La paralisi cerebrale infantile (PCI) è una lesione permanente che insorge prima, durante o dopo il percorso gestazionale di una gravidanza, ed è causata dalla mancanza di ossigeno al cervello. È anche conosciuta come “danno da parto”.
Colpisce più di un milione di persone in Europa e oltre 17 milioni in tutto il mondo, con un’incidenza inferiore a 2 persone su 1.000 nati nei Paesi ad organizzazione sanitaria avanzata, dove i tassi sono molto più elevati nelle economie a medio e basso reddito.

Le cause
Le cause scatenanti possono essere classificate in 3 gruppi:
• pre-natali, le più frequenti, ossia malformazioni cerebrali su base genetica, infezioni in gravidanza, ridotto funzionamento della placenta con insufficiente apporto di sangue al feto;
• peri-natali, da 1 settimana prima a 4 settimane dopo il parto: anche qui per ridotto apporto di sangue e ossigeno al cervello del feto, emorragia cerebrale e più raramente altre cause;
• post-natali, entro l’anno di vita: meningo-encefaliti, trauma cra-nico severo, scarsa irrorazione di sangue al cervello che causa malattie cardiocircolatorie e arresto respiratorio.
Ai disturbi posturali derivanti dalla predetta lesione, si associano sovente altre forme di disagio, come ad esempio disordini sensoriali, intellettivi, comunicativi, oltre a difficoltà che interessano la deglutizione e problemi di tipo emotivo, conseguenze che possono modificarsi nel corso della crescita.
Un po’ di storia
Il gruppo di disabilità neuromuscolari è stato osservato sin dall’antica Mesopotamia, e nelle civiltà greche e romane, presso le quali sono state rinvenute testimonianze di bambini nati con deformità e menomazioni. La letteratura europea recente ha inoltre registrato tracce di questo disturbo nel “Riccardo III” di Shakespeare, nato per l’appunto con deformità.
Fu il chirurgo inglese William John Little nel 1861 a individuare per primo una correlazione tra la spasticità e le deformità con l’asfissia e l’emorragia cerebrale come conseguenze da parto. Solo dopo alcuni anni, William Osler ha scritto un libro nel quale ha preso in considerazione le caratteristiche cliniche di 150 bambini con disturbi motori di origine cerebrale, avanzando delle ipotesi neurologiche sul punto. Anche Freud nel 1897, nel suo celebre lavoro “Die infantile cerebrallhamung” ha voluto sottolineare l’importanza delle anomalie dello sviluppo intrauterino della PCI, mettendo in evidenza come il disordine motorio sia spesso accompagnato da altri tipi di disturbi quali: ritardo mentale, epilessia, deficit del linguaggio e difficoltà visive. È tuttavia necessario compiere un salto di oltre 50 anni per giungere all’odierna definizione della patologia come “disturbo permanente ma non immodificabile della postura e del movimento, provocato da una lesione cerebrale non progressiva determinatasi prima che l’encefalo raggiunga un completo sviluppo funzionale”.
Come si manifesta la paralisi cerebrale infantile
I sintomi della paralisi cerebrale insorgono in maniera più evidente nei primi due o tre anni di vita con una compromissione della postura e del movimento, con differenti peculiarità cliniche e con diverse severità della malattia.
Dal punto di vista motorio, nei primissimi anni di vita il bambino con PCI può presentare ritardi nel raggiungere alcune tappe fondamentali nello sviluppo, come l’acquisizione del controllo del tronco o la capacità di camminare autonomamente, flaccidità o rigidità degli arti.
Oltre a queste severità, il bambino può presentare:
- problemi del sistema motorio
- difficoltà di alimentazione e di deglutizione
- stitichezza
- epilessia
- disturbi da reflusso gastroesofageo
- difficoltà di ragionamento
- difficoltà nel linguaggio, nella memorizzazione e nell’apprendimento
- problemi respiratori
Esistono vari tipi di PCI
In base a diversi criteri basati su elementi clinici, epidemiologici, radiologici e funzionali, nonché di segni comportamentali precoci, si possono avere differenti tipi della stessa malattia.
