Come hanno vissuti i coordinatori infermieristici il periodo della pandemia?
È una domanda immensa e non esiste un’unica risposta. Ma è una di quelle domande che bene si prestano alla medicina narrativa, quella metodologia che aiuta la medicina attraverso i racconti dei pazienti e dei professionisti sanitari.
A fare questa domanda e a provare a tracciare le varie risposte ci hanno pensato Alba Tavolaro e Andreina Raschietti, coordinatrici infermieristiche, specializzate in medicina narrativa. Durante uno degli ultimi master che hanno seguito, hanno realizzato un project work proprio su questo tema.

“Ci sembrava importante raccogliere i vissuti dei colleghi coordinatori durante l’emergenza COVID e far emergere quelle che sono le caratteristiche di questo ruolo così poco riconosciuto ma così importante”.
Dall’ “andrà tutto bene” si è passati a “non ci possiamo più salvare” tanta è la percezione che il sistema sanitario stia cadendo a pezzi.
Perché usare la medicina narrativa per rispondere a questa domanda? La Medicina Narrativa può creare spazio per la rielaborazione del vissuto e, attraverso le narrazioni dell’esperienza, può diminuire la percezione di solitudine professionale e sviluppare una maggior consapevolezza delle proprie risorse. Per questo può dar forma ad un sostegno dei coordinatori prevenendo il burn out anche nelle sue manifestazioni più estreme. Perché la medicina narrativa non termina nella narrazione ma da questa ha inizio, e ciò che fa emergere può essere utile a tutto il sistema sanitario.
Vi raccontiamo quindi chi sono le professioniste che hanno raccolto queste narrazioni e cosa è emerso da questo lavoro. Perché per comprendere al meglio come funziona la medicina narrativa bisogna anche scoprire le storie e le motivazioni di chi la porta avanti.
Parlateci di voi e del perché avete scelto di diventare coordinatrici infermieristiche

Mi chiamo Alba Tavolaro e ho scelto di diventare infermiera perché è un lavoro che mi ha sempre attratto, anche se la mia formazione è tutt’altro che scientifica, avendo frequentato il liceo artistico. Con il tempo, però, ho potuto constatare che le due arti, quella della scultura, nel mio caso, e quella dell’assistenza, sono profondamente interconnesse e fanno parte della stessa profondissima dimensione: quella della relazione, dell’altruismo e della cura.
Sono Infermiera da 23 anni, e da quasi 3 anni coordino un bellissimo, anche se complesso, gruppo di infermieri in Pronto Soccorso. L’ironia della sorte ha voluto che il mio incarico iniziasse il 10 febbraio del 2020 e appena un mese dopo siamo stati travolti dalla pandemia all’interno del contesto forse più esposto alla pressione di questa emergenza, a combattere con un nemico che nessuno conosceva. Ricordo i primi giorni di chiusura. Gestire la paura soprattutto dei colleghi e la propria, non sapere se tornare a casa per non esporre i propri cari. La lotta più dura è stata affrontare l’assenza di dispositivi di protezione ma allo stesso tempo constatare la generosità di molte persone che ci hanno donato mascherine e tute. Le riunioni continue con la modalità online, intere giornate passate in reparto e alla sera rientrare a casa sforzandosi di mantenere un equilibrio, una normalità ormai perduta. Il peso dei molti pazienti che non ce l’hanno fatta, o che lottavano sotto i caschi per un filo di aria, il peso dei molti colleghi che purtroppo abbiamo dovuto assistere, intubare e anche piangere per averli persi… Ancora non riesco ad elaborare fino in fondo quello che ci è successo, forse è ancora presto, forse è ancora troppo doloroso.

Sono Andreina Raschietti, infermiera caposala vicentina (oggi si dice Coordinatrice, ma a me piace la vecchia definizione), da quest’anno in pensione dopo 42 anni di professione. Sono anche caregiver, che a me piace tradurre come “donatore di cure”, in quanto mi prendo cura di mio padre 94enne colmo di tutti i bisogni che hanno le persone a quell’età. Mi sento figlia d’arte perché entrambi i miei genitori sono stati entrambi infermieri anche se avrebbero preferito per me un futuro da “ragioniera”, ma non mi piaceva l’idea di fare i conti nelle tasche altrui, sentivo invece una propensione a prendermi cura degli altri. Negli ultimi dieci anni ho ripreso a studiare, sono diventata Counselor Professionista con specializzazione in counseling sanitario, poi facilitatrice di mindfulness e di Medicina Narrativa, di cui mi sono appassionata e che desidero diffondere perché a me ha fatto molto bene e credo fermamente possa far bene a tante persone.
