Non chiamiamola malattia, perché la sindrome di Tourette non è una patologia, ma piuttosto un insieme di sintomi di varia natura. Ciò che è evidente sono le anomalie comportamentali (come i tic ad esempio) e gli altri sintomi, diversi da persona a persona, che per convenzione, per dare “un nome alle cose”, sono chiamati Sindrome di Tourette, dal nome del neurologo Gilles de La Tourette che descrisse e fece conoscere questa sindrome al mondo scientifico.
Si tratta di un disturbo neurologico, caratterizzato appunto da un quadro comportamentale piuttosto complesso che include tic vocali o motori ripetuti, involontari e incontrollati, o sintomi di tipo psicologico come il disturbo ossessivo-compulsivo o il deficit di attenzione o iperattività.
Ne parliamo con Roberto Tartaglia, classe 1977, giornalista, scrittore, membro dell’International Coach Federation, con Sindrome di Tourette.

Roberto, come si è accorto di avere questa sindrome e come questa diagnosi ha cambiato la sua vita?
In realtà non è stato così difficile, perché ho iniziato ad avere una serie di problematiche, chiamiamole così, già in età prescolare. Ho iniziato a balbettare. Poi, come accade praticamente a quasi tutti i ragazzi tourettici, quando si inizia ad andare a scuola, a leggere e a scrivere e si attivano tutti quei meccanismi che sono dietro alla lettura e alla scrittura (mano dominante, occhio dominante, ecc.), insorgono tutta una serie di difficoltà che poi si manifestano come tic.
Quindi, è in età scolare che i miei genitori iniziano a osservare alcuni aspetti del tutto nuovi. Tra questi, per quello che ricordo io, c’erano una serie di piccole ossessioni. Ad esempio, ero ossessionato dai tratteggi della linea di mezzeria quando andavo in strada, non potevo fare a meno di memorizzare le targhe delle macchine che incontravo o di fare calcoli su dei numeri che vedevo da qualche parte. Era evidente che ci fosse qualcosa di particolare in me.
Poi, in età adolescenziale crescevano le interazioni sociali e di conseguenza anche lo stress per sostenere tali interazioni. E i tic aumentavano. Fino ai vent’anni sono diventati molto più forti e ho dovuto imparare a gestirli a modo mio.
Con i miei genitori siamo andati ovunque per capire cosa avessi, ma non se ne veniva a capo. Provammo perfino con il training autogeno. Ma, immagina un tourettico iperattivo, sdraiato sul lettino, con una voce che gli dice “rilassati” … Come minimo lo distrugge il lettino!
Del resto all’epoca era una sindrome poco conosciuta, parliamo degli anni Novanta, chi ne sapeva niente, si andava a tentativi.
Ho iniziato a capire cosa avessi verso i trent’anni, grazie al web. Era il 2007. Guardando su internet ho scoperto tutta una serie di segni che riconoscevo in me, come i disturbi ossessivo-compulsivi. Mancava però la parte dei tic, dei sintomi fisici, quelli legati alla sensorialità. Ho iniziato allora a fare ricerche in inglese e lì ho scoperto un mondo, tutto quello che in Italia non avevo trovato.
La mia vita cambiò nel 2010, a 33 anni. Grazie all’associazione AST-SIT Onlus, l’Associazione Sindrome di Tourette, Siamo in Tanti, ho conosciuto il Prof. Gianfranco Morciano e ho avuto finalmente una “diagnosi”. Dico diagnosi per convenzione, in realtà la Tourette non è una malattia, come detto, ma un quadro sindromico.
