Le false diagnosi di autismo, o perlomeno la difficoltà ad avere una diagnosi certa, sono in aumento, generando confusione e disorientamento alle famiglie che non sanno a chi credere o a chi rivolgersi. Il rischio è di attribuire al bambino “un’etichetta” che può essere difficile da togliere o da gestire nel corso di tutta la sua vita, emotiva, sociale e perfino professionale
Troppe diagnosi di autismo: cosa vuol dire per i bambini e la famiglia
Le false diagnosi di autismo hanno un impatto non indifferente sulla vita dei bambini e sulle loro famiglie.
L’argomento è delicato, poiché parliamo di un disturbo molto complesso ed eterogeneo, ma in sintesi, come afferma Michele Zappella, pediatra e autore di un libro sull’argomento (“Bambini con l’etichetta. Dislessici, autistici, iperattivi: cattive diagnosi ed esclusione”, Felitrinelli), alla base dell’errore diagnostico c’è la ricerca di una valutazione oggettiva, anche attraverso i test e le linee guida, che possa poi indicare un percorso terapeutico univoco per l’autismo. Nella realtà, invece, sappiamo che l’autismo è una condizione estremamente differenziata, tanto che si parla di spettro autistico, in cui alcuni sintomi sono comuni ad altri disturbi.
Perfino il presidente Donald Trump nel 2017 affermò che negli Stati Uniti si stava assistendo a un aumento dell’incidenza dell’autismo nei bambini. In effetti, i dati raccolti dalle maggiori università americane, basati sul numero delle diagnosi, hanno evidenziato un notevole aumento dei casi dal 2000 in poi. In poco meno di vent’anni si è passati dallo 0,3% all’1,5% di casi, prendendo come riferimento l’età di 8 anni.
In Italia, si stima che 1 bambino su 77 (età 7-9 anni) sia affetto da un disturbo dello spettro autistico, con una prevalenza maggiore nei maschi (sono 4,4 volte in più rispetto alle femmine). Si tratta di una stima nazionale effettuata nell’ambito del “Progetto Osservatorio per il monitoraggio dei disturbi dello spettro autistico” coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità e dal Ministero della Salute.
Ma quante di queste diagnosi sono corrette? Anche i bambini diagnosticati come dislessici, il cui numero è in continuo aumento, hanno in realtà dei ritardi nell’apprendimento della lettura, così come per l’autismo. Spesso si tratta di altri disturbi che in molti casi richiedono interventi diversi e che consentono al bambino di avere una vita normale.
Inoltre, per una coppia di genitori sentirsi dire che il loro figlio soffre di una malattia da cui non si guarisce, ha un effetto a dir poco devastante, con pesanti conseguenze su tutta la famiglia.
Questa “diversità” poi non è solo introiettata dal bambino stesso ma anche dall’ambiente sociale, dalla scuola, dai compagni di classe e dagli insegnanti.
I disturbi in cui con più frequenza si sbaglia diagnosi, sono la dislessia e l’autismo, cui spesso si associano discalculia e iperattività. Si confondono i ritardi di lettura con la dislessia, oppure si fa diagnosi di autismo quando invece si tratta di ritardi del linguaggio, forme depressive, mutismo selettivo o persino timidezza.
Dietro una pretesa “oggettività”, impossibile da raggiungere al netto delle conoscenze attuali su questo tipo di disturbi, le diagnosi sbagliate nascono il più delle volte dall’importanza attribuita a determinati test. Che sono validati e utili, ma non sono però in grado di cogliere e “fotografare” la complessità dei disturbi del neurosviluppo, le loro sfumature e la compresenza di più disturbi con reale efficacia.

Perché è così difficile ottenere diagnosi di autismo?
