Nel mese di maggio il Maxxi di Roma ha ospitato una mostra davvero singolare. Si è parlato di Parkinson e fin qui nulla di particolare. È come se parla che fa la differenza. Perché a “parlare” della malattia sono le immagini di chi la affronta ogni giorno, con coraggio e determinazione. Decisi a non dargliela vinta. E lo hanno fatto con la voce di Lella Costa e Claudio Bisio che hanno interpretato interpretano Mrs e Mr Parkinson, “umanizzando” una delle patologie sempre più diffuse in Occidente.
Una mostra “parlante”, organizzata dall’associazione Azione Parkinson Lazio che vuole dare un’idea del tutto diversa della malattia, al di là degli stereotipi. E lo fa raccontando le storie di persone che hanno deciso di reagire e resistere, di rispondere al Parkinson con una loro personale strategia.

Parkinson, morbo o malattia?
Il Parkinson è una patologia complessa ma non è un morbo, non è contagioso, non si trasmette. In inglese, infatti, è chiamato semplicemente disease, malattia. Solo nella lingua italiana, puntualizza Mario Calabresi, giornalista e scrittore che ci spiega la forza e il senso di questa mostra, resta ancora la parola “morbo”. In Italia sono almeno 280.000 le persone affette dalle varie forme di Parkinson, ma si stima che siano molte di più. Perché c’è la tendenza a nascondersi, a vergognarsi della difficoltà a muoversi, delle rigidità e dei tremori. Ma il modo peggiore di affrontare la malattia, qualunque essa sia, è proprio negarla e nasconderla. Per questo aprire le porte, raccontare, continuare a vivere in mezzo agli altri è fondamentale. Così come lo è mostrare la fatica e la lotta, la creatività e l’amore per la vita.
Proprio per portare avanti questo messaggio, sono state raccolte 43 storie di resistenza sotto forma di immagini, che aiutano a comprendere cos’è il Parkinson e che sono diventate una mostra itinerante.
Sono fotografie che catturano, aiutano ad aprire gli occhi, che vogliono sensibilizzare chi le osserva e soccorrere chi si sente solo. Sono scatti con una funzione sociale molto importante: dare valore e visibilità non solo ai malati ma anche alle reti familiari e sociali, all’affetto e all’attenzione che circondano i malati e che li aiutano a uscire da un’angosciosa solitudine, quella in cui molti sprofondano dopo la diagnosi, sentendosi soli ed emarginati.
I ritratti di queste persone “narrano” l’inguaribile voglia di vivere. Mostrano le storie di chi impara a convivere con la malattia e mette in campo risorse inattese e spesso sconosciute, doti di creatività e di resistenza. Ogni immagine è arricchita da parole che la spiegano, con le voci di Claudio Bisio e Lella Costa, Mr. e Mrs. Parkinson. Danno corpo e voce alla malattia e con la loro ironia mostrano la forza, l’energia, l’amore con cui le donne e gli uomini colpiti da questa patologia, insieme ai loro caregiver familiari e non, inventano una loro personale terapia per restare attaccati alla vita, per non arrendersi alle difficoltà di una malattia degenerativa.
Mr. e Mrs. Parkinson – che rappresentano e danno voce alla malattia – non riescono a spiegarsi come le persone riescano a dominare questa patologia, non si capacitano della caparbietà umana che riesce a inventare soluzioni e trucchi per non farsi mettere in un angolo dal Parkinson.
Sono storie di chi non vuole scivolare nell’isolamento, nella solitudine o nella depressione e che ogni giorno fa i conti con una malattia che progredisce lentamente e non si ferma mai. E lo fanno con la rabbia per essere stati colpiti, con il dolore, ma anche con la capacità di farci i conti, di costruire nuovi equilibri.
Perché dare voce al Parkinson?
La malattia non è buona o cattiva, non ci travolge per punirci o metterci alla prova. Non ha una morale, un volto o una personalità. Eppure quasi ogni persona affetta da Parkinson personalizza la sua malattia, le parla, ci si confronta, la manda anche a quel paese. Come fosse lì, in carne e ossa. Quasi tutti la chiamano per nome. Nascono da qui Mr. e Mrs. Parkinson, le voci narranti della mostra, dalla fantasia, dalla voglia di esserci e di resistere di tanti malati.
E lo fanno con ironia. Perché come dice lo scrittore francese Romain Gary “l’ironia è una dichiarazione di dignità. È l’affermazione della superiorità dell’essere umano su quello che gli capita”.
È impossibile non sorridere ascoltando le storie dietro la fotografia, nonostante parlino di malattia. Ogni sorriso è un piccolo passo che ci aiuta a capire, a saperne un po’ di più, a renderci conto che quelle persone ritratte, sono come noi.
La domanda “e se capitasse anche a me?” è spontanea e inevitabile. Ognuno ha la sua risposta, ma quelle foto danno speranza. Ci indicano che una strada diversa è possibile.
Storie di resilienza
Dare un significato alla malattia, sconfiggere lo stigma, dare consapevolezza e coraggio a chi è affetto da Parkinson e ai loro familiari. Questo è il senso della mostra. Ma anche educare a riconoscerlo per tempo, a spazzare via i pregiudizi e i luoghi comuni. Una campagna informativa che parte e prende forza dalla narrazione, dalle storie di persone comuni o famose che condividono la resistenza al Parkinson. C’è chi ha scelto la poesia per esprimersi, chi costruisce modellini di barche, chi recita, chi ha imparato a ballare il tango, chi fa yoga e meditazione, chi lavora il legno. Sono tante le storie e tutte bellissime, 43 in tutto, scegliere non è stato per niente facile.
Ne abbiamo selezionate 6, quelle che ci hanno più colpito.
Alessandro Culotta. La potenza di una risata