Di cosa vi siete occupate in questo progetto?
“Il coordinatore infermieristico è una figura che nell’immaginario è una sorta di “gestore” dell’orario – afferma la coordinatrice Tavolaro –del servizio, a volte come un semplice esecutore di faccende amministrative, o come una specie di capo famiglia con il quale si ha un rapporto di amore e odio. In realtà non è nulla di tutto questo. Ci sembrava importante raccogliere le narrazioni di un professionista chiamato a svolgere la funzione di management in un periodo così difficile, un professionista che non gestisce solo orari, richieste, scartoffie ma che è chiamato a prendere parte nella gestione della complessità, ad intrecciarsi come un anello indispensabile all’interno di un sistema complesso come quello di un’azienda sanitaria. Un professionista che esercita la leadership e che fa della relazione lo strumento più efficace per gestire il gruppo di lavoro ponendosi obiettivi, facendosi promotore dei cambiamenti, progettando anche attraverso la ricerca… Dico sempre che il coordinatore è molto di più di quello che appare, è un lavoratore instancabile che agisce nell’ombra e che senza di lui o lei, tutto crolla”.
“Da più di 30anni iscritta al Coordinamento Nazionale dei Caposala/Coordinatori (CNC) ed oggi vice-presidente della mia provincia – ci racconta la coordinatrice Raschietti– e so che il ruolo del coordinatore, se da una parte è sempre più protagonista all’interno delle Organizzazioni Sanitarie, dall’altra è una figura sottostimata, poco riconosciuta e confinata spesso in numerose attività burocratico-amministrative. Nel tempo appena trascorso gli infermieri, dapprima elogiati e subito dopo rapidamente “cancellati”, hanno trasformato le fisiologiche emozioni primarie di paura, rabbia, tristezza in percezioni di stress, frustrazione, senso di impotenza, ostilità che hanno prodotto manifestazioni di tipo depressivo, stati d’ansia e somatizzazioni con i relativi sintomi di disagio che si ripercuotono nella sfera professionale e nella qualità della vita personale e familiare. Tant’è che tutta la categoria, in percentuale, ha registrato il maggiore numero di dimissioni volontarie dall’impiego pubblico: il 74% del totale nel secondo trimestre del 2021 secondo i dati del Ministero del Lavoro.
Abbiamo quindi pensato che sarebbe stato utile raccogliere narrazioni di colleghi che stanno vivendo questo periodo post-pandemico in modo da far emergere il loro vissuto che, analizzato, avrebbe potuto fornire elementi utili per promuovere interventi di miglioramento, per ri-vitalizzare la percezione del ruolo professionale e possibilmente, ri-costruire un miglior clima lavorativo sia per sé stessi che per l’equipe.
Le tracce utilizzate
Con la medicina narrativa si chiede ai partecipanti di raccontare la propria storia, il proprio vissuto, attraverso alla scrittura. Si propone una serie di tracce e si lascia campo libero alla scrittura. Non c’è limite di battute, non viene corretto nulla, non importa se ci sono errori, ridondanze, ripetizioni. Anche la ripetizione ha un senso, anche la ridondanza può avere un valore. Nella medicina narrativa, anche la forma della scrittura è sostanza.
A questo progetto hanno partecipato 21 persone, di cui 19 donne, tra Toscana, Lazio e Veneto. Età tra i 30 e 50 anni.
Queste sono state le tracce che dovevano seguire i coordinatori infermieristici interpellati.
- Se dovessi usare una metafora per rappresentare il ruolo del coordinatore in questo periodo come lo descriveresti…
- Il mio ruolo di coordinatore infermieristico prima dell’emergenza sanitaria…
- Poi è successo che…
- In questo periodo di post-pandemia mi sento…
- Le mie competenze oggi…
- Le mie qualità…
- Con l’equipe che coordino…
- Con i superiori…
- Penso di poter migliorare…
- Se penso al mio futuro mi immagino e desidero…
- Puoi raccontare un episodio di relazione con l’equipe che ti viene in mente…
- Al termine di questa narrazione della tua esperienza professionale… come ti sei sentita/o?
Alcuni stralci dalle narrazioni raccolte

Qui di seguito vi proponiamo alcuni estratti dalle narrazioni, raccolte in forme anonima.
