Il Parkinson è una malattia degenerativa di cui non si conoscono ancora i meccanismi scatenanti. È per questo motivo che non esiste attualmente una terapia in grado di bloccarne i meccanismi. Comporta il deterioramento e la perdita di alcune cellule nervose situate in una specifica zona del cervello, come i gangli della base: cellule che producono un neurotrasmettitore, la dopamina, che regola vari meccanismi neurologici alla base delle attività motorie e non motorie.
È stata descritta per la prima volta nel 1817 da James Parkinson nel trattato “An Essay on the Shaking Palsy”.
Si riscontra in entrambi i sessi, con una lieve prevalenza in quello maschile. L’età media di esordio è intorno ai 58-60 anni, ma circa il 5% dei pazienti può presentare un esordio giovanile tra i 21 ed i 40 anni. In Italia si calcola che siano almeno 250.000 le persone con Parkinson.
Che cos’è la malattia di Parkinson
È una malattia neurologica con andamento cronico, caratterizzata dalla graduale degenerazione di specifiche strutture cerebrali che controllano le funzioni motorie e di coordinamento dei movimenti e altre funzioni.
In altre parole, si verifica un’alterazione cellulare nella substantia nigra (o sostanza nera) e una compromissione dei gangli della base. Questi ultimi sono aggregati di cellule nervose situati in profondità nel cervello e che consentono di iniziare e regolare i movimenti volontari, inibire i movimenti involontari e coordinare le variazioni posturali.
Gli impulsi che il cervello invia per eseguire qualsiasi movimento (ad esempio, sollevare un braccio) passano proprio attraverso i gangli della base che, come tutte le cellule nervose, rilasciano messaggeri chimici (neurotrasmettitori). Uno dei più importanti è la dopamina.
La degenerazione cellulare comporta un abbassamento del livello di dopamina e quindi una riduzione del numero di connessioni tra le cellule nervose. La diretta conseguenza è che i gangli della base non riescono più a controllare normalmente i movimenti. Compare quindi il tremore, il rallentamento (bradicinesia) e la riduzione dell’ampiezza del movimento (ipocinesia), problemi di postura e deambulazione e una parziale perdita della coordinazione.
Negli ultimi anni sempre più studi hanno dimostrato che alla base della malattia c’è un’alterazione di una proteina, l’alfa-sinucleina, fisiologicamente presente nel Sistema Nervoso. Si tratta di una molecola che va incontro a modificazioni per cui la forma fisiologica si aggrega in modo patologico: forma cioè delle fibrille che penetrano nel neurone, sviluppando quelli che sono definiti corpi di Lewy che “uccidono” la cellula.
In pratica, questa proteina si comporta come un agente patogeno, anche se non è un virus o un batterio, e si sposta da una cellula all’altra compromettendo sempre più neuroni.
Ancora non si conoscono le cause alla base di questo processo, ma sembrerebbero coinvolti diversi fattori: genetici, epigenetici, ambientali, ecc. La ricerca da anni si muove proprio in questa direzione, per trovare il modo di limitare l’aggregazione di questa proteina tossica che scatena la degenerazione dei sistemi neurologici.
Un po’ di storia
Si parla per la prima volta di malattia di Parkinson nel 1817 da James Parkinson, un medico inglese, nel suo trattato “Essay on Shaking Palsy”. Qui descrisse alcuni pazienti affetti da tremore a riposo, che mostravano una diminuzione della forza muscolare e un particolare modo di camminare, a piccoli passi e con tendenza a inclinare il busto in avanti. Parkinson attribuì la causa della malattia all’inquinamento atmosferico. Siamo, infatti, in piena rivoluzione industriale in Inghilterra.

Dopo di lui molti scienziati cercarono, senza successo, la causa della malattia e ancora oggi non si conosce il meccanismo alla base dei sintomi. Sarà Jean-Martin Charcot a descrivere, circa 50 anni dopo, più accuratamente il quadro clinico della sindrome e dandole il nome di malattia di Parkinson.
Nel 1912, Frederic Lewy descrisse, invece, per la prima volta i “corpi di Lewy”, aggregati proteici anomali che si depositano nelle cellule nervose, tipica alterazione patologica della malattia di Parkinson.
