La prima causa di morte oggi è rappresentata dalle malattie cardiovascolari, in particolare infarto al miocardio e ictus. Anche quando questi eventi acuti non causano la morte si può avere disabilità e il rischio di incorrere in un altro evento è purtroppo alto.
Per fare chiarezza sul tema della prevenzione cardiovascolare, abbiamo intervistato il Dr. Nicola Cosentino, cardiologo, PhD in medicina traslazionale che oggi lavora nel reparto di terapia intensiva cardiovascolare presso l’Istituto Cardiologico Monzino. E abbiamo ascoltato il punto di vista di un paziente, Valter, che da anni segue un percorso di prevenzione secordaria. Il segreto per far funzionare tutto? La comunicazione
Professor Cosentino,cosa si intende con prevenzione cardiovascolare secondaria?

Per evitare il più possibile il verificarsi di un evento cardiaco occorre attuare una prevenzione, che viene definita primaria in caso non sia mai avvenuto alcun evento, e secondaria dopo un primo evento cardiaco.
L’infarto è infatti causato da una placca aterosclerotica che risiede nei vasi sanguigni che portano il sangue al cuore (coronarie) e che si rompe formando un trombo. Il trombo va a occludere le arterie che irrorano il cuore, le coronarie. Occorre specificare che non tutte le placche si rompono.
Secondo nuove evidenze provenienti dal mondo anglosassone, la prevenzione secondaria dovrebbe partire anche prima che si verifichi un evento, ovvero nel momento in cui ci sono evidenze di malattia aterosclerotica nei vasi sanguigni. Questo perché la vulnerabilità è già presente ed è importante agire con una prevenzione più stringente.
Perché è importante la prevenzione cardiovascolare secondaria?
Gli studi ci dimostrano che il principale fattore di rischio di infarto acuto del miocardio è aver avuto un evento precedente. Le persone che hanno già avuto un evento cardiaco acuto sono, infatti, ad alto rischio di averne un secondo o altri successivi. Questo vale per l’infarto ma anche per lo scompenso cardiaco.
Inoltre, oggi abbiamo terapie molto efficaci che ci permettono di avere un impatto importante sul rischio di evento, come le statine e quindi possiamo avviare una prevenzione secondaria molto valida.
Ridurre il rischio di ricorrenze cliniche è importante perché minore sarà il numero di eventi cardiaci, più potremo ridurre la mortalità dei pazienti. Anche la morbilità cardiaca, ovvero la presenza di malattie del cuore invalidanti come lo scompenso cardiaco, viene ridotta in modo efficace da una buona prevenzione secondaria.
Come si attua la prevenzione cardiovascolare secondaria?
Ci sono interventi farmacologici, che consistono nel controllo dei fattori di rischio, in particolare dei livelli di colesterolo. Il controllo deve essere stringente: il colesterolo LDL deve essere al di sotto di 55 mg/dl.
Questo target si può raggiungere mediante cure farmacologiche orali come le statine ad alta intensità, ezetimibe e, se necessario, con le terapie biologiche (anticorpi monoclonali). Si tratta di tutte terapie efficaci e sicure. Per il controllo del colesterolo stanno arrivando anche altre terapie avanzate basate sull’RNA che potranno essere assunte due volte all’anno e stanno dimostrando una grande efficacia e sicurezza. Tra 10 anni lo scenario della prevenzione cardiovascolare sarà ancora diverso da quello odierno.
Un altro parametro a cui prestare attenzione è la pressione arteriosa che deve essere al di sotto dei 140-90 mmHg in tutte le stagioni dell’anno. Anche in questo caso, le terapie oggi disponibili sono molto efficaci nel mantenere questo target.
Anche la glicemia deve essere sotto stretto controllo. L’emoglobina glicata, il principale parametro correlato alla concentrazione di zuccheri nel sangue, deve rimanere entro i 7 mg/dl o, meglio ancora, al di sotto i 6,5 secondo le ultime raccomandazioni per il paziente diabetico e cardiopatico.
Oggi, nella terapia cardio-diabetologica abbiamo nuove classi di farmaci che arricchiscono le possibilità terapeutiche: i farmaci agonisti del GLP1-receptor e gli inibitori SGLT2 che non solo hanno un effetto di controllo della glicemia, ma offrono rilevanti effetti protettivi anche su reni e cuore.
