In queste pagine vogliamo parlare di Parkinson giovanile e lo facciano attraverso i racconti e le testimonianze dirette di chi vive in prima persona la malattia. Ivana Barberini, giornalista di PERSONE, OLTRE LA MALATTIA, ha raccolto queste storie, una narrazione che parte dall’esperienza individuale ma che si unisce in un’unica voce, quella di un’umanità che soffre ma non smette di combattere.
Vi riportiamo i testi in chiave di medicina narrativa, così come li hanno scritti gli autori e le autrici.
Ecco la storia di Nadia Panigada, operatrice socio sanitaria, che ha scoperto di avere il Parkinson a 47 anni.

Avevo 47 anni, sola, una figlia di 21 anni, un lavoro in ospedale, molto gratificante, in Pronto Soccorso e il braccio destro che inizia a non rispondere, diventa pesante e si blocca nei movimenti ripetitivi (mentre lavo i denti ad esempio).
Una risonanza rivela una protrusione a destra, che sembra la causa del problema e, vista da tre neurochirurghi, decido così di sottopormi ad un intervento chirurgico. Inutile, dopo 2 settimane il problema non accenna a rientrare e quindi decido di rivolgermi ad una neurologa che, dopo 1 anno di incertezze su quale fosse il problema, dopo aver visto un biglietto che avevo scritto, e dove la microscrittura era già evidente, mi fece fare una SPECT.
Ricordo ancora quando andai a ritirare il referto, tenevo la busta in mano, non avevo il coraggio di aprirla…. sapevo che il mio futuro era in quella busta. Dovetti lavorarci parecchio, con gli psicologi, per rendere quel ricordo meno traumatico.
Per 5 anni sono riuscita a lavorare non dicendo niente, ma imparai a gestire le piccole difficoltà. Poi nel 2012 subentrò l’artrite reumatoide, dolorosissima, che mi impedì di continuare a lavorare in quel reparto e mi portò a confessare la malattia a tutti i colleghi.
Mi cambiarono il reparto, poco lavoro fisico ma grande impegno “di testa” in riabilitazione psichiatrica, e poco a poco il Parkinson cominciava ad avanzare: blocchi, discinesie, distonie dolorosissime alle gambe che mi obbligavano a “gattonare” al mattino, fino all’entrata in circolo del primo Sirio della giornata.
Sempre più imprevedibile e invasiva, la malattia diventava sempre più ingestibile. I farmaci erano sempre meno efficaci, sembrava che si prendessero gioco di me. Quante volte andavo a fare la spesa, mi trovavo in totale OFF, e iniziavo una lotta con i sacchetti che non ne volevano sapere di aprirsi, la frutta che sembrava animarsi improvvisamente e nei sacchetti non ci voleva entrare, o alla cassa, quelli dietro di me che “sbuffavano” infastiditi perché ero lenta.
Cosi nel 2018 la decisione di sottopormi alla DBS, a Milano. Otto ore di intervento chirurgico a mente serena più un secondo intervento, questa volta in anestesia totale, per posizionare la batteria. La DBS mi ha cambiato la vita, niente più ON e OFF, eliminate 14 pastiglie al giorno, ora ne prendo solamente 2 al mattino alle 8 e nient’altro, niente più carboidrati a pranzo e proteine alla sera e pasti lontani dall’assunzione della terapia.
Con i medici ho sempre avuto ottimi rapporti, anche se, anch’io, come la stragrande quantità di pazienti, ho vagabondato alla ricerca del neurologo ideale. Alla fine l’ho trovato, ed è il neurologo che mi segue da quando ho la DBS.
Senza ombra di dubbio, posso affermare che nella sfortuna sono stata fortunata. Ho una figlia che, pur facendo la sua vita, è molto presente e disponibile e altrettanto posso dire del suo compagno. E inoltre il Parkinson mi ha fatto conoscere tantissime persone eccezionali, con alcune delle quali è nata una splendida amicizia, gente tenace, che non molla mai.