Quando sono entrato per la prima volta nello studio del professore, abbiamo chiacchierato per quattro ore. Lui si occupa da anni di Sindrome di Tourette e Autismo, due disturbi che hanno molto in comune. Mi fece una domanda strana: “ma tu questi tic te li vuoi togliere? Di Tourette non si muore, quindi se vuoi i tic puoi tenerli, non cambia nulla. A meno che non ti disturbano”. Risposi che in realtà i miei sintomi erano abbastanza invadenti. All’epoca, ad esempio, urtavo violentemente contro i muri perché avevo dispercezioni tattili, mi dava fastidio tutto, oltre al disturbo ossessivo-compulsivo. Era difficile vivere così. Iniziai quindi con lui e il resto del suo team un percorso di rieducazione neurologica durante il quale ho capito che la Tourette ha anche dei sintomi potenzianti.
Nella sua “Biografia semiseria di un tourettico” ha parlato della Tourette come dono. Cosa intende esattamente?
Perché ci sono anche sintomi potenzianti, non solo disturbanti. Mi spiego meglio. Sono stato per sette anni presidente della AST-SIT Onlus e ho avuto l’occasione di conoscere tante persone, dal vivo o sul web, tra cui tanti bambini. E quando parlavo, e parlo tuttora con loro, la prima cosa che dico è “guarda che tu sei come un X Men, la natura ti ha dato dei superpoteri. Devi però imparare a utilizzarli”. Questa è la metafora che, secondo me, funziona molto bene, non solo con i bambini ma anche con gli adulti. Perché siamo così in realtà, abbiamo dei sintomi potenzianti. Ad esempio, amiamo l’arte, in tutte le sue espressioni, dalla danza, alla scrittura, al modellismo, alla pittura. Avendo dei livelli molto alti di dopamina, noi tourettici possediamo una creatività fuori dalla norma ed è stato provato anche scientificamente che la dopamina e la creatività vanno di pari passo. Perciò, questo è sicuramente un dono che ci caratterizza. Sono stati poi riscontrati nei tourettici quozienti intellettivi superiori alla norma. E anche questi sono dati di fatto. Poi c’è l’empatia, un dono ma anche una condanna. Non si capisce ancora per quale motivo i nostri neuroni specchio restano come quelli dei bambini, sono sempre iperattivi. Questo da una parte ci porta a sviluppare un’ottima empatia verso gli altri e, infatti, molti tourettici sono insegnanti o educatori. Dall’altra però fa soffrire, perché basta leggere una notizia negativa sul giornale che ti rimbomba nel cervello in continuazione, ti immedesimi. Racconto quest’aneddoto per far capire meglio cosa intendo. Durante un corso a Milano, hanno raccontato un episodio “buffo” su Beckham, il calciatore inglese, che, sbagliando un rigore, ha ucciso non volendo due piccioni. Tutti hanno riso, mentre io ho cominciato a pensare ai poveri piccioni, mi chiedevo se fossero morti sul colpo, cosa avessero provato, alla loro brutta morte, improvvisa e dolorosa! Ecco, la Tourette ti porta in queste dimensioni. È un dono-condanna.
Per chi ha questa empatia così potenziata è più difficile gestire le informazioni drammatiche, come quelle che riceviamo ogni giorno da questa pandemia?
Non solo l’empatia. Qui entra in gioco anche l’ossessione da contaminazione, tipica della Tourette. Immagina chi già prima aveva paura solo di toccare qualcosa di usato per i germi o i batteri. Adesso che sappiamo per certo che c’è un virus che “cammina” a un centimetro da noi, molti tourettici hanno avuto serie difficoltà. Per questo, infatti, abbiamo realizzato con l’associazione gruppi di incontro dal vivo per affrontare queste criticità, che vanno avanti tuttora con il nuovo Consiglio Direttivo.
Personalmente, grazie al mio percorso terapeutico, ho superato molte di quelle problematiche, poi sono di mio un po’ solitario. Durante il lockdown non ho sofferto molto, sono stato a casa, ho lavorato sul web. Tante persone invece hanno avuto una ricaduta con peggioramento dei sintomi.
Con la Tourette, la sua vita quotidiana e il rapporto con gli altri, familiari e amici, sono cambiati?