Lo stile di vita può incidere nella prevenzione secondaria?
La prevenzione secondaria prevede di svolgere attività fisica regolare. Ma quanta? Almeno 150 minuti a settimana, o 30 minuti al giorno. Attenzione: non è sufficiente fare una passeggiata tranquilla, ma è necessario raggiungere un livello di attività fisica quotidiana aerobica di intensità moderata.
È bene perdere peso se si è sovrappeso e se si ha obesità. Ed è fondamentale smettere di fumare. Questo vizio va assolutamente azzerato dato che oggi sappiamo che non esiste un numero minimo di sigarette che può essere considerato accettabile. Infatti, un recente studio ha dimostrato che anche una sola sigaretta al giorno aumenta il rischio di mortalità. Lo stesso vale per il fumo passivo.
A tutto questo occorre aggiungere un controllo cardiologico regolare a 1 e 3 mesi dopo l’evento acuto e poi con cadenza almeno annuale. La cadenza dei controlli dipende molto anche dalla gravità dell’infarto, che può essere molto variabile. Il medico verifica che i valori target vengano raggiunti e mantenuti nel corso del tempo e può sottoporre il paziente a test di ischemia miocardica con cadenza di due anni se non ci sono sintomi cardiaci e il paziente è stabile.
Qual è il ruolo della comunicazione medico-paziente nel mantenere una corretta prevenzione secondaria?
Un aspetto molto importante della prevenzione secondaria è la compliance del paziente, ovvero il rispetto delle raccomandazioni e delle prescrizioni del medico. Se il paziente non assume la terapia c’è un fallimento della riduzione del rischio. Oggi sappiamo che il rischio di morte o di avere un altro infarto o di morire a 5 anni dal primo evento, è pari al 25%: ovvero 1 paziente su 4 andrà incontro ad un secondo evento.
Oggi possiamo ridurre questo rischio dell’80% se il paziente assume la terapia.
Uno strumento importante per mantenere la compliance del paziente è fargli comprendere l’impatto positivo della terapia che viene prescritta con una comunicazione adeguata. Il medico deve dedicare il giusto tempo al paziente per fargli capire l’importanza della prevenzione che potrà farlo vivere meglio e più a lungo.
Un altro aspetto che può aiutare è semplificare il più possibile la terapia farmacologica da assumere ogni giorno. Oggi per questo esistono terapie che uniscono diversi principi attivi in un’unica compressa. Questi medicinali contribuiscono a migliorare la compliance e quindi la prognosi del paziente.
È importante anche parlare con il paziente degli eventi avversi che potrebbero insorgere con le terapie. Ad esempio i crampi da statina a volte fanno sì che il paziente smetta di assumerle. È interessante notare che le statine vengono tollerate molto di più dai pazienti che hanno già avuto un evento cardiovascolare, rispetto ai pazienti che non l’hanno avuto e che sono in prevenzione primaria. Questo succede perché i pazienti che hanno già avuto un infarto sono maggiormente consapevoli del proprio rischio e tollerano anche eventuali avventi avversi lievi o moderati come i crampi. Di conseguenza aumentare la consapevolezza del paziente e la conoscenza dei propri rischi è cruciale.
C’è un detto americano che dice: se giochiamo separati giochiamo, se giochiamo insieme vinciamo. Oggi medico e paziente devono giocare insieme e possono vincere la partita contro il rischio cardiovascolare.
Oggi, quali sono gli elementi che caratterizzano la prevenzione secondaria nel percorso del paziente?
In alcune realtà esistono ambulatori dedicati alla cardiopatia ischemica che seguono i pazienti nel loro percorso post-evento nel lungo periodo con team multidisciplinari, come ad esempio il diabetologo, il nutrizionista oltre allo specialista cardiologo. Questo aiuta molto il paziente a continuare una prevenzione secondaria efficace.
Il medico di famiglia riveste anche un ruolo molto importante. Il medico di base deve avere la giusta sensibilità nell’accompagnare il paziente in questo percorso in collaborazione con il cardiologo curante.
È molto importante educare il paziente e fargli comprendere l’importanza di portare avanti la prevenzione secondaria per poter vivere più a lungo e più in salute. La comunicazione con il paziente è fondamentale sia da parte del cardiologo che dal medico di base che supporta il messaggio
Ma come vivono i pazienti il percorso di prevenzione secondaria? Valter, 73 anni (il nome è di fantasia) ha avuto diversi eventi cardiovascolari e ci vuole raccontare la sua esperienza.