Per rispondere a questa domanda è necessario tenere presente alcuni aspetti:
- l’autismo include un ampio spettro di sintomi, infatti si parla di disturbi dello spettro autistico. Questo perché l’autismo racchiude un’ampia gamma di segni: dalle difficoltà nell’interazione sociale ai deficit nella comunicazione, dai difetti di concentrazione ai problemi a eseguire compiti ripetitivi, al ripetere le stesse parole più volte. Sono poi sintomi molto variabili a livello di gravità, si va da un lieve disturbo fino ai casi più gravi. Capita che siano considerati sintomi di autismo anche l’irritabilità causata da un cambio della routine quotidiana, la lentezza nel costruire le frasi e la povertà lessicale;
- una diagnosi di autismo non si basa su parametri clinici certi e quantificabili. Allo stato attuale, la ricerca non ha trovato un aspetto neurologico o genetico o un sintomo che si possa associare con certezza all’autismo. Esami del sangue, screening cerebrali o altre indagini strumentali non consentono di stabilire con ampi margini di sicurezza la presenza o l’assenza del disturbo e la prudenza diventa quindi un obbligo.
Ciò vuol dire che la diagnosi si basa sul buon senso, sull’esperienza e sulla soggettività dello specialista che esegue la valutazione, che si appoggia alle linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità o dell’Istituto Superiore di Sanità che definiscono, in linea generale, che cosa si debba intendere con autismo.
Nell’esperienza di tante famiglie succede, quindi, di ricevere diagnosi diverse a seconda dello specialista consultato. Non solo, lo stesso medico può arrivare a valutazioni diverse da un anno all’altro, per il continuo aggiornamento delle linee guida internazionali.
In uno studio pubblicato su Journal of Autism and Developmental Disorders nel giugno 2012, i ricercatori hanno rilevato che il 59% dei bambini a cui originariamente non era stato diagnosticato l’ASD (Autism Spectrum Disorder) avrebbe invece ricevuto questa diagnosi in base ai nuovi criteri del 2012.
C’è però sempre più consapevolezza sull’autismo rispetto a qualche anno fa. Medici e famiglie stanno acquisendo sempre più conoscenze sulle caratteristiche di questo disturbo. Tuttavia, se da una parte è positivo saperne sempre di più, dall’altro può determinare l’aumento dei casi diagnosticati.
Se in passato l’autismo era poco conosciuto e quindi poco diagnosticato, i casi riconosciuti erano ovviamente pochi. Alcuni studi scientifici hanno, quindi, dimostrato una correlazione tra il numero di casi di autismo e fattori sociali come il grado di istruzione della popolazione, il numero di pediatri e la collaborazione tra scuole e ASL.
Ne abbiamo parlato con il Dott. Vasco Antinucci, logopedista del centro Alint-Logopedia integrata e con la psicologa e psicoterapeuta specializzata in autismo Dott.ssa Debora Galli del Centro Argos di Nettuno che negli ultimi anni hanno assistito a un incremento di diagnosi di autismo per bambini che invece avevano disturbi diversi e, in buona parte, risolvibili con un’efficace terapia.
Vi sono capitati molti casi di bambini con false diagnosi di autismo?

Il dottor Vasco Antinucci
“Sì, sono arrivati da noi per una valutazione logopedica molti bambini che avevano già una diagnosi di autismo o fortemente sospetta di autismo – risponde il dott. Antinucci- Spesso la diagnosi viene data a voce, nulla di scritto, proprio perché arrivare a una diagnosi di autismo è complicato, soprattutto se il bambino è molto piccolo. Le diagnosi franche si fanno o si confermano solitamente dopo i 5-6 anni di età. Dai 2 ai 5 anni è difficile dire se un bambino è autistico o meno perché il quadro evolutivo cambia continuamente. Nella mia esperienza posso dire che dei bambini che ci sono arrivati con diagnosi di autismo, circa il 70-75% non erano autistici, bensì avevano un ritardo del linguaggio.
Da noi arrivano prevalentemente con sospetta diagnosi perché ancora piccoli. Il discorso cambia se la diagnosi arriva dai 6 anni in su, in quei casi molto spesso si tratta davvero di autismo o di spettro autistico. Nel bambino molto piccolo, invece, vale la pena di tentare altre ipotesi, non solo attraverso l’uso dei test”.
