Una vita spesa a prendersi cura dei più vulnerabili, un uomo, prima che un professionista, le cui vicissitudini personali, la sua malattia e la perdita prematura di suo fratello, si intrecciano inesorabilmente con il vissuto dei suoi pazienti.
L’umiltà ed il coraggio, nelle parole di chi, ripartendo da zero, ha saputo fare delle proprie fragilità un punto di forza dal quale ripartire quando tutto sembrava perso. Vi riportiamo la storia, scritta in prima persona ma in forma anonima, di un medico di medicina d’urgenza.

Un’infanzia fortunata
Mio padre era poliziotto.
A quei tempi non era semplice mandare avanti una famiglia con un solo stipendio ed un figlio bisognoso di cure. La poliomelite ha segnato la mia infanzia, ma posso ritenermi fortunato, perché grazie alla fisioterapia e ai massaggi fatti, ho superato la malattia senza grosse conseguenze.
Da piccolo venivo spesso deriso dai miei coetanei per via dei tutori che mi davano le sembianze di un robot. Come tutti i bambini, sognavo di diventare un pilota di aviazione, ma un giorno, mio padre mi fece rendere conto del debito di riconoscenza che avevo nei confronti delle altre persone che non avevano avuto la mia stessa fortuna, ma che al contrario di me, a causa della polio, erano in carrozzina, o peggio, erano costretti a vivere in un polmone d’acciaio.
È stata questa la prima motivazione a spingermi ad intraprendere la professione medica, l’unica che avrei mai potuto fare nella mia vita, un mestiere di aiuto per gli altri. Una scelta su cui non ho mai avuto ripensamenti, in quanto penso di aver fatto il lavoro più bello del mondo.
Per trentacinque anni ho esercitato l’attività di emergenza extra ospedaliera come medico rianimatore, specializzazione che ha completato il mio primo percorso formativo in cardiologia. Il rianimatore interviene quando una persona si trova in una situazione particolarmente critica, in presenza di un imminente “rischio di non ritorno”, quando tutto sembra essere perso e tu, medico, diventi improvvisamente l’ultima “barriera” che si frappone tra la vita e la morte di un individuo.
Ho iniziato ad esercitare la mia attività quando avevo poco più di diciotto anni, come volontario di primo soccorso in ambulanza.
Compresi subito l’importanza che può avere la presenza di una figura professionale preparata in tecniche rianimatorie all’interno di un mezzo medicale.
Allora, capitava molto spesso di caricare a bordo chi aveva urgente bisogno di interventi rianimatori: nonostante i nostri sforzi per raggiungere il più presto possibile l’ospedale di riferimento, non riuscivamo a strappare il paziente al suo destino infausto.
Fu proprio la consapevolezza di quanto fosse essenziale il ruolo di un medico specializzato, determinante in circostanze di estrema gravità per chi si trova tra la vita e la morte, a farmi appassionare all’attività di soccorso in elicottero, ma a quel tempo ero un cardiologo e sull’elicottero, oltre ad un infermiere competente in tecniche intensive e di personale di condotta, è obbligatorio vi sia un rianimatore.
Fu per questo che abbandonai una strada che sino a quel momento mi aveva dato tante soddisfazioni, per intraprenderne un’altra, ricominciando tutto da capo.
Il soccorso in elicottero è stata, e continua ad essere, la mia grande passione.
Le modalità basiche di intervento sono simili, la scriminante tra quello in ambulanza e quello in elicottero sta nella differente tempistica che, in quest’ultimo caso risulta essere incontestabilmente più velocizzata rispetto alla prima.
L’elisoccorso ha inoltre il vantaggio di consentire di intervenire anche in luoghi, come la montagna ed il mare, zone che sarebbe difficile raggiungere in altra maniera.
Nella mia esperienza, ho aiutato persone di diverse età, dai bambini ai più anziani, ritrovandomi a dover affrontare le situazioni più disparate, dai traumi di varia natura alle malattie, come infarti o patologie con difficoltà respiratorie.
Accanto a queste vi sono state poi situazioni particolari, come ad esempio, il dover prestare soccorso ad una donna che viveva in una periferia disagiata, la quale doveva dare alla luce il suo bambino e che, senza l’intervento di un elisoccorso, non avrebbe mai potuto raggiungere l’ospedale.
Una circostanza questa, che difficilmente può capitare ad un professionista che esercita in ambulatorio.
Faccio sempre tesoro del “mantra” lasciatomi dal mio maestro, che non si stancava mai di ripetermi di quanto sia importante la versatilità di un medico,: un valore aggiunto che, specialmente per chi opera su mezzi di volo, è un elemento essenziale, una sorta di difesa contro qualsiasi genere di imprevisto.