Era comunque un ruolo difficile in cui ero in costante conflitto tra ciò che mi veniva richiesto dall’azienda e ciò che io, insieme ai miei collaboratori, ritenevo importante. L’impegno lavorativo era tanto e avrei voluto focalizzarlo meglio invece che disperderlo in cose che ritenevo del tutto inutili
Ho compreso da subito che non si trattava di dare un semplice appuntamento. Le necessità dall’altra parte del filo erano ben altre…bisognava gestire la paura, l’incertezza e la solitudine…Le orecchie bollivano ma sentivo che non potevo lasciare i colleghi da soli.
Sento il peso e la stanchezza di questi due anni. Ancora siamo in guerra con molti feriti ma meno morti. Ho meno paura ma ancora l’ansia per il futuro sanitario e sociale, professionale e personale.
Nella complessità devi sempre dimostrare di sapertela cavare da solo. La fiducia va conquistata continuamente. Ho dato e ottenuto rispetto e stima.
Una mattina, arrivata in ospedale, mi trovo, davanti all’ingresso del pronto soccorso un uomo che piangeva. Con una delle mie infermiere, ci siamo avvicinate a lui per chiedere il perché del suo pianto. Con le lacrime agli occhi ci ha spiegato che due mesi prima aveva perso la moglie per covid e che la figlia, adolescente, era in sala rossa e gli chiedeva degli assorbenti. Lui, uomo di altri tempi, non aveva il coraggio di andare a comprarli. Continuava a dire: “mi sono vergognato, ma pensando a mia figlia ho fatto l’acquisto, a queste cose di donne ci pensava mia moglie”. Con tutti gli infermieri in turno lo abbiamo coccolato e lo abbiamo aiutato a “bardarsi” per parlare con la figlia …. Abbiamo pianto con lui. Il covid è anche questo. Un coordinatore non è solo organizzazione, è soprattutto comprensione; comprensione verso chi ha bisogno.
Ho capito che con le persone bisogna parlare ma soprattutto imparare ad ascoltarle.
Cosa è emerso da queste narrazioni?
“L’elemento più interessante – ha sottolineato Tavolaro – è stata l’analisi delle metafore da cui sono scaturiti tantissimi significati. Da tutte è emerso lo scarso riconoscimento del ruolo ma anche la capacità di attingere dalle proprie risorse sia personali, sia derivanti dalla professione per affrontare le criticità. In alcuni casi ho sentito molta vicinanza e a volte mi sono immedesimata e commossa”.
“Nella maggior parte delle narrazioni è emersa la capacità di far fronte all’emergenza, di attivare il coping per rispondere e per gestire lo stress e la pressione. Lo studio delle metafore è stato davvero interessante perché attraverso questa figura retorica la persona riesce ad esprimere in modo efficace e diretto come si sente, come percepisce il proprio ruolo. Ne sono state raccolte 21 e ciascuna meriterebbe una riflessione per la portata anche emotiva racchiusa in esse.
C’è un messaggio che vuoi lanciare verso i tuoi colleghi e colleghe?
Con Andreina Raschietti parteciperemo ad un evento organizzato da un’associazione di Infermieri coordinatori e Caposala dove porteremo i risultati del nostro lavoro – ha concluso Tavolaro – e per quello che mi riguarda ho intenzione di chiedere ai miei superiori una possibile occasione di condivisione dei risultati del progetto ed eventualmente ripeterlo all’interno della nostra struttura. Vorrei far sperimentare loro quanto la narrazione sia un potente strumento di cura, quanto sia indispensabile nella relazione, nella gestione delle emozioni, nei processi di crescita sia personale, sia di gruppo.
La Medicina Narrativa non si è un percorso “alternativo” che interessa una élite o che è di tendenza, ma si tratta di un vero e proprio strumento di cura che si integra perfettamente nei percorsi di assistenza, che è a servizio della medicina e ne completa l’essenza.
Questa esperienza mi ha dato l’occasione di essere introdotta come tutor/docente in un percorso formativo all’interno della mia azienda sulla medicina narrativa e sui suoi strumenti.
“Mi resta il desiderio – ha concluso Raschietti – di poter restituire in qualche forma, magari in un laboratorio di Medicina Narrativa dedicato, ciò che è emerso in modo che possa essere di aiuto per migliorare il benessere dei coordinatori infermieristici e possa avere risvolti positivi sulle equipe coordinate. Sono convinta che se si sta bene stanno bene anche le persone vicine, dato che il ben-essere è contagioso!”