Alessandro Culotta
Quando gli hanno diagnosticato il Parkinson, Alessandro aveva solo 40 anni. Racconta che quel giorno il medico era così triste nel comunicargli quella notizia che lui, per tirarlo su, gli ha raccontato una barzelletta. È così che ha deciso di scommettere sul sorriso e di iscriversi a un corso della Croce Rossa per diventare clown negli ospedali. La malattia ha cambiato le sue priorità, ha dato un nuovo valore ai gesti di ogni giorno. Ha imparato a dare importanza a cose che prima considerava scontate. E ha deciso di resistere al Parkinson con una risata, di credere che la vita sia bella nonostante tutto, se continui a sorriderle.
Giovanna Govoni e la danza

Giovanna Govoni
Il Parkinson cambia il viso, lo trasforma in una maschera rigida, priva di espressione. Rende anche fragili e insicuri. Giovanna, infatti, cammina con il deambulatore. Tranne quando danza. Perché lei danza, e sull’onda delle note cammina ballando senza mai bloccarsi, con il marito accanto, sempre vicino, che non la lascia mai. Nonostante i tanti farmaci che deve prendere ogni giorno, il suo sguardo è ancora felice, incredulo. Lei non combatte la malattia, l’asseconda e Mrs. Parkinson non riesce più a farle troppo male.
Stefano Ghidotti. La sua vita ha preso un nuovo slancio

Stefano Ghidotti
Stefano è un odontotecnico, ma il tremore gli impedisce di lavorare. Nel triathlon però ha trovato la voglia di combattere la malattia, di affrontarla a viso aperto. Più il Parkinson lo blocca e più lui corre e si allena. Ha affrontato così la sfiducia nel futuro con cui la malattia ti blocca, prima ancora del blocco muscolare. Per Stefano invece la vita ha preso un nuovo slancio. Prima si allenava una volta a settimana, adesso lo fa tutti i giorni. E si è inventato perfino una nuova professione, come formatore e coach per le persone affette da Parkinson. Organizza pedalate, camminate, corse per creare gruppo, aiutare gli altri a uscire dall’isolamento. Ha deciso così di trasformare “la sua sfiga in sfida”.
Valentina Margio. La forza della vita