Oggigiorno ciascun medico ha la sua specializzazione, tuttavia occorre non rimanere ancorati al proprio settore di competenza, ma sapersi destreggiare in diversi ambiti, avere cioè una conoscenza, per quanto possibile, a 360°, che vada al di là della branca rispetto alla quale si è professionalmente predisposti.
Credo che un medico rianimatore d’emergenza che presta servizio in elisoccorso debba sapere quale sia l’ospedale più idoneo rispetto alla patologia sospettata, presso il quale portare la persona ancora viva, sfruttando il vantaggio della celerità del mezzo.
Nel mio lavoro di medico rianimatore ho avuto molte soddisfazioni
Mi imbarazza sempre molto la riconoscenza di quanti vengono a ringraziarmi per ciò che ho fatto per loro.
Ricordo un ragazzo che aveva avuto un incidente stradale molto grave: a distanza di due anni venne a trovarmi in segno di gratitudine per avergli salvato la vita. Quando mi disse che qualche anno prima aveva perso sua madre, risposi che allora era stata lei, suo angelo custode, in quella tragica notte, ad aver dato una mano a noi sanitari, per far sì che non lo lasciassimo andare tra le braccia della morte.
Nel corso della mia professione, ho sempre considerato coloro che si affidavano nelle mie mani, come persone e non come pazienti, creando con loro un rapporto di empatia. Essendomi trovato anch’io dalla parte dei miei “utenti”, ho capito infatti quanto sia importante che tra medico e paziente non vi siano barriere di sorta, perché il professionista deve sempre tenere a mente di avere di fronte a sé una persona. Si commette spesso l’errore di ergersi a colui che rappresenta la scienza, a cui gli ammalati devono “sottostare”, “costretti” sovente a firmare un consenso, senza che vengano fornite loro le dovute informazioni in merito ai trattamenti sanitari a cui verranno sottoposti. Una pecca che ho riscontrato recentemente anche in alcuni centri vaccinali anti covid presso cui ho prestato servizio.
Una prassi che dimostra, ancora una volta, l’errata concezione che alcuni colleghi hanno del rapporto medico – paziente.
Noi medici non dovremmo mai perdere di vista l’aspetto
umano del nostro lavoro, in quella che per me è una missione e considerare sempre di avere di fronte delle persone con le loro fragilità.
Il buon risultato di un intervento non è mai merito di una singola persona, ma la risultante di un lavoro di squadra.
Se c’è affiatamento, sincronia e rapidità tra tutti i componenti di un’equipe, e se è scritto lassù che le cose debbano andare in altra maniera, si raggiunge un risultato positivo.
Non possiamo cambiare il destino di un individuo senza che qualcuno al di sopra di noi, decida di metterci sulla strada di chi, per salvare la propria vita, ha bisogno del nostro aiuto.
Il tempo è il nostro grande nemico. L’inesorabilità con cui senti il tintinnio delle lancette dell’orologio che scandiscono il trascorrere di istanti preziosi, sarebbe implacabile se non si possedesse un’esperienza che ti forgia, giorno per giorno, portandoti ad un livello di “allenamento” tale da consentirti di avere ormai quello scandire del tempo in testa. Anche in questo caso è fondamentale il feedback del personale di bordo che, laddove possa succedere di attardarsi in una manovra, ti esorta a far presto. In elicottero non c’è nessuna gerarchia di ruoli ma ci si fa da spalla gli uni gli altri.
La sfida è aumentare le possibilità di sopravvivenza
Le sfide in atto nell’ambito dell’emergenza, sotto il profilo traumatologico, ossia relativamente agli eventi di chi ha subito gravi lesioni interne, riguardano principalmente il riuscire ad alzare l’asticella delle possibilità di sopravvivenza di questi pazienti, essendo stato statisticamente provato che i decessi per emorragia interna sono generalmente i più frequenti.
La mia sfida personale è invece quella di semplificare questo lavoro, mettendo la mia esperienza al servizio di un’azienda della mia regione di appartenenza, nella produzione di ausili che sono di supporto indispensabile nello svolgimento del mio mestiere, per rendere il soccorso più veloce, sicuro e soprattutto al passo con i tempi.
In questi ultimi due anni di produzione, segnati dalla pandemia che ci ha colpiti, abbiamo lavorato alla fabbricazione di alcuni presidi innovativi, per il momento in dotazione solo di alcune regioni, come ad esempio, una barella di biocontenimento, prototipo nato negli Stati Uniti, che ultimamente è stato imbarcato anche sulla stazione spaziale, utile nell’ipotesi in cui si verifichi la necessità di dover tenere in isolamento uno degli astronauti.
