“Esiste la medicina basata sulle evidenze cliniche. Ma esiste anche la medicina basata sulle evidenze narrative. Così è sempre stato, perché non esiste una medicina senza narrazione.
Così non sarà mai, perché è difficile allineare tutti i medici sull’esigenza di cogliere, affrontare ed essere protagonisti di questa narrazione”.
Con queste semplici frasi Rita Charon, teorica della Medicina Narrativa e direttrice del Dipartimento di Medicina Narrativa della Columbia University, ha aperto con la sua lectio magistralis il Congresso della SIMEN (Società Italiana di Medicina Narrativa), “R-Esistere, le storie dietro ai numeri” che si è tenuto il 28 e il 29 gennaio scorsi.
Facendo seguito al progetto R-Esistere, lanciato da SIMeN nel 2020, che ha permesso di mettere insieme e analizzare storie e narrazioni sulla COVID raccolte da un’ imponente rete, al convegno sono stati raccontati i vissuti degli operatori delle terapie intensive, dei cittadini, raccolti da Cittadinanza Attiva, dei pazienti, raccolti da Slow Medicine, e di tante altre realtà trasversali alla società civile e alla sanità.
Una due giorni intensa in cui diversi clinici ed esperti si sono confrontati sullo stato dell’arte di questa metodica, sul potenziale di cura per pazienti e curanti, e su quanto ci sia ancora da fare per farla entrare davvero nella pratica clinica.
Il convegno ha approfondito l’importanza del dato qualitativo e della Medicina Narrativa per disegnare un nuovo approccio alla cura, più vicino alle esigenze dei pazienti, dei caregiver, degli operatori sanitari e della società, ma anche attento al bisogno di maggior efficienza dei luoghi e dei sistemi di cura.
La Società Italiana di Medicina Narrativa è un’associazione senza scopo di lucro nata nel 2009 per riportare le narrazioni al centro dei percorsi di cura, promuovendo l’informazione, il dibattito, la formazione, la ricerca scientifica e la diffusione della Medicina Narrativa coinvolgendo pazienti, caregiver, associazioni, operatori sanitari o sociali e ricercatori.
Che cos’è la Medicina Narrativa
La medicina narrativa non è facile da definire, ma è di certo uno degli strumenti imprescindibili della buona pratica clinica. O meglio, dovrebbe essere uno degli strumenti più utilizzati.
Perché la medicina è narrazione prima di tutto. Ogni paziente, ogni terapia, ogni diagnosi, sono frutto di narrazioni continue. A cui non si presta abbastanza attenzione. C’è chi crede che la relazione medico-paziente sia una perdita di tempo, chi si ostina ad argomentare che ascoltare le storie dei pazienti non serva a formulare un’anamnesi. Resistenze che si sfracellano, o dovrebbero sfracellarsi, contro l’evidenza di tutti i giorni: la narrazione di questa pandemia dovrebbe essere già da sola sufficiente a farci comprendere quanto il tempo, l’ascolto, la relazione, il peso delle parole siano importanti tanto quanto i vaccini.
Per usare la definizione della SIMeN, la Medicina Narrativa è una metodologia d’intervento clinico-assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa, con ambiti di applicazione nella clinica, nella formazione e nella ricerca. La narrazione è strumento indispensabile per acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di chi interviene nella malattia e nel processo di cura per arrivare alla costruzione condivisa di un percorso di cura personalizzato.
Rita Charon, nel suo libro, Narrative Medicine, Honoring the stories of illness spiega come la medicina praticata con competenze narrative possa essere utile per riconoscere, assorbire, interpretare ed essere (com)mossi dalle storie di malattia.
Quando le persone vogliono comprendere o descrivere una particolare situazione raccontano una storia. Quando si cerca di capire il motivo per cui alcuni eventi accadono, li si mette in ordine temporale, stabilendo quale sia stato l’inizio, lo svolgimento, la fine, costruendo una trama intorno agli accadimenti che, altrimenti, rimarrebbero caotici e privi di senso.
La storia di malattia non può essere solo un’anamnesi, intesa come raccolta di eventi e dati, seguita poi da referti e diagnosi. Occorre un passo in avanti, una riconciliazione.
La storia di malattia deve lasciare spazio ai pensieri del paziente, ai suoi sentimenti, alla sua visione della malattia e della vita stessa, al suo modo di comunicare la sofferenza.
La rivoluzione della Medicina praticata con competenze narrative sta in questo: ricongiungere due storie di malattia che all’inizio della relazione di cura sono lontane (la malattia vissuta dal paziente e l’anamnesi fatta dal medico).
Mario Cerati, del consiglio direttivo della Società italiana di medicina Narrativa ha spiegato i motivi alla base di questo convegno: “Vorremmo che fosse il coronamento di un processo avviato da tempo, ma anche e soprattutto, che buttasse le basi, definisse metodologie e un linguaggio condiviso per una fase di cambiamento della sanità, ora, dopo e durante il faticoso tempo della pandemia, più che mai necessario” .