Valentina Margio
Valentina si ammala nel 2017, a 34 anni. Il colpo è veramente duro, non era certamente una malattia che si aspettava dalla vita. L’ansia e la paura devastano le sue giornate, tutte, nessuna esclusa. Ma accanto a lei c’è Massimo, il suo compagno e insieme trovano una soluzione: una terapia psicologico-comportamentale (EMDR). Finita la terapia, Valentina resta incinta, una gravidanza serena e un parto facile. Come se aver vinto l’ansia per la malattia avesse spalancato le porte alla vita, come se potesse bastare un desiderio di amore e di bellezza per combattere.
Vincenzo Mollica. La leggerezza dell’ironia

Vincenzo Mollica – foto di Marco Piraccini
Vincenzo, giornalista, scrittore, autore e conduttore televisivo, tratta il Parkinson come un amico, un compagno di viaggio. Il suo Parkinson è ereditario, anche suo padre lo aveva. Poi c’è il diabete e il glaucoma che lo ha reso quasi ceco. Una vita intensa che scivola via poco a poco. Ma lui accoglie la malattia con leggerezza, con il sorriso, come se la vita fosse solo un’avventura che sei comunque chiamato a vivere, chi con il Parkinson, chi con altre patologie. Ma cosa c’è dietro quel sorriso, quanta fatica e quanto coraggio?
Deve essere proprio importante quel sorriso per averlo così cuore – si chiede Mr. Parkinson – deve valere davvero molto se persone come Vincenzo lo scelgono sempre, costi quel che costi.
Giulia Quaglini. Continuare ad aiutare, anche dopo
Giulia è un caregiver. Gli anziani un po’ traballanti che tiene per mano, incerti e preoccupati vengono però avanti baldanzosi. Si danno la mano e uniti sconfiggono il passo incerto di uno, il tremore di un altro e la paura.