“Forse non sono sempre prese in considerazione tutte le caratteristiche essenziali del disturbo dello spettro autistico, fondamentali per diagnosi accurate – aggiunge la Dott.ssa Galli, ossia:
- deficit persistenti nella comunicazione sociale e interazione sociale in molteplici contesti intesi come deficit nella reciprocità socio-emotiva (approccio sociale anomalo, difficoltà nella reciprocità nella conversazione, ridotta condivisione di interessi emozioni e sentimenti o difficoltà nell’iniziare e rispondere a interazioni sociali);
- deficit nei comportamenti comunicativi non verbali utilizzati nell’interazione sociale intesi come comunicazione verbale e non, che risultano scarsamente integrate, anomalie nel contatto visivo e nell’utilizzo o comprensione dei gesti;
- deficit nella gestione e nella comprensione delle relazioni: mancanza di interesse per coetanei, mancanza di gioco di immaginazione o nel fare amicizie;
- pattern di comportamento, interessi o attività ristretti, ripetitivi: stereotipie motorie, uso degli oggetti (ad esempio metterli in fila) ecolalia, mancanza di flessibilità nelle routine o rituali di comportamento verbale e non (disagio per piccoli cambiamenti, schemi di pensiero rigido, percorrere sempre la stessa strada o sempre lo stesso cibo), interessi limitati o fissi che risultano anomali per intensità, iper o iporeattività verso stimoli sensoriali o interessi insoliti (annusare o toccare oggetti in modo eccessivo, avversione verso suoni o consistenze tattili, affascinati da luci).
Oltre a specificare se esiste o meno una compromissione intellettiva o del linguaggio e il livello di gravità, per fare diagnosi più accurate è importante una diagnosi precoce, un’osservazione clinica da parte di un’equipe di esperti per riconoscere alcuni segnali o sintomi caratteristici dello spettro, insieme alla somministrazione di test diagnostici: test ADOS che rappresenta la valutazione in tempo reale (una specie di foto di quel momento) associata alla ADI-R intervista semi-strutturata ai genitori e una valutazione cognitiva per individuare od escludere la presenza di disabilità intellettiva”.
Perché si può sbagliare la diagnosi e quali sono gli altri disturbi che si possono confondere con l’autismo?
“Perché molti bambini con ritardo del linguaggio hanno molti tratti in comune con l’autismo – risponde il logopedista Antinucci – sono tratti che la medicina definisce patologici ma non è proprio così. Secondo la nostra esperienza è importante fare una valutazione anche del cavo orale perché è discriminante al 100%. Se il bambino ha un problema nel cavo orale di tipo strutturale (problemi al palato, di dentizione, alla lingua, ecc.) che gli impedisce di acquisire un linguaggio verbale adeguato è un dato che non si può ignorare ed è un dato che quasi nessuno va a verificare nel percorso diagnostico. Vale sempre la pena in questi casi approfondire e dare delle istruzioni ai genitori per vedere se portano a qualche risultato, cosa che capita molto spesso, gettando una nuova luce sulla diagnosi”.
“Lo spettro autistico è certamente una condizione complessa ed eterogenea, ma secondo la nostra esperienza non è difficile porre diagnosi, anche perché il bambino autistico ha dei comportamenti già definiti dalle linee guida”. La sovra diagnosi è legata al limite delle valutazioni, che si basano prevalentemente su test che cercano un’oggettività che nei sistemi viventi non può essere applicata, perché si tratta di sistemi complessi e l’ottica deve tenere conto di questa complessità. Con semplici strumenti si può già discriminare se si tratta di autismo o ritardo del linguaggio e sono tanti i bambini con ritardo del linguaggio diagnosticati come autistici. L’autismo in realtà non è così frequente, spesso si tratta di altri disturbi come quelli (a parte il linguaggio) comportamentali, della maturazione neurologica che non è stata completata prima della nascita ma che hanno aspetti assimilabili all’autismo”.