Ad esempio, la classificazione di Hagberg, che risale al 1975, distingue le PCI sulla base del disturbo motorio prevalente e della sua distribuzione:
- paralisi cerebrale spastica, caratterizzata da “ipertono muscolare”, che si manifesta con una rigidità dei muscoli che oppongono resistenza alla mobilizzazione passiva;
- paralisi cerebrale discinetica, che si differenzia dalla prima per la presenza di movimenti involontari, posture anomale e fluttuazioni del tono muscolare;
- paralisi cerebrale atassica, che causa problemi di equilibrio, difficoltà di coordinazione nei movimenti e tremori;
- paralisi cerebrale mista, ossia la forma che raggruppa tutti i disturbi motori sopra menzionati.

Il percorso di riabilitazione
Le diverse storie cliniche dei pazienti affetti da questa patologia, rendono necessario una personalizzazione del progetto riabilitativo che, oltre alla famiglia, coinvolge anche tutti gli operatori che partecipano alla riabilitazione: neurologi, neurochirurghi, ortopedici, fisiatri, oculisti, odontoiatri, riabilitatori fisioterapisti, logopedisti, audiologi. Si tratta dunque di un trattamento di riabilitazione precoce, messo in atto sin dalla fase di sviluppo del bambino, opportunatamente studiato sulla base di una diagnosi funzionale delle capacità motorie e delle altre risorse del paziente, con l’obiettivo di aumentarne le capacità residue.
Il trattamento non chirurgico della malattia consiste in diversi percorsi:
- la riabilitazione motoria e occupazionale che mira a fornire alla persona con paralisi cerebrale le “tecniche sostitutive” per svolgere le normali attività nel quotidiano;
- la logopedia;
- il trattamento farmacologico per attenuare il grado di spasticità e prevenire le convulsioni; l’adozione di dispositivi che possano migliorare la postura.
La riabilitazione incide sul recupero di una lesione del sistema nervoso centrale agendo sulla plasticità neurale, ovvero la “duttilità” del cervello a modificare la propria struttura e le proprie funzioni in base all’attività dei neuroni, con l’obiettivo di contenere e comprimere la lesione.
Altri tipi di trattamenti adottati sono quelli chirurgici, come l’allungamento di un muscolo spastico che può sviluppare deformità secondarie oppure le osteotomie che servono per correggere deformità ossee. Per migliorare la qualità di vita delle persone colpite da paralisi cerebrale, anche dal punto di vista psichico ed emotivo, vi sono inoltre altri approcci da adottare, come ad esempio l’ippoterapia e l’idroterapia.
Un ulteriore supporto che può contribuire in maniera incisiva a facilitare i movimenti, la deambulazione e favorire il miglioramento posturale del bambino con PCI, è l’esoscheletro robotico, strumento ancora in fase di perfezionamento che, garantendo una corretta posizione del busto, gli consente di camminare.
L’importanza della diagnosi precoce
A Pisa è stato presentato il più grande progetto europeo che sia mai stato condotto sinora sui neonati a rischio di paralisi cerebrale infantile: BornToGetThere, progetto che mira a far rete con gli altri Paesi europei, con la finalità di effettuare una diagnosi precoce nei nati pre-termine o con parto difficoltoso. Più di 5.000 neonati saranno sottoposti a screening e tra questi, i 500 considerati a rischio verranno in seguito valutati da 300 operatori, tra pediatri, neurologi e altri specialisti. I risultati potranno incidere positivamente sulla qualità di vita delle persone colpite da paralisi cerebrale e su quella dei loro familiari. Lo studio durerà quattro anni e sarà coordinato da Andrea Guzzetta, associato di Neuropsichiatria Infantile al Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Pisa. Sperimentazione a cui prenderanno parte altri nove partner, provenienti da tre Paesi europei (Italia, Danimarca e Olanda), da due Paesi associati (Georgia e Sri Lanka) e dall’Australia.
A chi rivolgersi?
I genitori che nutrano dubbi sullo sviluppo motorio del bambino, devono rivolgersi al pediatra che valuterà la necessità di effettuare una visita con un medico specialista in neuropsichiatria infantile.
Fonti:
https://www.ospedalebambinogesu.it/paralisi-cerebrale-infantile-89930/