Al centro della scena di questi due giorni sono stati i pazienti, che chiedono di essere ascoltati in modo più attento ed empatico, gli operatori sanitari, con le loro fatiche e fragilità, anche loro con un altrettanto forte bisogno di essere ascoltati, e quanti hanno la responsabilità di progettare percorsi di cura più efficaci e, al tempo stesso, sostenibili e più umani.
Crediamo sia davvero il tempo di comprendere e sottolineare quanto fecondo possa essere affiancare la medicina basata sulla narrazione, con la sua insostituibile capacità di interpretare l’umano, alla medicina basata sull’evidenza, che tanto ha fatto crescere l’efficacia delle cure negli ultimi decenni.
La Medicina Narrativa si basa sulle arti visive e sulla letteratura
Durante il convegno Rita Charon ha spiegato in modo molto suggestivo i passi compiuti da grandi pensatori e scienziati per argomentare come si osserva la realtà e a cosa attingiamo per confermare le nostre osservazioni.
Claude Bernard afferma che nella ricerca della verità, il sentimento prende sempre il sopravvento, genera l’idea a priori o l’intuizione, la ragione sviluppa l’idea e ne deduce le conseguenze logiche. La ragione a sua volta deve essere guidata dall’esperimento.
Per cui, il sentimento sceglie cosa osservare, la ragione arriva dopo, per confermare o meno, tramite l’esperimento, quanto osservato.
Einstein ci ricorda che è la teoria a decidere cosa osservare: in buona sostanza, osserviamo solo quello su cui abbiamo già un’idea.
Le indagini, anche quelle cliniche, procedono quindi da osservazioni e, in pratica, da narrazioni.
Charon ci ha ricordato la necessità di incrementare la capacità di vedere ogni aspetto dell’altro, di leggere la realtà dei pazienti con strumenti narrativi potenziati dalle Medical Humanities, dalla musica, dall’arte e dalla letteratura. La Medicina Narrativa “è sull’orlo di un abisso di conoscenza”, che siamo tutti chiamati a cogliere come una straordinaria opportunità.
Sono i medici a dover andare dai pazienti
La seconda lectio magistralis del convegno è stata tenuta dal professor Vittorio Lingiardi, docente di psicologia dinamica all’Università La Sapienza di Roma, che ha spiegato quanto sia importante oggi più che mai che i medici vadano dai pazienti e non il contrario. Ha spiegato, parafrasando Wilfred Boin, quando il paziente in fondo sia il miglior collega che il medico possa avere e quanto i medici che non si preoccupano della relazione con il paziente siano dei medici a metà.
La parola è metà di chi parla e metà di chi ascolta
Michel de Montaigne
Per questo è importante scegliere con accuratezza i termini che si usano.
Nel convegno è emersa con tutta forza un’evidente contraddizione sotto gli occhi di tutti, ma di cui nessuno vuole realmente parlare: la medicina di precisione, che presuppone cure personalizzare sul singole paziente e non può quindi prescindere da una relazione di cura costante, si cozza e rischia di essere annullata da schemi organizzativi sempre più massificati che rischiano di vanificare tutti gli sforzi. La medicina narrativa si inserisce nel percorso di cure personalizzate, ne è pilastro fondamentale, ma l’organizzazione e la burocratizzazione dei sistemi rischiano di annullare i passi fin qui compiuti da chi crede in questo approccio.
Interessante è stata poi la relazione di Federico Lega, Professore Ordinario di Management Sanitario presso l’Università Statale di Milano, che ha parlato della co-costruzione e della co-creazione della relazione terapeutica, del passaggio dalla ”compliance alla concordance”, nella convinzione che la Medicina Narrativa sia uno strumento per garantire qualità e produrre cambiamento nelle strutture sanitarie.
Medicina Narrativa per recuperare l’alleanza terapeutica
La COVID-19 ha fatto letteralmente a pezzi l’alleanza terapeutica tra medici e cittadini. L’urlo di dolore di Giovanni Mistraletti, SIAARTI, lanciato durante il suo intervento al Convegno, non ha bisogno di commenti o interpretazioni: “L’80% dei pazienti nelle terapie intensive è no vax. Si è rotta l’alleanza terapeutica. Le persone non si fidano più. Molti intensivisti non ne possono più, mi chiedono se possono prendersi qualche giorno di risposo, perché sono stufi di essere insultati da chi è sotto il casco e rifiuta le cura o insulta chi gliele presta. L’infodemia sta facendo male ai medici”. La medicina narrativa potrebbe ricucire questa alleanza terapeutica perduta, ma non è qualcosa che inizi oggi, e domani vedi già i risultati. È un percorso fatto di multidisciplinarietà, interdisciplinarietà, in cui ogni specialista fa squadra con gli altri, infermieri, operatori, oss. Tutti devono lavorare insieme.
Nel corso del convegno si è parlato inoltre dell’esigenza di introdurre un insegnamento ufficiale di medicina narrativa nell’università e di quanto la medicina narrativa potrebbe aiutare anche i curanti stessi, a cui non pensa nessuno e invece bisognerebbe pensarci: chi cura i curanti?