Tantissimo. Da ragazzo ero a dir poco intrattabile, un po’ perché la mia mente era catturata da tanti pensieri, tutti negativi, intrusivi-ossessivi. Quindi, ero già nervoso per questo, poi c’erano i disturbi fisici, quelli sensoriali, a livello tattile e uditivo. Se c’erano due o tre persone che parlavano insieme, andavo in stress. Ancora oggi non sono riuscito a superare questo sintomo. Ero poi sempre distratto dalle sensazioni tattili. Mettiamoci anche un’iperattività che da adolescente è già presente normalmente. Un ricercatore che ha collaborato anche con la nostra associazione, inoltre, ha scoperto una correlazione tra testosterone e insorgenza di alcuni sintomi della Tourette.
Ricapitoliamo: un adolescente tourettico nel pieno della tempesta ormonale che vive un inasprimento dei disturbi ossessivo-compulsivi, dei tic e dell’iperattività. Non ero intrattabile, di più! Spesso litigavo con i miei familiari ed è stato un periodo davvero difficile per tutti.
Poi, dai trent’anni, con la presa di coscienza della sindrome e un anno di esercizi di rieducazione neurosensoriale,mi è cambiata letteralmente la vita.
La diagnosi ha reso anche gli altri più comprensivi nei tuoi confronti?
Dipende da come ci si pone. Lo dico sempre ai ragazzi. Non basta capire che cosa hai e che chi vive intorno a te lo capisca. Conta come ti poni tu. Perché, come ci insegnò il grande Albert Ellis, non è la realtà in sé che provoca dolore o stress, ma come noi reagiamo alla realtà, agli eventi esterni.
Se ricevo una diagnosi di Tourette e mi butto giù, perché comincio a vedermi e a sentirmi come un malato, allora anche gli altri si adegueranno a questa visione. Non basta sapere che si ha la Tourette, è come si reagisce.
Non esiste ancora una cura vera e propria, a parte i farmaci?
Preciso che parlo sempre a mio nome, racconto la mia esperienza, dico ciò che ho vissuto e compreso in questi anni.
La Tourette è solitamente definita una malattia rara e incurabile, che si può trattare solo a livello sintomatologico con farmaci o con la DBS (Stimolazione cerebrale profonda) o altre metodiche.
Dal mio punto di vista, sono molti gli aspetti errati di questa tipica definizione.
Primo, non è una malattia, non è il diabete, non è il cancro, è, come dicevo, un quadro sindromico, ci sono vari sintomi legati a cause diverse.
Secondo, non è rara, perché in realtà siamo in tanti, ma si fa fatica a raccogliere dati epidemiologici attendibili perché alcuni si vergognano di farlo sapere o non sanno di avere la Tourette. È difficile fare una stima precisa, ma siamo molti di più di quanto si crede.
Terzo, non è incurabile, si può curare ma non con i farmaci, che agiscono solo al livello dei sintomi.
Sappiamo che in medicina non si può curare solo il sintomo tralasciando la causa. Posso avere la tosse per Covid, per tumore o per un semplice raffreddore. Quindi, occorre agire sulla causa. Usare i farmaci è come mettere una toppa su un tubo che perde. Il tubo continua a essere bucato e arriverà il momento in cui la toppa non servirà più a nulla, il momento in cui si avrà l’assuefazione ai farmaci.
Lavorare sulla causa è l’unica strada, per me, e al momento direi che la cosa migliore sia la rieducazione neurosensoriale. “Neuro” perché è una sindrome neurologica, che coinvolge tutto il sistema nervoso. “Sensoriale” perché si lavora sia sul Sistema Nervoso Centrale, sia su quello periferico, con tecniche di “rieducazione sensoriale”, come quelle usate, ad esempio, per l’autismo, e con altre come la Terapia Razionale Emotiva Comportamentale. S’interviene su questo fronte con esercizi mirati proprio a ristrutturare le sinapsi, poiché per fortuna il nostro sistema nervoso è plastico, si può modellare. Iniziando da bambini, infatti, i circuiti cerebrali non sono ancora del tutto formati ed è più facile arginare o estinguere i sintomi. Ma anche negli adulti, e io ne sono la prova, si possono ottenere ottimi risultati.