La malattia di Parkinson è anche nota come “la malattia dei grandi uomini”: Francisco Franco, Franklin Delano Roosevelt, Arafat, Mao, Bresniev, Giovanni Paolo II, Cassius Clay e molti altri famosi personaggi ne hanno sofferto o ne soffrono. Tra questi c’è l’attore di Ritorno al futuro, Michael J. Fox (pseudonimo di Michael Andrew Fox) premiato nel 2022 con un Oscar alla carriera proprio per la sua lotta contro il Parkinson. L’attore, 61 anni, combatte contro la malattia dal momento della diagnosi, quando aveva solo 29 anni. Ha scelto di ricevere il premio sulle note della canzone di Bruce Springsteen No Surrender, per descrivere la sua personale battaglia. Nel 2000 ha fondato la “Michael J. Fox Foundation for Parkinson’s Research” che, negli anni, ha raccolto oltre un miliardo di dollari per la ricerca.
Alcuni dati sul Parkinson
Il Parkinson colpisce circa lo 0,3% dell’intera popolazione. È abbastanza raro prima dei 50 anni; la prevalenza aumenta fino all’1% sopra i 60 anni e al 4% sopra gli 80. Anche l’incidenza è bassa prima dei 50 anni e raggiunge i valori più elevati nelle classi di età comprese tra i 70 e i 79 anni, con 8-18 casi per 100.000 persone/anno nella popolazione generale e 120 casi, sempre per 100.000 persone/anno, a 70 anni.
La malattia, in circa il 90% dei casi, è considerata sporadica (cioè che si presenta in modo irregolare e del tutto imprevedibile), ma nel restante 10%, in particolare nelle forme giovanili (dette ad esordio precoce), è geneticamente determinata.
Sono gli uomini a essere colpiti di più rispetto alle donne, con un rapporto di 3:2.
Con la scoperta (fine anni Sessanta) della L-Dopa (levodopa) come trattamento terapeutico, la sopravvivenza è aumentata, anche se il tasso di mortalità rimane di circa 1,6–2,9 volte più alto rispetto alla popolazione generale.
La causa più frequente di morte è la broncopolmonite, per la ridotta mobilità, e la disfagia che caratterizzano le fasi molto avanzate della malattia.
Quali sono i sintomi?
La malattia evolve lentamente e la sintomatologia è abbastanza complessa. I sintomi iniziali possono essere lievi e spesso non immediatamente riconosciuti, poiché poco specifici o attribuiti all’invecchiamento.
La bradicinesia (lentezza nei movimenti volontari), la rigidità e il tremore (nel 60-65% dei casi) rappresentano i principali sintomi motori del Parkinson. All’inizio, i sintomi e i segni motori si manifestano, nella maggior parte dei casi, in un solo lato del corpo, poi, nel corso degli anni, si diffondono anche all’altro lato.
Tra i sintomi motori:
- Bradicinesia: cioè lentezza dei movimenti volontari (comprende ipocinesia, ovvero la ridotta ampiezza dei movimenti e acinesia, la difficoltà a iniziare il movimento desiderato). Comprende anche il blocco motorio detto freezing (incapacità a muoversi, in cui gli arti inferiori restano come “incollati” al pavimento). È particolarmente evidente nelle normali attività della vita quotidiana, ad esempio nel rallentamento dell’andatura, nella riduzione dei movimenti e nella modificazione della scrittura che diventa, progressivamente, sempre più piccola (micrografia).
- Rigidità muscolare: è l’aumento del tono muscolare degli arti e della testa. Nelle fasi avanzate della malattia può portare a difetti posturali che coinvolgono prevalentemente il collo e il tronco.
- Tremore: si manifesta nelle fasi di riposo ed è spesso uno dei primi sintomi, in particolare quando interessa la mano, ed è accentuato dalle emozioni; si attenua o scompare con il movimento volontario e durante il sonno. È caratterizzato da specifici movimenti ripetuti della mano (“far pillole” o “contar monete”).
- Instabilità posturale: è tipica delle fasi più avanzate della malattia, spesso provoca cadute, poiché diventa difficile mantenere l’equilibrio.
Il Parkinson si manifesta tuttavia anche con sintomi non motori, tra cui:
- Depressione: può interessare fino al 40% dei soggetti ed è caratterizzata da apatia, disinteresse e riduzione delle attività e dei rapporti sociali.
- Disturbi cognitivi: sono presenti generalmente in forma lieve e possono progredire in almeno il 30-40% dei casi, sino a evolvere in demenza (nel 70% dei soggetti con più di 80 anni).