Dottoressa Debora Galli
“Per la diagnosi differenziale è, infatti, importante anche prendere in seria considerazione altri disturbi – aggiunge la psicologa Galli – come:
- sindrome di Rett, caratterizzata da alterazione sociale durante la fase di regressione ma che poi migliora;
- mutismo selettivo: il bambino in alcuni contesti è muto ma la reciprocità sociale non è compromessa né tanto meno ci sono interessi ristretti o ripetitivi;
- disturbi del linguaggio e disturbo della comunicazione sociale;
- disabilità intellettiva senza disturbo spettro autistico: si può fare diagnosi di disturbo dello spettro e disabilità intellettiva quando sia la comunicazione sociale sia l’interazione risultano compromesse rispetto allo sviluppo delle abilità non verbali dell’individuo;
- disturbi del movimento stereotipato: le stereotipie motorie sono tra le caratteristiche del disturbo dello spettro per cui la diagnosi di disturbi del movimento stereotipato non è posta se tali comportamenti sono spiegati dalla presenza del disturbo dello spettro;
- ADHD (Disturbo da deficit di attenzione/iperattività), anomalie nell’attenzione sono comuni nei bambini o nelle persone con spettro, come l’iperattività. Ma avere l’ADHD non significa essere autistici, l’ADHD può esserci anche indipendentemente: si può porre una diagnosi di ADHD se le difficoltà di attenzione o iperattività superano le difficoltà attentive o iperattività tipicamente osservate in individui di età mentale paragonabile.
- schizofrenia: si presenta nell’infanzia dopo un periodo di sviluppo normale o quasi. Ciò che la differenzia dallo spettro è la presenza di allucinazioni e deliri.
Che cosa hanno in comune il ritardo del linguaggio e l’autismo?
I gesti ripetitivi, come ad esempio, battere le mani, emettere dei suoni tipo auto-ninna nanna, agitare le mani come fossero delle piccole ali, ecc. – risponde il Dott. Antinucci- sono gesti che ritroviamo molto spesso in bambini che hanno un’immaturità neurologica o che hanno un ritardo del linguaggio. Questo perché si tratta di gesti anche fisiologici, perché rassicuranti per il piccolo. Un bambino che non ha un linguaggio verbale e che è “condannato” a doversi esprimere con altre modalità, cerca di rassicurare se stesso rispetto alla variabilità ambientale alla quale non riesce ad accedere perché non ha un linguaggio verbale. In questi casi diamo delle semplici istruzioni ai genitori e se questi gesti ripetitivi smettono, si può ipotizzare che non erano correlati all’autismo.
Tra questi gesti, il camminare sulle punte è uno dei tratti che più si associano agli autistici, poiché è un segno ritenuto specifico dell’autismo. Tuttavia, non tutti i bambini che camminano sulle punte sono autistici, poiché secondo alcuni studi quest’attività consente al bambino di attivare la fascia muscolare anteriore per descrivere meglio al cervello la mappa mentale del proprio corpo. Poi c’è l’aggancio visivo. Molti bambini con ritardo del linguaggio non sviluppano livelli comunicativi evoluti perché non possono parlare, hanno una comunicazione verbale vicina allo zero. Questo ha un effetto sul loro comportamento, che può essere di due tipi: isolamento o reazione rabbiosa verso l’esterno. Ed è comprensibile. Il piccolo vorrebbe parlare, comunicare ma nessuno lo comprende, quindi tende a isolarsi o si arrabbia.
La difficoltà nel parlare poi comporta la perdita della tappa evolutiva dell’aggancio visivo durante la comunicazione verbale, che viene molto spesso scambiato per autismo. Quindi, se tutti gli autistici non hanno l’aggancio visivo, non tutti i bambini che non hanno l’aggancio visivo sono autistici. L’isolamento e la scarsa collaborazione nell’interazione con gli adulti o con gli altri bambini è spesso dovuto alla mancanza di linguaggio verbale che comporta un forte ritardo nell’interazione comunicativa e sociale. I bambini fanno quello che possono e avere un “mondo piccolo” li rassicura, perché la ricerca di nuove relazioni o la gestione delle relazioni che passano attraverso il linguaggio verbale a loro sono negate. Questo porta isolamento e un comportamento non rispettoso delle regole, cioè il bambino sviluppa atteggiamenti che sono alla sua portata. È più facile fare un capriccio o ripetere NO, perché è nel suo livello evolutivo (sempre per i bambini entro i 5 anni), che mediare attraverso uno strumento che loro non hanno.