Questa al momento è, secondo me, l’unica “cura”. La ristrutturazione a livello nervoso può aiutarci, anche a mantenere i sintomi potenzianti di cui abbiamo parlato, perché purtroppo nei farmaci o nella DBS vengono meno. Un po’ come succede nella chemioterapia per i tumori, si uccidono le cellule tumorali ma anche quelle sane. Con la ristrutturazione neurologica invece si riescono a mantenere gli aspetti positivi.
Questo tipo di rieducazione quindi aiuta a mantenere sotto controllo il sintomo?
Lo estingue in molti casi, per me è accaduto. Alcuni, invece, si affievoliscono ma non spariscono. Adesso non mi strappo più i vestiti di dosso, non sbatto contro i muri. Prima saltavo sul letto e spaccavo le doghe della rete. Ecco, questi sintomi si sono estinti grazie appunto a questa ristrutturazione neuronale. Certo, se s’inizia a tarda età, in situazioni di stress il sintomo riappare, ma se s’interviene da giovani, le possibilità sono ottime. Conosco tanti ragazzi e ragazze che vivono una vita serena ormai.
Cosa si sente di dire o di consigliare a chi riceve una diagnosi di Sindrome di Tourette?
Non spaventarsi, essere comunque grati alla vita. Perché poteva andare molto peggio. Non si tratta di vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, ma di vedere la realtà per quella che è.
La Sindrome di Tourette non è una malattia mortale. Certo, per qualcuno può essere invalidante, ma si può fare molto lavorandoci su. Mi ricordo di una ragazza che prima di andare al lavoro aveva sviluppato l’ossessione di fare un giro di rotonda con la macchina perché “portava fortuna”. Poi i giri sono diventati due, tre, poi molti minuti di rotonda prima di continuare il viaggio.
Però c’è la possibilità di potersi “curare” e di avere una vita soddisfacente. Ma occorre impegnarsi tanto negli esercizi di ristrutturazione neuronale per godere dei benefici e anche di quei doni che altre persone non hanno.
Una cosa che mi ha regalato la Tourette, anche se molto è dipeso dal mio atteggiamento positivo, di curiosità e di studio verso la sindrome, è scoprire tante cose di me stesso, di scoprire parti di me, cosa mi accade dentro. Per capire cosa avessi, sono stato costretto a studiarmi, a domandarmi perché mi succedeva questo o quello, perché reagivo così. Sviluppi un’intelligenza intrapersonale e interpersonale. Conosci meglio te stesso anche grazie ai tuoi processi mentali e comportamentali, incontri da vicino i tuoi valori, la tua identità.
Come scrisse Alexander Lurija in una lettera a Oliver Sacks: “la comprensione di una tale sindrome amplierà necessariamente, e di molto, la nostra comprensione della natura umana in generale. Non conosco nessun’altra sindrome che abbia un interesse paragonabile”.
Da poco ha pubblicato un libro per ragazzi “ Ops…” per sensibilizzare alla Tourette e da cui è nato anche un progetto che sta portando nelle scuole italiane. Può dirci qualcosa in più?
Si tratta di un progetto per sensibilizzare i giovani all’integrazione delle diversità. Il personaggio principale, Axel, ha la Tourette. E da qui si parte, per arrivare a una verità finale: siamo tutti diversi, ed è questo a renderci uguali. In fondo, come diceva Franco Basaglia, nessuno, visto da vicino, è poi così normale.
Si parla dunque di bullismo e di amicizia, tra ironia e riflessioni profonde. Dal libro è nato un progetto didattico ed educativo che stiamo portando nelle scuole per far conoscere la sindrome di Tourette. Si tratta di una video lezione e di tanto materiale gratuito realizzato da me e dall’associazione AST-SIT Onlus. Il progetto è anche legato a un hashtag: #uniciespeciali e parte del ricavato delle vendite è devoluto all’Associazione.