- Disturbi del sonno: sonnolenza diurna, insonnia, ecc. o stati di ansia.
- Disturbi gastrointestinali: disfagia, stipsi.
Come si fa la diagnosi?
La diagnosi si basa esclusivamente sulla valutazione clinica e i criteri diagnostici sono stati definiti da un gruppo di esperti della Movement Disorder Society.
Le neuro-immagini come la Risonanza Magnetica non mostrano aspetti specifici della malattia, ma sono utili per escludere altre patologie, alterazioni strutturali dovute a sofferenze vascolari, tumori cerebrali, ecc. Nei casi dubbi, ad esempio in un tremore atipico, può essere utile eseguire una scintigrafia cerebrale (SPECT) con l’uso di specifici marcatori (DaTScan) per valutare l’integrità o l’alterazione delle zone cerebrali colpite.
Può non essere facile per il medico diagnosticare la malattia nello stadio iniziale, poiché solitamente si manifesta in modo impercettibile. Nelle persone anziane è ancora più difficile, perché l’invecchiamento determina sintomi simili come perdita di equilibrio, rallentamento dei movimenti, rigidità muscolare e blocco della postura. A volte, anche il tremore essenziale è confuso con il Parkinson.
Nella diagnosi differenziale andranno considerati, in particolare, il tremore essenziale, le altre forme di parkinsonismo degenerativo e i parkinsonismi secondari (come quello da farmaci, per cause vascolari, infettive, ecc.). Ci sono, infatti, condizioni patologiche che “mimano” la malattia di Parkinson.
L’alfa sinucleina si può riscontrare ai fini diagnostici nel liquor cefalo rachidiano, un riscontro che però si ottiene con metodiche invasive. Studi recenti, invece, hanno dimostrato come sia possibile rintracciarla nella saliva. Una ricerca recentemente pubblicata su Annals of Neurology da un team di ricercatori della Sapienza di Roma, ha dimostrato che è possibile dosare questa proteina nella saliva, anche la parte tossica, e fin dalle fasi iniziali del Parkinson. Si ha quindi ora un marcatore biologico della malattia.
Durante l’esame obiettivo, si chiede al soggetto di eseguire alcuni movimenti che possono aiutare a confermare la diagnosi. Ad esempio, nel Parkinson, il tremore scompare o diminuisce quando il medico chiede alla persona di toccarsi il naso con un dito. Inoltre, si manifesta la difficoltà a eseguire rapidi movimenti alternati, come mettere le mani sulle cosce, poi ruotarle rapidamente diverse volte. Una prova molto sensibile per evidenziare la bradicinesia è il cosiddetto finger tapping, ossia battere ripetutamente l’indice sul pollice per 10-15 secondi e valutare la frequenza e l’ampiezza del movimento
Quanti anni si può vivere con il Parkinson?
La malattia tende a peggiorare nel tempo e al momento non c’è ancora una cura che possa bloccare questo processo degenerativo. Generalmente, l’aspettativa di vita è di poco inferiore a quella di una persona senza la malattia. Negli ultimi stadi, tuttavia, alcune possibili complicazioni, come ad esempio problemi respiratori, cadute e disfagia possono portare al decesso.
La progressione dei sintomi può svilupparsi in un arco temporale di circa 20 anni, anche se in alcune persone la malattia progredisce più rapidamente. Con un trattamento farmacologico appropriato, tuttavia, la maggior parte delle persone affette da Parkinson può vivere una vita normale per diversi anni dopo la diagnosi. Nondimeno, anche se ben controllati dai farmaci, il Parkinson rimane ancora una patologia da cui non si guarisce e la cui progressione, specie nelle fasi avanzate, può compromettere seriamente la qualità della vita.
Cura del Parkinson
Non esiste ancora una cura per il Parkinson, ma è possibile controllare i sintomi con una terapia farmacologica e interventi fisioterapici e riabilitativi; inoltre si può migliorare la qualità della vita anche grazie all’esercizio fisico, una corretta alimentazione e attività che consentano una maggiore socializzazione.
Il Parkinson è una malattia che suscita ancora un certo stigma sociale e chi ne soffre può tendere a isolarsi socialmente, a nascondersi, a sviluppare stati depressivi e ansiosi. Se questo atteggiamento è abbastanza frequente a ogni età, diventa particolarmente pesante nei malati di Parkinson giovani. Infatti, nonostante si è portati a pensare che il Parkinson sia legato principalmente alla vecchiaia, circa nel 10% dei casi la malattia colpisce prima dei cinquant’anni e nel 5% tra i 20 e 40 anni.