Chiudiamo il 2021 con ventitré progetti da realizzare, vedremo quanti ne riusciremo a portare a termine nell’anno appena iniziato.
In corso d’opera ci sono vari presidi realizzati in lega leggera, che sebbene sia un materiale non proprio a basso costo, per le sue proprietà di duttilità e leggerezza, facilita il trasporto dei malati, in presenza di percorsi impervi ed angusti, in città come ad esempio Venezia, dove le idroambulanze, non solo non hanno la possibilità di attraccare ovunque, ma incontrano difficoltà nel percorrere vicoli molto stretti, ponti da attraversare, strade irte che costeggiano la laguna.
Sulla stessa scia, stiamo sviluppando l’idea per la costruzione di barelle concepite per rendere possibile anche alle persone con gravi disabilità di fare la camminata nei sentieri di montagna.
L’intervento che non dimenticherò mai
Tra gli interventi di tutta la mia esperienza, probabilmente per le circostanze particolari in cui è avvenuto, quello che mi è rimasto più impresso, è stata la tragica morte di un bimbo travolto dalla macchina di suo padre, mentre faceva retromarcia dal garage di casa, la notte di capodanno di pochi anni fa.
Ricordo che, giunti sul posto, fummo letteralmente investiti dalle urla della madre che, disperata, ci supplicava di far presto. Mi resi immediatamente conto che non c’era più nulla da fare, ma feci ugualmente tutto il possibile, purtroppo però senza successo.
Nel corso della mia carriera, mi è accaduto diverse volte di aver tenuto la mano alle persone negli ultimi istanti della loro vita. Il sostegno spirituale in quei momenti è importante.
Mio fratello è rimasto vittima di un pirata della strada e la mia unica consolazione è stata sapere, a posteriori, che in quegli attimi non era sull’asfalto da solo, vicino a lui c’era una ragazza filippina che passava di lì in quel momento. Le ha tenuto la mano fino all’arrivo dell’ambulanza. Una donna che non ho mai conosciuto, alla quale però sono grato.
Gli ultimi istanti di vita di una persona sono profondamente coinvolgenti.
La sensazione di sconfitta era predominante, agli inizi della mia professione e, ogni volta che la morte aveva la meglio, il “guerriero senza paura” che sentivo di essere rispetto ad essa, nella sciocca convinzione di poterle strappare l’essere umano che cercavo disperatamente di far continuare a vivere, scemava, lasciando spazio alla consapevolezza di non avere nessun potere nel determinare il destino di una persona.
Nonostante si faccia di tutto per tenerla in vita, per chi è credente, è infatti il volere di un essere superiore a decidere l’esito della partita con la fine dell’esistenza di un individuo.
C’è un disegno ben preciso per ciascuno di noi, al quale non possiamo opporci.
L’accettazione di una perdita e la metabolizzazione del lutto, seguono i giorni immediatamente successivi alla morte di un proprio caro, e per non cedere al dolore, alla depressione che può subentrare in queste situazioni, è fondamentale il supporto di uno psicologo che aiuti a superare le difficoltà legate ad esse.
Anche nel ricordo di quanto accaduto a mio fratello, nel mio piccolo, cerco sempre di fermarmi sul posto di una sciagura, per ascoltare i familiari, spiegare loro le dinamiche in cui il congiunto ha perso la vita, dando per quanto possibile il mio conforto.
In quei momenti di particolare intensità emotiva, è importante il sostegno di figure competenti che affianchino anche i sanitari che, sebbene siano “addestrati” all’eventualità di un esito nefasto, possono tuttavia avere forti ripercussioni emotive nella loro vita personale, ancor prima che in quella professionale.
Se dovessi racchiudere in una parola la parabola del mio vissuto, sceglierei il verbo aiutare, in tutte le sue sfumature, di valenza superiore rispetto a quello di amare.
Aver avuto la fortuna e la possibilità di metterlo in pratica in tante occasioni, facendo sacrifici e rinunce, anche importanti, mi ha pienamente ripagato di tutte le privazioni e mi ha permesso di diventare l’uomo di oggi.
Stiamo attraversando un periodo difficile che ci ha fatto riscoprire la bellezza di valori quali la solidarietà e l’aiuto reciproco, facendo in modo che mettessimo da parte tutto ciò che ci divideva per affrontare e sconfiggere insieme la pandemia, nemico ancora oscuro dei nostri giorni.