La diagnosi differenziale potrebbe essere molto facile, almeno per i casi che abbiamo visto nel nostro Centro. Basterebbe eseguire un esame del cavo orale, che non viene fatto mai perché non è di competenza dello psicologo o della neuropsichiatra infantile. È di competenza logopedica ma non si effettua perché si preferisce sottolineare la presenza o meno di strutture cognitive che consentano il linguaggio.
Ma il linguaggio è anche articolazione, abbiamo bisogno della lingua, dei denti, del palato e della respirazione per parlare. L’alterazione della fisiologia delle strutture del cavo orale può portare a un problema di fono-articolazione che non dipende dal cervello ma da un problema strutturale. Insegnare ai genitori le stimolazioni da fare, come interagire con il bambino che non parla o non parla bene e come dare delle regole comportamentali, è il primo passo da fare. È alto il tasso di successo nei nostri bambini e un piccolo successo comporta anche la facilitazione nella diagnosi. Quando, invece, ci sono dei dubbi perché i risultati non sono stati quelli sperati, i bambini si inviano a valutazione neuropsichiatrica.
Diciamo che è durante la prima valutazione che si decide se indagare di più oppure no: parliamo al bambino, esaminiamo il cavo orale e osserviamo il suo comportamento.
Ci sono però dei segnali che ci portano a inviare il piccolo al neuropsichiatra infantile, come l’impossibilità da parte del genitore di gestire il comportamento del bambino, la scarsa collaborazione e il fatto che il bambino non si fa toccare e inizia a vagare nella stanza per conto suo, sordo a tutti gli stimoli, anche i più allettanti (giochi, biscotti, ecc.) e alle richieste del genitore. Sono questi gli elementi che ci fanno sospettare la presenza di autismo.
Secondo le statistiche le mamme che ricevono diagnosi di autismo per i propri figli entrano in depressione. È così?
Lo posso senz’altro confermare – interviene il Dott. Antinucci. Quando arrivano con una diagnosi di autismo, molto spesso detta solo a voce, questo può mandare in depressione le mamme che fanno fatica anche ad accettare un punto di vista diverso. In molti casi, le mamme che arrivano da noi non sanno più cosa fare con il bambino, come comportarsi, non danno più regole educative, quindi anche l’aspetto pedagogico è profondamente alterato.
Durante la valutazione piangono, sono emotivamente colpite e per questo spesso poco collaborative, non hanno più la forza di affrontare la situazione.
Poi però si arrabbiano quando vedono che invece, al posto dell’autismo, c’è un problema strumentale del cavo orale e che quindi c’è la possibilità che si riesca a far parlare il bambino. Con poche e semplici istruzioni, infatti, molti di questi bambini cominciano in poco tempo a parlare o a produrre suoni articolati che somigliano alle parole. Come dar loro torto?
Conclusioni
Gli esseri umani sono sistemi complessi e la Medicina si sta avvicinando sempre di più alla complessità come approccio diagnostico e terapeutico. Ma ci vuole tempo, non tutti gli specialisti sono adeguatamente formati o a volte eseguono valutazioni affrettate o poco approfondite.
Ogni bambino, ogni persona che presenta dei disturbi o delle difficoltà dovrebbe rappresentare una sfida e non l’ennesimo caso da “sbrigare” perché c’è una lunga fila. È vero, gli operatori sanitari, a qualunque livello, nel servizio sanitario pubblico lavorano spesso a ritmi elevati e con poche risorse. Ma non devono mai dimenticare che davanti hanno una piccola vita. Vale la pena soffermarsi un po’ di più e indagare prima di mettere “l’etichetta” della diagnosi.
Fonti
- Gernsbacher MA, Dawson M, Goldsmith HH. Three Reasons Not to Believe in an Autism Epidemic. Curr Dir Psychol Sci. 2005;14(2):55-58. doi:10.1111/j.0963-7214.2005.00334.x
- Factcheck, Has autism prevalence increased?
- Ministero della Salute, Autismo
- Zappella M., Bambini con l’etichetta. Dislessici, autistici, iperattivi: cattive diagnosi ed esclusione, Feltrinelli