Giulia Quaglini e i suoi assistiti
Un cargiver è l’angelo custode dei parkinsoniani. Anche per loro la vita cambia nel momento in cui arriva la diagnosi. Anche i loro sogni e i loro progetti sono spazzati via.
Sono i compagni o le compagne, i figli, i nipoti, le badanti, persone capaci di atti d’amore e di dedizione straordinari. Assistono il malato, lo accudiscono, lo lavano e si nascondono quando sono giù, quando sono esausti, per non farsi vedere.
Giulia e suo marito Lorenzo hanno condiviso 20 anni di Parkinson, lui da malato, lei da caregiver e quando lui è morto lei è rimasta a lottare contro la malattia e oggi è vicepresidente della Confederazione Parkinson Italia.
Guardare queste immagini, ascoltare le loro storie e quelle dei caregiver è un insegnamento all’altezza della sfida. Persone che combattono contro una malattia tanto diffusa ma ancora poco conosciuta per vivere pienamente ogni istante della propria esistenza. Nuove frontiere di cura si apriranno, ma la scienza ha bisogno di tempo. In questo tempo resistere è utile e necessario.
NUOVE SPERANZE DI CURA
Il Parkinson è una malattia degenerativa di cui non si conoscono ancora le cause e per questo non esiste una terapia in grado di bloccarne i meccanismi. Comporta il deterioramento e la perdita di alcune cellule nervose situate in una specifica zona del cervello, i gangli della base. Sono cellule che producono un neurotrasmettitore chimico di impulsi nervosi, la dopamina che regola molteplici meccanismi neurologici che presiedono alle attività motorie e non motorie.
La malattia compare solitamente tra i 50 e i 70 anni, anche se non sono così insoliti esordi giovanili, cioè prima dei 30 anni. Evolve lentamente e non influisce sulla durata della vita. Con un adeguato trattamento farmacologico, associato a percorsi riabilitativi, si può condurre una vita quasi normale. Ma quali sono le nuove prospettive di cura? Lo abbiamo chiesto a Giovanni Fabbrini, Professore Ordinario di Neurologia e Direttore del Dipartimento di Neuroscienze Umane, “Sapienza” Università di Roma e fondatore di PMR onlus (Parkinson, disturbi del movimento e ricerca).
Quali sono le nuove prospettive di trattamento?
Nei soggetti affetti da malattia di Parkinson si verifica un deposito di un materiale proteico tossico (l’alfa-sinucleina) che implica la morte progressiva delle cellule nervose e uno stato di sofferenza di tali strutture. È proprio questa degenerazione la responsabile dei sintomi clinici, motori e non motori.
In altre parole, il meccanismo deputato alla pulizia dei prodotti metabolici di “scarto”, che ripulisce il cervello dalle proteine e le ricicla in aminoacidi riutilizzabili, non funziona come dovrebbe e le proteine tossiche si accumulano, bloccando il funzionamento dei neuroni della zona cerebrale interessata.
In particolare, l’alfa-sinucleina si aggrega e forma delle fibrille che penetrano nel neurone, sviluppando quelli che sono definiti corpi di Lewy che “uccidono” la cellula. In pratica questa proteina si comporta come un agente patogeno, anche se non è un virus o un batterio, e si sposta da una cellula all’altra compromettendo sempre più neuroni.
Ancora non conosciamo le cause alla base di questo meccanismo, sappiamo che sono coinvolti diversi fattori, genetici, epigenetici, ambientali, ecc. Tuttavia sono in fase di sperimentazione diversi approcci terapeutici innovativi che, in un prossimo futuro, potrebbero dotarci di nuovi strumenti di cura per il Parkinson. L’obiettivo è trovare una strada per limitare l’aggregazione di questa proteina tossica, quella che scatena la degenerazione dei sistemi neurologici.
Tra i vari approcci in fase di sviluppo c’è la terapia genica o quella basata sull’uso di oligonucleotidi antisenso, visti i recenti studi che ne riferiscono la particolare efficacia nell’atrofia muscolare spinale. La strada però è ancora lunga. Si è anche avviata la fase II dello studio PASADENA sul prasinezumab, un anticorpo monoclonale umanizzato impiegato per colpire gli aggregati neurotossici di alfa-sinucleina. L’uso di anticorpi monoclonali umani, in grado di catturare l’alfa-sinucleina mentre si sposta tra le cellule, è una delle sperimentazioni più promettenti, ma al momento non ci sono dati certi sul possibile effetto di contrasto sulla progressione della malattia. Si tenta anche la strada della prevenzione, cioè provare a bloccare la malattia prima che si manifesti attraverso un vaccino vero e proprio contro l’alfa-sinucleina. Alcune molecole sono già in fase di studio e presto partirà anche la sperimentazione sull’uomo.
Il trapianto di cellule staminali, invece, non ha dato i risultati sperati e le cellule trapiantate non hanno portato miglioramenti clinici. Sembra più promettente lo studio TRANSEURO, attualmente in corso, che sta valutando l’efficacia e la sicurezza del trapianto di tessuto mesencefalico ventrale di origine fetale nei soggetti con Parkinson a esordio giovanile.
Ci vuole tempo per validare l’efficacia e il lungo termine di un nuovo trattamento. Ma sono in fase di sperimentazione anche nuovi farmaci sintomatici, attualmente al vaglio dell’EMA (Agenzia europea per i medicinali), che potrebbero migliorare la qualità di vita dei pazienti.
E’ importante che medici, pazienti, istituzioni, ricercatori, caregiver e famigliari si adoperino non solo per avere più fondi per la ricerca, aspetto comunque fondamentale, ma anche per ribadire il diritto alla cura.
La speranza di combattere il Parkinson c’è ed è giusto crederci. Ma non dimentichiamo che i farmaci attuali consentono ai pazienti di vivere una vita sempre più accettabile. Affrontare la malattia con coraggio, senza chiudersi, trovando nuove strategie, come le persone di questa mostra, permette sicuramente di viverla nel migliore dei modi