La terapia farmacologica mira ad aumentare la concentrazione di dopamina nei gangli della base, utilizzando alcuni farmaci. I principali sono:
- Levodopa (o L-Dopa), un aminoacido capace di oltrepassare la barriera encefalica per poi essere trasformato in dopamina. La levodopa riduce la rigidità muscolare, migliora il movimento e diminuisce sostanzialmente il tremore. Il farmaco consente a molti individui con patologia lieve di tornare a un livello di attività quasi normale.
- Dopamino-agonisti, farmaci che agiscono direttamente sui recettori dopaminergici. Essendo meno efficaci della L-Dopa, possono essere impiegati nelle fasi iniziali della malattia o in combinazione alla L-dopa nelle fasi più avanzate.
- MAO-B inibitori, sostanze che inibiscono il metabolismo della dopamina aumentandone il tempo di permanenza nel cervello. Sono adoperati sia nella fase iniziale del trattamento, sia in quella avanzata, in associazione alla L-Dopa.
- COMT-inibitori, rallentano il metabolismo della levodopa e ne aumentano la emivita (ossia il tempo di permanenza del farmaco nel sangue). Sono farmaci devono essere somministrati sempre in associazione alla L-Dopa.
La fisioterapia e un costante esercizio fisico sono molto importanti per contrastare la lentezza, la scarsa fluidità e la mancanza di coordinazione del movimento, così come la rigidità e il rallentamento motorio. Sono tutti sintomi che comportano modificazioni della postura, della deambulazione e dell’equilibrio in generale, con ripercussioni anche a livello della colonna vertebrale e delle singole articolazioni che si “fissano” in posizioni viziate. L’esercizio mira a correggere questi atteggiamenti e a prevenire l’insorgere di patologie dolorose a carico delle strutture osteo-articolari.
Ci sono anche trattamenti medico-chirurgici come la stimolazione cerebrale profonda (DBS – Deep Brain Stimulation). Tale tecnica consiste nell’impiantare chirurgicamente dei piccoli elettrodi in alcune strutture cerebrali che inviano piccole quantità di elettricità alle aree specifiche coinvolte nei sintomi della malattia. È un approccio indicato soprattutto nelle persone con malattia avanzata, senza alterazioni cognitive, relativamente giovani e con difficoltà di controllo dei sintomi motori.
Recentemente è stata introdotta anche la tecnica degli ultrasuoni focalizzati (FUS). Attraverso la Risonanza Magnetica per Immagini (RMI), è identificata l’area che sarà poi colpita con gli ultrasuoni focalizzati, i quali, attraverso la generazione di calore, provocano una lesione dell’area che si intende disattivare. Questa procedura non prevede un intervento chirurgico invasivo e può alleviare soprattutto il tremore.
Quali sono le nuove prospettive di cura?
Tra i vari approcci in fase di sviluppo c’è la terapia genica e quella basata sugli anticorpi monoclonali in grado di catturare l’alfa-sinucleina mentre si sposta tra le cellule. La strada però è ancora lunga.
Sembra promettente anche lo studio che sta valutando l’efficacia e la sicurezza del trapianto di tessuto mesencefalico ventrale di origine fetale nei soggetti con Parkinson a esordio giovanile. Ma ci vuole tempo per validare l’efficacia e il lungo termine di un nuovo trattamento. Sono in fase di sperimentazione anche nuovi farmaci sintomatici, attualmente al vaglio dell’EMA (Agenzia europea per i medicinali), che potrebbero migliorare la qualità di vita dei pazienti.
Bibliografia:
- Berardelli, La Neurologia della Sapienza, edizione 2022, Esculapio Editore.
- Società Italiana di Neurologia, Parkinson
- Fondazione Limpe, Clinica e diagnosi della malattia di Parkinson
- Parkinson Italia, La malattia di Parkinson
- De Bartolo MI, Vivacqua G, Belvisi D, Mancinelli R, Fabbrini A, Manzo N, Costanzo M, Leodori G, Conte A, Fabbrini G, Morini S, Berardelli A. A combined panel of salivary biomarkers in de novo Parkinson’s Disease. Ann Neurol. 2022 Nov 16. doi: 10.1002/ana.26550. Epub ahead of print. PMID: 36385395.