Come è iniziata la tua prevenzione secondaria?
La prevenzione secondaria è iniziata quindi diversi anni fa, dato che Il primo evento cardiaco risale al 1997. Sono stato operato con inserimento di un bypass, poi ho iniziato ad assumere farmaci per il controllo del colesterolo e a seguire un regime alimentare controllato. Fumavo e ho dovuto smettere, il che è stato difficile perché ero un forte fumatore, ma grazie alla forza di volontà ci sono riuscito.
Ho iniziato a fare attività fisica più regolarmente. Per un periodo sono andato in palestra. Ho sempre avuto i parametri di colesterolo e di pressione sotto controllo perché seguivo la terapia. Il secondo infarto è arrivato due anni dopo il primo perché purtroppo il rischio non si può azzerare e il mio corpo tende a creare placche e occlusioni anche alle gambe, in particolare alle arterie femorali.
Con il secondo evento cosa è cambiato?
Ho dovuto inserire altri due bypass e ho avuto un tempo di recupero molto più lungo. La vita è cambiata e mi sono adeguato ancora alla nuova situazione. Si sono aggiunti altri farmaci, con un’attenzione ancora maggiore ai parametri.
Nel tuo percorso, come ha inciso la relazione con le figure mediche che hai incontrato?
Partendo dal primo evento, ho scoperto che la cardiologia, per quello che ho visto in diverse realtà, è un reparto in cui si ha una visione diversa del rapporto con il paziente. In generale ho potuto apprezzare la molta attenzione verso il rapporto con il paziente, sia da parte del personale medico che infermieristico. Personalmente mi sono sentito curato nel migliore dei modi e con un buon livello di ascolto e attenzione.
Il mio medico di famiglia è stato forse quello meno attento nel seguirmi nel mio percorso. Non ho visto una grande empatia, anche quando c’è stato qualche problema cardiaco.
Quattro anni fa, nel 2018, mi si sono chiusi i bypass e sono stato ricoverato nuovamente. Anche qui ho incontrato un medico cardiologo con cui ho potuto instaurare un buon rapporto di fiducia. Poi si è trasferito. Purtroppo oggi il via vai di medici impedisce questo tipo di rapporto, che è importante. Non ho mai avuto una figura di riferimento costante.
Per circa 4 anni ho potuto accedere ad un ambulatorio dedicato alle persone che hanno avuto eventi cardiovascolari come me e annualmente venivo seguito dalla stessa equipe. Trovarsi sempre con le stesse persone era rassicurante e mi faceva sentire seguito meglio. Poi, per vari motivi, ho continuato senza questo tipo di servizio e purtroppo ad ogni visita il medico era diverso. Questo è chiaramente uno svantaggio perché occorre ripetere la propria storia.
Ti pesa assumere i farmaci?
Devo riconoscere che prendere molti farmaci ogni giorno può essere pesante. Io non ho mai smesso, ma a volte si ha voglia di interrompere. Poi con l’avanzare dell’età si vanno a sommare altri farmaci, ad esempio oggi prendo 7 farmaci nell’arco della giornata. Il problema è quando si sta fuori casa che è più facile dimenticarsi. Per quanto riguarda la statina per il controllo del colesterolo, spesso ho avuto l’idea di smettere per un po’, perché non ho mai avuto il colesterolo elevato e ho avuto qualche effetto collaterale: un paio di volte ho avuto necessità di cambiare farmaco a causa dei crampi che mi provocava ed era dolorosi. Oggi li ho ancora, ma sono gestibili. Fino ad oggi non ho mai smesso di prendere la terapia perché non voglio andare incontro ad altri rischi. Certo permane un po’ di paura per quanto riguarda gli effetti collaterali di tutti i farmaci che assumo.
Hai mai parlato di queste paure con il tuo medico di famiglia?
Il mio medico mi segue abbastanza, ma vedo che è molto burocrate e poco medico e ho sempre il dubbio che non recepisca al meglio quello che dico. A volte spiego dei sintomi e non so se vengo compreso al 100%. Forse noi pazienti non ci spieghiamo sempre nel modo migliore, ma mi piacerebbe avere maggiore ascolto.