voluto tanto darle un po’ della mia forza e invece, nel vederla così spesso, la perdevo anch’io.
Allora ho capito che da tutto quel dolore dovevo imparare qualcosa, come qualcuno ha detto “è dalle crepe che esce la luce”. Mi sono impegnata tanto, ho studiato, ho divorato i libri per capire e per salvarmi.
Alla fine, ho messo a disposizione il mio sapere laureandomi in logopedia, aiutando i bambini mi accorgo che disinfetto anche le mie ferite.
Quando arrivano le famiglie nel mio studio entro nelle loro storie facilmente, perché chi conosce il dolore ha la fortuna di arrivare nei cuori delle persone che soffrono e di condividere la bellezza della comprensione e dell’autenticità.
La disabilità è come un fiume che ti travolge, devi imparare a nuotare, spesso cambiando vari stili perché le correnti non sono prevedibili e il percorso è tortuoso, ma chi non si è mai meravigliato di fronte alla sua bellezza e alla sua preziosità?
Sara De Angelis